Gli ultimi due anni ci hanno insegnato che in un mondo cosiddetto VUCA (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous) la capacità di rispondere ai problemi con soluzioni rapide ed efficienti potrebbe non essere più sufficiente. Il risultato spesso si traduce, infatti, in una sovrabbondanza di prodotti e soluzioni che non vanno al cuore del problema stesso.
Individuare in modo chiaro la sfida di innovazione da affrontare, formularla e riformularla (framing and reframing) nel modo adeguato comporta la necessità di comprenderla per poter identificare il disallineamento fra la situazione attuale e le aspettative future. La riformulazione del problema implica dunque la necessità di impiegare la creatività per interpretarlo e ridefinirlo, se necessario, per attribuirgli un nuovo significato.
A partire da queste considerazioni, l’Osservatorio Design Thinking for business continua a stimolare la sua comunità, composta da manager, specialisti IT e designer, ponendo domande e provocazioni, come nella singolare tavola rotonda che aveva l’obiettivo di trovare un equilibrio fra atteggiamento cognitivo e pratico, fra il pensiero teorico e il fare.
Reframing Innovation Challenges: the Interplay between Creative Logics and Design Narratives
L’Osservatorio ha sottoposto al suo ecosistema un questionario per capire con quali logiche creative i professionisti affrontino problemi diversi nella sfida dell’innovazione. Ne sono state individuate tre:
- il pensiero analogico che, per riformulare in modo nuovo il problema, cerca similitudini in domini distanti ma che presentano punti di contatto con la sfida di cui ci si sta occupando;
- il pensiero associativo che lavora sulla capacità di riconoscere le differenze e la capacità di trovare la soluzione in modo casuale in contesti differenti (serendipità);
- il ragionamento abduttivo che fa leva su fatti inaspettati e richiede immaginazione e capacità critica, per mettere in discussione gli approcci consolidati.
Le risposte sono state analizzate in base ai tre background di formazione (manageriale, tecnologico-informatico, design) dei rispondenti. Non sono emerse differenze significative se non un atteggiamento più positivista, basato sul pensiero analogico, nei confronti di una realtà certa, in quanto già esistente, da parte dei professionisti con formazione manageriale e tecnologico-informatica. I designer hanno invece mostrato una minor propensione a guardare ciò che già esiste e un maggior orientamento al pensiero abduttivo.
L’adozione delle tre logiche creative è stata poi mappata sulla base del grado di definizione dei problemi: mal definito, relativamente ben definito, ben definito. In questo caso emerge che più la sfida innovativa è espressa chiaramente, più le diverse tecniche di pensiero creativo aiutano a individuare le soluzioni, mentre sono meno efficaci nei casi di ambiguità.
Per sperimentare l’impiego delle logiche sopra indicate è stato creato un laboratorio che ha visto la presenza di 92 partecipanti, suddivisi in 16 team. Il problema posto riguardava come affrontare la sfida posta dal down di Facebook verificatosi a ottobre 2021. I professionisti hanno affrontato un percorso con diversi step: una prima formulazione del problema, un primo reframing, dopo uno stimolo in logica individuale, un secondo reframing a livello di team. L’esperimento si è concluso con una fase di valutazione dei diversi percorsi.
È emerso che l’impiego di tutte le logiche cresce al progredire delle fasi, che serve tempo per migliorare il framing/reframing del problema, che sono molto utili gli stimoli esterni. Questi risultano particolarmente determinanti per il pensiero analogico, mentre per pensiero abduttivo svolgono ruoli contrastanti: creano confusione nella fase iniziale ma risultano efficaci successivamente, nel momento della riformulazione della sfida innovativa.
Un ulteriore esperimento, su cui non ci soffermiamo, ha riguardato l’uso del design narrativo al fine della formulazione e della risoluzione dei problemi di innovazione.
Nella sintesi di Claudio Dell’Era, Research Direction, Design Thinking for Business Observatory, emerge che, nell’ambiente VUCA in cui viviamo, le logiche creative vanno coltivate soprattutto per la loro capacità di migliorare la definizione del problema, ma va lasciato ai professionisti il tempo per assorbirle e metterle in atto. Per quanto riguarda il ruolo degli stimoli esterni per comprendere meglio il problema: “Non possiamo restare chiusi nella nostra bolla ma dobbiamo interfacciarci con i diversi stimoli di varia natura e origine”, è l’invito di Dell’Era.
Il nuovo manifesto del design, contro lo “userismo”
Un contributo importante viene, come sempre, dall’intervento di Roberto Verganti, Professor of Leadership and Innovation @ Stockholm School of Economics, Harvard Business School and Politecnico di Milano, che cercheremo a riassumere, se pur con difficoltà, in poche righe. Per la progettazione di un corso di design thinking, all’interno in un doppio master (in management e in design) all’università di Harward, sono stati coinvolti più attori in diverse aree, compresi gli stessi studenti.
Le domande fondamentali sono state sul futuro del design, su cosa cambiare, sulle sfide che attendono i designer, per chi si progetta. Soprattutto l’ultimo interrogativo ha attratto l’interesse per evidenziare come, negli ultimi anni, ci si sia così focalizzati sull’utente tanto da perdere il senso del contesto, come ben rappresentata l’immagine in figura del noto fotografo Karl Taylor.
Il risultato non sembra essere un mondo migliore. In ogni caso, la logica user-centred, se pure ha funzionato in passato, non sembra più adatta per affrontare i problemi del futuro sui quali le stesse imprese non hanno esperienza. Le nuove sfide impongono di dialogare molteplici interlocutori, compresi i dispositivi elettronici via IoT, e di tener conto di temi complessi come la sostenibilità. Serve dunque una prospettiva di innovazione guidata dal significato e dal valore. Far felice l’utente con buoni prodotti e vendere bene non basta più.
La sintesi del nuovo manifesto del design presentato da Verganti è: “Il mondo è inondato di userismo; il design ha perso la sua stella polare e amplificato la visione del mondo come stagno di utenti; dobbiamo progettare per il meglio di noi stessi (for our better self)”. Progettare anche per sé stessi dunque, oltre che per gli altri, assumendo l’idea del design come atto collettivo.