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Microchip biosensori: la possibile rivincita dell’elettronica molecolare

Biosensori basati su chip per rilevare in real time virus, tossine ambientali o effetti indesiderati dei farmaci. Questa è la promessa con cui la startup Roswell Biotechnologies punta a riscattare l’elettronica molecolare dimostrando che integrare molecole biologiche e circuiti elettronici serve. Non per sostituire il silicio nei computer, ma per rilevare infezioni o smog con comodi kit portatili e a basso costo.

Pubblicato il 28 Giu 2022

molecolare

Circuiti più piccoli e chip di calcolo più densi e potenti grazie alle piccole dimensioni delle molecole. Così l’elettronica molecolare negli anni ‘80 e ‘90 ha sperato di scalzare il silicio dal mercato, un sogno mai avveratosi che l’ha condannata a diversi anni di oblio.

In quel periodo di silenziosa ricerca, non ha mai però rinunciato alla sua “storica” visione: la miniaturizzazione definitiva dell’elettronica attraverso l’integrazione di singole molecole in chip elettronici. Ora è tornata per realizzarla ma laddove il silicio non può “disturbarla”: nell’ambito dei biosensori. Il progetto che incoronerebbe il suo sogno è quello della startup Roswell Biotechnologies, che vuole utilizzarli per rilevare virus, tossine e inquinanti in modo economico e conveniente. Anche in tempo reale.

Molecole biologiche e chip, un’integrazione commercializzabile

Regalando una seconda vita a questa disciplina, la giovane azienda a inizio 2022 ha annunciato di essere riuscita a integrare nei circuiti di un chip a semiconduttore una serie di 16.000 biosensori molecolari. Sarebbe l’ultimo passo per ottenere un “biosensore universale” preciso e sensibile, da produrre in massa con le moderne e note tecniche di fabbricazione dei chip e poi vendere a pochi dollari.

Dopo gli ultimi affinamenti, il dispositivo di Roswell resta costituito da due componenti: una giunzione di dimensioni nanometriche e un elettrodo collegato con una molecola biologica tramite un “filo” di 10 nanometri di aminoacidi bioingegnerizzati. Quando quest’ultima interagisce con una qualsiasi altra molecola biologicamente rilevante, il chip registra una variazione di conduttività elettrica che il software può poi elaborare. L’output sono i risultati di analisi che possono riguardare la presenza di un virus, per esempio, se il bersaglio è un anticorpo, oppure la genetica, se è un filamento di DNA.

Queste “biomolecole progettate per rilevare altre biomolecole” rendono i sensori assemblabili in 10 minuti. Applicando tensione elettrica a un chip di silicio costellato di nanoelettrodi prefabbricati, le si può infatti estrarre facilmente da una soluzione per accumularle sul futuro “bio dispositivo”. Questo lo rende scalabile e commerciabile, i suoi ideatori sognano di proporlo per testare la presenza di decine e decine di virus in un corpo, contemporaneamente. Un’idea che, nel post pandemia, appare ideale per portare l’elettronica molecolare sotto le luci della ribalta.

Virus, DNA, inquinanti: in arrivo biosensori portatili con chip e cannuccia

Prima “derisa” per essersi illusa di superare le performance del silicio, ora questa disciplina spera di riconquistare dignità regalando al mondo consumer un kit di biosensori per rilevare virus e infezioni o misurare livelli di vitamine proprio come già si monitora la frequenza cardiaca su uno smartwatch. Collegato allo smartphone, il dispositivo presenta una cannuccia in cui immettere aria per riceverne via app l’analisi quasi in real time. Questione di secondi per testare anche 200 virus respiratori contemporaneamente. Le stesse performance sarebbero garantite nel caso di verifiche ambientali su sostanze tossiche inquinanti, anche se a bassa concentrazione.

Se questa promessa convincerà nuovi investitori, Roswell sarà in grado di rilasciare il suo primo kit per il mondo consumer entro la fine dell’anno. Nel frattempo, il team ha deciso di aprirsi alla comunità scientifica invitando gli esperti a inviare campioni da analizzare con i suoi biosensori molecolari per affinarli e farne conoscere l’efficacia.

Avviata la commercializzazione, c’è poi l’intenzione di proseguire la ricerca per sfruttare tutte le potenzialità dei chip realizzati. Si può infatti andare ben oltre lo stringato esiti positivo/negativo “stile tampone”. Ponendo sulle sonde degli enzimi polimerasi che copiano le stringhe di A, G, C e T nel DNA, per esempio, si potrebbe creare un sequenziatore di DNA. Altri possibili casi d’uso spaziano dal tracciamento delle interazioni tra i diversi “omici” (genomica, metabolomica, proteomica, epigenomica e altro) al monitoraggio della qualità dell’aria in zone remote, fino al controllo di nuovi potenziali composti farmacologici per malattie, note o che emergeranno.

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