Tutt’altro che un fenomeno facilmente leggibile nella sua evoluzione quotidiana o in prospettiva: quello della digitalizzazione è un percorso che prende direzioni diverse e procede necessariamente “a balzi”. Questa la visione di Stefano Brandinali, con il quale abbiamo provato a fare il punto sulle dinamiche che muovono il mondo del settore ICT in una fase in cui le certezze sono poche e la capacità di individuare i fattori di evoluzione a livello tecnologico ha assunto un ruolo di primo piano.
ZeroUno: Digitalizzazione in Italia: sembra che la percezione sia cambiata e ci sia un’attenzione diversa al tema. Ti ritrovi in questa lettura?
Stefano Brandinali: Intorno al tema della digitalizzazione c’è una maggiore attenzione e coscienza rispetto al passato. Dopo una fase in cui il processo si è sviluppato a diverse velocità dettate dal livello di preparazione e delle opportunità delle singole aziende, oggi siamo di fronte a un movimento che è caratterizzato da un livello di consapevolezza consolidato e trasversale.
Il bisogno di digitalizzazione è oggi qualcosa di più sedimentato, anche se rimangono delle differenze tra diversi settori, specialmente quando questi vengono definiti sulla base delle dimensioni delle aziende. Se le imprese medio-grandi hanno interiorizzato la necessità di procedere sulla strada della digitalizzazione, le piccole medie imprese stentano ancora ad acquisire questo livello di consapevolezza. In un tessuto come quello italiano, in cui le PMI rappresentano una larga fetta del tessuto produttivo, questo aspetto è tutt’altro che trascurabile.
ZeroUno: colpa di un’impostazione culturale?
Stefano Brandinali: Non solo. Ci sono anche fattori più oggettivi. Se parliamo, per esempio, dell’annosa questione legata allo shortage di risorse formate nei settori strategici, la distinzione tra grandi imprese e aziende medio-piccole determina un posizionamento in scenari diversi. Se per i big player la questione si risolve in una competizione per attrarre i migliori talenti, per le PMI spesso ci si trova di fronte a un vero e proprio “muro” per cui diventa impossibile reclutare le figure professionali di valore.
E non si tratta solo di una questione legata al fattore della retribuzione: chi ha capacità e competenze di alto livello è naturalmente portato a cercare un ambiente di lavoro stimolante e in grado di offrire prospettive di crescita adeguate alle sue aspettative. Per le loro stesse caratteristiche, le PMI non sono sempre in grado di soddisfare queste esigenze. Banalmente, anche per motivi estremamente pratici come l’impossibilità di avere un portafoglio progetti che abbia la capacità di occupare interamente la risorsa. Insomma: non sono così sicuro che ci manchino le risorse. Di certo non sono così tante e ci sono dei fattori che in parte le limitano e non le rendono fruibili a tutti.
Il percorso nella trasformazione digitale
ZeroUno: Nell’opinione pubblica, di solito, si imputano alcuni ritardi a quel digital divide che in Italia continuerebbe a pesare…
Stefano Brandinali: Nell’ambito del processo di digitalizzazione credo valga ciò che abbiamo visto avvenire per l’alfabetizzazione digitale all’interno della società. Le cose prima poi avvengono, ma non necessariamente in tempi brevi. La verità è che i cambiamenti hanno tempi lenti e non avvengono a strappi. Gli strappi però sono necessari. Serve che a un certo punto si crei un elemento di discontinuità che generi un pensiero divergente e possa attirare l’attenzione e dare impulso al cambiamento.
È possibile che un processo del genere non attiri immediatamente un grande consenso, ma in un ragionevole periodo di tempo il numero dei sostenitori aumenta rispetto al numero dei detrattori. L’abbiamo visto in altri ambiti, come nel settore consumer riguardo l’utilizzo dei dispositivi digitali. I progetti di maggior successo non sono quelli che hanno la miglior copertura funzionale rispetto al bisogno, ma quelli che sono più accattivanti. Insomma: il fatto che la digitazione su schermo sia più imprecisa di quanto non sia con un telefono con tastiera non ha impedito che gli smartphone conquistassero il mercato. User experience e appeal, spesso, hanno un impatto maggiore rispetto alla copertura funzionale.
ZeroUno: Tradotto nell’ambito della digitalizzazione, questo cosa significa?
Stefano Brandinali: La maturità organizzativa e la capacità di assimilare nuove tecnologie sono tendenzialmente lineari, mentre le nuove tecnologie sono esponenziali. Il risultato è che si rischia di percepire un ritardo rispetto alle tecnologie che è estremamente soggettivo. Bisogna cogliere, in questi picchi esponenziali determinati dalle tecnologie, gli elementi che offrono valore. Insomma: la tecnologia non è positiva per sé, è necessario cogliere ciò che è davvero utile e positivo. Su base esperienziale, di solito, un discrimine è rappresentato dal rapporto tra innovazione digitale e dimensione fisica.
