Compare già nel 1992 nel romanzo “Snow crash” di Neal Stephenson ma se ne cerca ancora oggi una definizione condivisa e soprattutto concreta. Mentre il metaverso divide e fa discutere, il mondo dei semiconduttori pensa al semiverso, una sorta di spin off dedicato questo settore. Potrebbe diventare realtà ancora prima di trasformarsi in buzzword e risponderebbe al forte bisogno di ottimizzare tempo, materie prime e costi e, soprattutto, di accelerare il ritmo di produzione ed evoluzione. Illustrato dal CEO di Lam Research, Tim Archer, durante Imec Future Summit 2022 lo scorso maggio, il semiverso appare a molti come uno spiraglio concreto su cui investire oggi per non dover fare una brusca frenata domani.
Creare il semiverso, ambiente verticale ibrido per fare sistema
Ricorsivamente, nella storia emerge l’importanza di una risorsa solo quando scarseggia. La pandemia ha infatti puntato i fari sui semiconduttori, protagonisti di ogni tecnologia abilitante innovazione prima “invisibili” ai più.
“Presenti negli smartphone come nelle grandi tecnologie per la ricerca, hanno spinto la potenza dell’intelligenza artificiale e trasformato manufacturing, sicurezza, trasporti e difesa. Durante la pandemia hanno giocato un ruolo chiave nella ricerca dei vaccini e sono oggi alla base di ogni soluzione per la lotta al climate change. Ma il ritmo dell’innovazione è in continuo aumento, serve un modo per riuscire ad avere ancora più impatto e accelerare, è assolutamente necessario per affrontare i problemi complessi di oggi e quelli chiari all’orizzonte”.
Guardando alla già complessa supply chain dei chip, sempre più sotto pressione, non è immediato individuare una soluzione. I moderni semiconduttori possono includere miliardi di transistor, la loro produzione richiede una articolata opera di coordinazione tra strumenti per la crescita dei wafer e la generazione dei singoli transistor, per il taglio dei chip e il loro confezionamento in automobili, telefoni e data center. Una “danza” che coinvolge diversi fornitori: tutti sono chiamati singolarmente a garantire miglioramenti ma nessuno controlla che ogni passo avanti del singolo sia coordinato con quelli compiuti nel resto della filiera?
È qui che entra in gioco il semiverso. Archer lo descrive come “un ambiente ibrido, fisico e virtuale, in cui lo sviluppo e i test vengono effettuati come un’impresa congiunta uomo-macchina, in cui ciascuno fa effettivamente ciò che sa fare meglio”. Nasce per accelerare e valorizzare le tante collaborazioni di filiera, innescando quell’accelerazione necessaria ma ora irrealizzabile senza questo cambio di approccio.
Basato su un “engagement senza perimetro e legami”, il semiverso permetterebbe infatti di disegnare e sviluppare nuove soluzioni più agilmente, facilitando il brain storming e velocizzando passaggi e approvazioni. Grazie ad un virtual twin dell’intero processo di fabbricazione dei chip, consentirebbe ad ogni anello della catena di esaminare le interazioni in corso per migliorarne la ripetibilità e ottimizzarne la resa. Non solo. Questo ambiente dedicato, libero e fluido, agevolerebbe le collaborazioni “sfornando” tecnologie dirompenti in modo più rapido e frequente.
Collaborazioni e laboratori virtuali per un’accelerazione tecnologica coordinata
Se il metaverso di Neal Stephenson era una costruzione distopica, il semiverso di Archer potrebbe essere implementato con successo e in un tempo non troppo lontano. Secondo i suoi sostenitori, non ce lo potremmo permettere.
Tra i soggetti coinvolti, in primo piano i centri di ricerca d’eccellenza, collegati su scala mondiale per collaborare e usufruire di uno spazio digitale condiviso, composto dagli hardware fisici localizzati nei vari innovation center di tutto il mondo, virtualizzati. Messi a sistema creerebbero il più grande laboratorio sui semiconduttori mai visto e chiunque potrebbe utilizzarlo da ogni punto della Terra senza spostamenti né costi hardware.
La democratizzazione dell’innovazione è proprio uno dei vantaggi su cui Archer fa leva illustrando il semiverso, assieme alla riduzione significativa del tempo che intercorre tra ideazione e commercializzazione e alla possibilità di testare nuove idee a bassi costi e sperimentare virtualmente nuovi processi a livello di wafer, prima di metterli a terra.
“Siamo lontani dalla piena realizzazione del semiverso ma vogliamo e dobbiamo da subito realizzarne i building block virtualizzando il più possibile il processo di progettazione e collaudo” afferma dal palco dell’Imec Future Summit.
Tra le collaborazioni già in atto all’interno della supply chain dei semiconduttori c’è quella tra la “”sua” stessa Lam, ASML e Imec. Focalizzata sulla scalabilità delle caratteristiche dei transistor sotto ai 2 nm, attiva solo nei laboratori “fisici”, se estesa anche a quelli virtuali sarebbe ad esempio un inizio di semiverso.
Seppur attento ai primi passi e alle prime reazioni, il CEO di Lam Research non rinuncia a esplorare e condividere orizzonti lontani ma, a suo parere, concreti. Quelli in cui i miglioramenti delle prestazioni delle CPU uniti ad una AI potenziata accelereranno la capacità di costruire sofisticati modelli predittivi da applicare alle varie fasi della produzione. Sarebbero i veri “game changer” a cui puntare per dare un futuro ai chip e all’intero ecosistema di innovazione, prima che “inciampi” sul blocco evolutivo di uno dei suoi elementi fondamentali.