Oggi l’impresa, intrappolata nelle email, nei sistemi legacy, nei silos informativi, in vecchi modi di lavorare non efficienti, è costretta a inseguire il consumatore web, dotato di nuovi strumenti che gli consentono di trovare rapidamente ciò che cerca e capace di condividere le informazioni, un consumatore collaborativo, coinvolto, in continua evoluzione. Lo sostiene Jacob Morgan, Principal di Chess Media Group, autore di The Collaborative Enterprise che, intervenuto al Social Business Forum 2013 tenutosi recentemente a Milano, dichiara senza mezzi termini che il lavoro come lo conosciamo è morto.
Da qui la necessità di un’evoluzione dei lavoratori, dei manager e delle aziende nel loro complesso. I primi dovranno essere coinvolti nelle comunità, capaci di coltivare passioni, di trovare e condividere informazioni, sempre connessi, al tempo stesso insegnanti e studenti. Gli stessi manager dovranno cambiare per stare al passo: ascoltare di più la voce dei dipendenti e dei clienti e tener conto dei loro feedback, assumere uno stile decisionale più distribuito capace di utilizzare l’intelligenza collettiva per poter dare risposte real time. Le aziende del passato, gerarchiche e frammentate, che comunicano attraverso email, intranet e messaggi push, sono destinate, secondo Morgan, “a crollare come un castello di carte”. Saranno sostituite da organizzazioni trasparenti e distribuite, connesse e coinvolte con i loro collaboratori, valutati per la loro esperienza e per il loro contributo al valore e non per il tempo passato in ufficio.
Anche la tecnologia deve cambiare. Addio alle soluzioni non sociali e collaborative, rigide e non adattabili, non focalizzate sulle reti e sulle connessioni, costruite sul legacy, che controllano gli utenti. La tecnologia del futuro si baserà su piattaforme intelligenti, controllate dagli utenti, orientate alle reti e ai gruppi di lavoro, integrate con il mondo virtuale, il mobile e la geolocalizzazione, focalizzate sul cloud.
Sono queste le premesse per l’affermazione di un modello collaborativo di impresa, capace di muoversi in una situazione dove “l’unica cosa di cui il business può essere certo è l’incertezza. In questo ambiente vinceranno le aziende che connettono e coinvolgono le loro persone e l’informazione”, conclude Morgan.
La complessità c’è e va gestita
“La nostra generazione non avrà un nuovo Einstein – sostiene George Siemens del Technology Enhanced Knowledge Research Institute dell’Università Athabasca in Canada – La conoscenza oggi è troppo complessa per essere gestita da un unico genio”. Parte della complessità deriva dalla grande quantità di informazioni frammentate e prive di centro tipiche dei network. Il problema contiene però parte della soluzione. L’ultima decade ha visto infatti, secondo Siemens, due trend fondamentali: la cultura della partecipazione e la connettività sociale e tecnica (con l’aumento dell’importanza dell’individuo); la cultura della trasparenza e dell’osservazione (con la crescita dell’analisi dei dati).
“I contenuti frammentati delle conversazioni devono però essere connessi insieme nuovamente per poter agire in modo sensato”, sostiene Siemens che è autore del connettivismo, una teoria dell’apprendimento per l’era del digitale, che a partire dall’esplorazione di come siano cambiati il contesto e le caratteristiche della conoscenza, propone, per creare senso, di definire centri temporanei [aree della rete nelle quali aggregare contenuti e conversazioni su una determinata tematica, al fine di estrarre significato da flussi complessi di informazioni, identificando quanto è davvero importante ndr], secondo una logica sociale e utilizzando strumenti tecnologici.
“Si tratta di mettere le cose insieme: per agire in modo significativo attraverso flussi e tendenze complesse è necessario estrarre quanto è importante e rilevante”, conclude Siemens.
Chi capisce la logica social aumenta il business
Tutte teorie? Non lo ritiene McKinsey, secondo la quale il social business (coinvolgente, trasparente, agile) ha dalla sua i numeri: le aziende che l’hanno adottato hanno registrato un incremento del 20% nell’efficacia del marketing e nella customer satisfaction e del 15% del fatturato.