Quando il digitale arriva a complementare esigenze “fisiche” è più facile che si crei un valore apprezzabile. Quando il business è nativo digitale, si corre il rischio che rimanga relegato su un piano astratto, con ricadute a livello di valore meno apprezzabili. In alcuni casi, inoltre, sarebbe necessario valutare correttamente il reale impatto che hanno le tecnologie che emergono. Ci siamo abituati a usare il termine “disruptive” con una valenza positiva, ma quella “distruzione” sottesa all’innovazione, in alcuni casi, dovrebbe essere esaminata con maggiore attenzione. Non è detto che sia sempre un elemento positivo.
ZeroUno: non è un caso che, rispetto alla “bolla” vissuta negli anni 2000, oggi la digitalizzazione stia interessando soprattutto aziende che hanno modelli di business tradizionali…
Stefano Brandinali: Quello a cui stiamo assistendo è un fenomeno in cui la digitalizzazione sta modificando radicalmente alcuni modelli di business. L’aspetto della servitization, per esempio, è uno degli elementi più rilevanti del momento che stiamo attraversando. L’elemento innovativo è quello di virare verso una logica orientata ai servizi, ma in un quadro che non cancella la solidità del prodotto “fisico”.
Per fare un esempio prendendo come spunto il settore automotive, la tendenza a fornire servizi di mobilità affianca (e non sostituisce) la vendita di veicoli per la mobilità. Questo equilibrio è determinato, in definitiva, dal fatto che le imprese che imboccano il percorso di digitalizzazione riescono a cogliere quei picchi nell’innovazione tecnologica che aggiungono effettivo valore al loro business, mantenendo quella linearità del cambiamento che è insita in ogni settore. C’è chi parla già di “post digital”, di una fase cioè in cui si è arrivati a una fase di maturità in cui la digitalizzazione viene “pesata” in base all’impatto effettivo che ha sul business.
L’importanza della maturità delle tecnologie
ZeroUno: parlando di fasi, ultimamente l’innovazione digitale ha dimostrato di non seguire percorsi necessariamente prevedibili. Tecnologie come il peer to peer o la blockchain sono partite in determinati ambiti e sono poi sbarcati in altri settori. C’è uno schema individuabile?
Stefano Brandinali: Se si guarda all’ultima decade, è possibile individuare una soluzione di continuità nell’evoluzione tecnologica. La digital transformation non è mai stata una “moda”, ma un fenomeno originato dal fatto che alcune tecnologie hanno raggiunto un livello di maturità finalmente adeguato a un’applicazione effettiva.
Gli esempi della blockchain, che in questo momento si concretizza nel fenomeno delle criptovalute, o dell’intelligenza artificiale sono quelli che chiariscono meglio il concetto. Il livello di aspettative su queste tecnologie ha raggiunto oggi un picco grazie al livello di maturità che hanno raggiunto. La possibilità di garantire l’immutabilità del dato grazie a tecniche distribuite o la possibilità di sfruttare algoritmi in grado di avvicinarsi alla capacità di elaborazione della mente umana hanno attraversato un percorso lungo e ora aprono ad applicazioni concrete. Non sempre le tecnologie sopravvivono a questo percorso, ma quando arrivano a maturità, si affermano inesorabilmente.
ZeroUno: in qualità di presidente di CIO AICA Forum, quale pensa sia il ruolo delle realtà associative dei CIO in questa dimensione?
Stefano Brandinali: Lo sforzo che stiamo facendo come associazioni italiane è quello di trovare un punto di convergenza che possa portare come prima cosa ad avere una voce comune. Tra addetti ai lavori parliamo tutti la stessa lingua e rappresentiamo una platea estremamente variegata che però ha la capacità definire dei punti programmatici comuni e acquisire la capacità di dialogare con altri soggetti in maniera costruttiva.
Il valore della community, che si esprime e si rafforza attraverso percorsi come quello concretizzato dalla convergenza tra il CIO Summ.IT e i Digital360 Awards in programma quest’anno, è esattamente quella di garantire spazi di confronto costruttivi e di elaborazione sui temi dell’innovazione. Si tratta di una sorta di “humus” che consente di fissare e perseguire obiettivi estremamente concreti, come la creazione di un registro dei CIO a livello nazionale che permetta di fissare una sorta di validazione delle competenze che devono caratterizzare chi riveste il ruolo di CIO.