E se ‘quello intelligente’ fosse un Robot?

La Robotica sta riscontrando a livello globale un elevato interesse e nei prossimi quattro anni assisteremo a un boom di Robot impiegati fuori dal classico ambito della meccatronica e dell’automazione industriale. Ma è sull’incontro con l’Intelligenza Artificiale che si aprono nuovi scenari (e modelli di business)

Pubblicato il 17 Giu 2016

Robot e Intelligenza artificiale

Da diverse analisi emerge che da qui al 2020 assisteremo a una significativa crescita del mercato della robotica, guidata soprattutto non più dal comparto industriale, ma dai robot ad uso privato. Questo è quanto si legge nel report The future of jobs presentato durante il recente World Economic Forum di Davos all’interno del quale si legge una previsione di crescita che porterà in soli 4 anni il valore complessivo di mercato a quota 151,7 miliardi di dollari (nel 2015 è stato di 28,3 miliardi di dollari trainato per lo più dalle catene di montaggio nei comparti industriali).

A confermare il trend, seppur con qualche differenza nei valori complessivi, è Idc che stima un volume d’affari globale nel 2019 pari a 135,4 miliardi di dollari (secondo la società americana nel 2015 si sono raggiunti i 71 miliardi di mercato complessivo), con una forte accelerazione nell’impiego dei robot in settori come la Sanità e il Process Manufacturing (l’ambito produttivo associato a formule e ricette come i medicinali o le bevande).

Per capire quali possibili scenari vedremo nel breve orizzonte temporale abbiamo interpellato Andrea Bonarini, professore al Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, membro del Progetto di Intelligenza Artificiale e Robotica dal 1984 di cui coordina il laboratorio di ricerca dal 1990 (sempre all’interno del Politecnico di Milano). “Partiamo innanzitutto dalla distinzione tra robot e Intelligenza Artificiale”, esordisce Bonarini. “I robot, in generale, sono sistemi tecnologici che prevedono che ci sia qualcosa che si muove e che rileva dati dall’ambiente circostante (attraverso sensori di vario tipo: telecamere, sensori laser…), con qualcuno (o meglio, qualcosa, tipicamente un programma) che capisce attraverso i dati ‘cosa sta succedendo’ e si comporta di conseguenza”.

Sistemi ai quali oggi afferiscono, per esempio, tutte le problematiche dell’automazione, nel caso di applicazioni all’interno del mondo industriale, dei nuovi ‘servizi alla persona’ come per esempio l’assistenza agli anziani, nonché ambiti applicativi quali le self-cars o, più in generale, i progetti IoT che riguardano, sempre a titolo di esempio, l’impiego di droni in agricoltura per la ricerca e il debellamento di parassiti. “Rimanendo nell’ambito dell’impresa, gli impieghi principali li vediamo nella gestione della logistica e dei magazzini – fa sapere Bonarini – ma anche in contesti ‘impensabili’ come nel comparto agricolo dove le mungitrici di bestiame sono divenute ormai a tutti gli effetti dei veri e propri robot dotati di sensori e ‘intelligenza’ software”.

Intelligenza artificiale o robot con intelligenza umana?

“Un’auto che si guida da sola è a tutti gli effetti un robot”, fa notare Bonarini. “Tutto ciò che ricade sotto il filone dell’Intelligenza Artificiale (Machine Learning e Deep Learning in particolare) riguarda invece più strettamente la sfera dei dati e la Smart Machine, in questa accezione, non ha nulla a che fare con un sistema fisico/meccanico”.

È pur vero però che, come accennato, il Robot è dotato di tre caratteristiche principali: la sensoristica, la capacità di calcolo e quella di attuazione. Ed è da queste ultime due che si evince la stretta correlazione con l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale.

“Molti dei progetti di ricerca che anche in Europa stanno ottenendo diversi finanziamenti sono incentrati sui robot che offrono assistenza agli anziani (mercato forse ancora acerbo in Europa, ma con grandi potenzialità di crescita in Asia, Giappone soprattutto, dove l’assistenza domiciliare da parte di badanti, per esempio, non è socialmente accettata)”, spiega Bonarini. “Il grado di autonomia del robot dipende dalla capacità di comprensione del contesto e di ciò che sta accadendo; a livello di sensoristica già oggi le macchine in uso sono in grado di capire se la persona è caduta o verificarne i parametri vitali ma per una comprensione più approfondita servono ‘sistemi di calcolo’ decisamente più sofisticati. Ed è qui che entra in gioco l’Intelligenza Artificiale, in particolare le tecnologie di Deep Learning”.

Il robot Pepper dell’azienda giapponese Softbank

Tra gli umanoidi (robot che si distinguono dai cosiddetti androidi perché ne sono riconoscibili le fattezze non umane, a differenza degli androidi che invece vengono costruiti per ‘ingannare’ l’osservatore e assomigliare quindi in tutto e per tutto all’essere umano) che stanno avendo già oggi un discreto successo di mercato troviamo Pepper, un Social Robot progettato in Giappone il cui compito è ‘vivere’ accanto agli umani conversando con loro comprendendone emozioni e stati d’animo per potervi interagire. Il ‘robottino’ è in vendita ad un prezzo di circa 1500 euro ma ciò che risulta interessante è il modello di business che il gruppo giapponese Softbank sta costruendo attorno a Pepper: oltre al costo iniziale per l’acquisto del robot, la società offre un canone di circa 200 euro mensili per l’accesso ai servizi (ossia i software che consentono a Pepper di svolgere una serie di funzioni). Ed è proprio su quest’ultimo elemento che sta evolvendo l’offerta, dato che ‘il nuovo’ Pepper rilasciato a fine 2015 è pensato per le aziende: il Robot è pre-configurato con una serie di software per svolgere attività specifiche come quella di dialogare con i clienti se impiegato nel settore Retail, per esempio, ed è ‘affittabile’ a 11 euro l’ora. Abbinato alla possibilità di integrare il software con sistemi di Intelligenza Artificiale, magari accessibili via cloud cui lo stesso Pepper potrebbe connettersi in modo automatico, è evidente che gli scenari prospettabili diventano innumerevoli.

“I limiti a uno scenario simile sono più che altro di natura hardware”, invita a riflettere in chiusura Bonarini. “Basti pensare alla durata delle batterie (se il robot non riesce a ‘reggere’ almeno una giornata intera di lavoro il suo valore viene meno) ma anche ai limiti legati alla capacità motoria: tralasciando le macchine ad uso industriale, dove le ‘braccia meccaniche intelligenti’ hanno raggiunto ottimi livelli di flessibilità motoria, i Robot di tipo umanoide risultano decisamente meno rapidi e meno accurati rispetto all’uomo… almeno per ora!”.

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