Ce lo ricorda Sandy Carter, Vice President di Ibm, Social Business and Collaboration Solutions Sales and Evangelism, autrice di Get Bold, considerata da Altimeter Group una delle “top 10 women in social media”. Il mondo sta cambiando anche grazie alla convergenza fra big data, analytics, social business, che portano a trasformare i processi di business, sostiene Carter.
“Ci sono, – dice il VP di Ibm – almeno cinque aspetti che riguardano da vicino le imprese: il potere della condivisione sociale delle informazioni; il valore creato non per segmenti di mercato o sulla base della demografia ma per gli individui; l’innovazione, che deve diventare parte integrante della cultura aziendale; i social networks, che devono essere considerati la nuova linea di produzione ed essere dunque perfettamente integrati all’interno dei processi. Ma per integrare questi aspetti è indispensabile, come ultimo ingrediente, un nuovo approccio all’idea di leadership”.
Ma le banche non l’hanno compreso
Il primo indicatore della volontà di cambiamento in senso social è la scelta delle persone che si occupano di social media marketing. Durante l’evento milanese si è analizzata, per esempio, la situazione delle banche e il risultato non è dei più confortanti. “Tranne alcune eccezioni è difficile trovare un responsabile con competenze ed esperienze significative”, sostiene Brett King, fondatore di Movenbank, innovativa realtà di servizi bancari mobili, uno dei maggiori esperti mondiali di innovazione nel retail banking.
Le banche perdono così la straordinaria opportunità, offerta dai social media, di ascoltare i clienti per definire le strategie di marketing e di prodotto sulla base di quanto i consumatori stanno dicendo e registrarne feedback in tempo reale. “Di fatto le banche, dotate di persone con un cultura di marketing di stampo tradizionale, sembra non abbiano ancora compreso la natura della nuova comunicazione a due vie”, aggiunge King. All’esplosione dei social media hanno reagito limitandosi a trasferire le logiche di marketing tradizionale ai nuovi canali social, chiudendo al tempo stesso l’accesso ai dipendenti ai social per timore di un calo di produttività. In altri casi si sono limitate a trasferire il problema dal web al mobile, considerato che gli smartphone possono interagire con i canali social.
Cmo-Cio: da nemici ad amici
L’adesione efficace alla cultura social comporta una trasformazione radicale nelle organizzazioni, la cui difficoltà è ben rappresentata nella simulazione del dialogo fra Cio e Cmo condotta da Ray Wang, Principal Analyst & Ceo di Constellation Research (nella parte del Cio) ed Esteban Kolsky, Principal & Founder di ThinkJar (nel ruolo di Cmo): “Il mondo cambia, non è il caso di limitarci a fare qualcosa aspettandoci che i clienti siano d’accordo; i clienti si aspettano invece che noi cominciamo ad agire in modo diverso”, sostiene Kolsky-Cmo, chiedendo a un recalcitrante Wang-Cio di passare da una situazione company-centic, dove è il Cio a dettare le regole a una customer centric, dove le detta il Cmo.
Ma come si evidenzia nella figura 3, entrambi portano punti di vista ed esigenze sensate. La conclusione inevitabile è che, pur a partire da posizioni differenti, Cio e Cmo devono trovare un accordo basato sul bilanciamento delle diverse esigenze (vedi sempre figura 3).
Il percorso verso il social business va perciò visto come un viaggio che Cmo e Cio devono fare insieme e che prevede più step. Si comincia dalla necessità di condividere un nuovo modello, a partire dal valore per il business; si deve iniziare il percorso avendo già in mente la fine; si devono allineare gli use case ai processi di business, applicare le 9C dell’engagement (cultura, comunità, credibilità: legate ai valori centrati sulle persone; canale, contenuto, cadenza: connesse agli stili di trasmissione e comunicazione; contesto, catalizzatore, currency: guidate dalla scelta del tempo giusto), capire le persone della propria organizzazione per guidare il cambiamento. E la conclusione sarà un happy end.