Basta con i progetti pilota, brillanti e tecnologicamente avanzati ma buoni soprattutto per i convegni e non per tradursi in reali servizi per i cittadini; e stop anche a lamentele e recriminazioni. Nell’ultimo anno il clima è cambiato; ne è espressione il “Vademecum per la città intelligente”, realizzato dall’Osservatorio Nazionale Smart City di Anci, in collaborazione con Forum Pa.
Il rapporto tiene conto della peculiarità del tessuto urbano italiano. Nel nostro Paese sono infatti presenti solo 15 città con più di 200.000 abitanti, mentre le città medie (per le quali non esiste un’esatta definizione, ma che possiamo intendere con un numero di abitanti da 50mila a 200mila), molte delle quali manifestano la propensione allo sviluppo sostenibile e intelligente, rappresentano la grande maggioranza; sono infine presenti oltre 6mila comuni con meno di 5mila abitanti, che pur non potendo rientrare nei progetti smart city non devono essere lasciati indietro.
Il Vademecum è il risultato del confronto fra 41 delle 58 città aderenti all’Osservatorio che hanno avvertito il bisogno di essere supportate nel processo di trasformazione, mettendo in comune le expertise, ma anche gli errori da non ripetere.
Ne sono nate più di 200 pagine di indicazioni operative per governare il processo di pianificazione della smart city e una raccolta di tool nella logica del riuso. È infatti la replicabilità dei modelli presentati, il valore di questo strumento che può fungere da bussola nel percorso per la creazione della Smart City.
Lo store dell’innovazione delle città
Il Vademecum può rappresentare “lo store dell’innovazione delle città, messo a disposizione di tutti”, ha detto Francesco Profumo, oggi presidente di Iren (multiutility torinese) e Ministro dell’Istruzione del passato Governo Monti, intervenuto a nome della Presidenza di Anci al convegno di presentazione di Smart City Exhibition. “Perché ogni città deve avere un’applicazione per la gestione dei trasporti, per gestire i parcheggi, per monitorare la qualità dell’aria?”, si è chiesto.
Se il Vademecum contribuisse a condividere e replicare solo la parte soft, seppur con la replica della componente hardware a livello locale, si avrebbero risparmi significativi.
L’intelligenza delle città non va però pensata solo per fornire servizi migliori a costi più bassi, ma anche per realizzare città più amichevoli, viste inoltre come luogo di produzione: è questa l’idea di Profumo. “Il Paese ha bisogno di creare lavoro, anche se dobbiamo essere consapevoli che il nuovo lavoro sarà diverso da quello perso. E si deve partire dalle città per crearlo. La smart city deve essere anche l’occasione per creare un senso maggiore del bene comune che oggi è venuto meno, incominciando dalle scuole”, ha aggiunto.
Il Vademecum può essere dunque interpretato come un primo passo verso la creazione di un network di esperienze, dove lo scambio rappresenta la vera risorsa. “Non abbiamo voluto fornire, ancora una volta, indicazioni metodologiche, ma offrire suggerimenti concreti soprattutto per evitare di investire risorse e tempo in progetti che hanno un impatto modesto se non inseriti in una visione strategica e integrata della città”, ha esordito Paolo Testa, Direttore Cittalia – Anci Ricerche e Responsabile dell’Osservatorio Nazionale Smart City, presentando il lavoro.
Il documento è diviso in quattro capitoli: i punti cardinali della smart city; gli step della programmazione; i risultati della ricerca che fanno il punto sull’avanzamento dei progetti nelle città; le schede, una per città, che indicano i progetti attivi.
Il vademecum in breve
I punti cardinali per un Comune che voglia intraprendere il percorso verso la smart city sono:
1 – Avere un’idea di città. “È elementare, ma necessario. Qualunque progetto, per quanto interessante, dovrebbe essere commisurato a come si pensa il futuro delle città nei prossimi 15-20 anni. Un’idea che deve fare i conti con problemi attuali come la perdita di posti di lavoro e dunque confrontarsi con un’idea di sviluppo economico del proprio territorio”, ha detto Testa.
2 – Avere un piano, con un percorso fatto di passi definiti.
3 – Avere le risorse per farlo. “Sappiamo che non dipende solo dal Comune. Da solo non potrà creare la smart city; ma è necessario che inizi a ragionare in termini di progettazione finanziaria, individuando un portafoglio di strumenti, dai più tradizionali a quelli più innovativi, fino alla partecipazione a bandi europei, nazionali, regionali”, ha detto ancora Testa.
4 – Darsi l’organizzazione adatta. “Gli strumenti di governance non bastano, serve anche un’organizzazione territoriale dotata di conoscenze, competenze, capace di attivare le risorse sul territorio”, ha sottolineato Testa.
La seconda parte del Vademecum è il risultato del lavoro di riflessione delle città promotrici che, all’interno dell’Osservatorio, hanno condiviso i passi che stanno facendo sui propri territori in termini di pianificazione della smart city: approcci, soluzioni, metodi e schemi d’azione.
Per partire è necessario conoscere i bisogni e le risorse del proprio territorio. “Per farlo è utile usare strumenti avanzati, come per esempio il cruscotto del Comune di Torino realizzato in collaborazione con Csi Piemonte e il Politecnico di Torino, ICityRate [vedi articolo correlato dal titolo "Le smart city si misurano"] o altri strumenti di analisi, accettando il rischio di rivedere idee precostituite. Si tratta sostanzialmente di saper gestire le informazioni di cui il Comune dispone”. Il Vademecum fornisce indicazioni su strumenti di tipo tecnologico e organizzativo per conoscere in modo approfondito la realtà della città in cui l’amministrazione opera. Si va da strumenti di integrazione dei dati, alla definizione di indicatori e indici, dal suggerimento di ricorrere ai network sociali per raccogliere dati, informazioni e opinioni dai cittadini, a sistemi per stimolarne la propositività in una logica crowdsourcing; si propone inoltre di usare strumenti quali gli analytics, di creare un city dashboard e ricorrere a tutte le tecnologie disponibili come big data, data visualization, open data management…
Si devono poi individuare i soggetti attivi (popolazione, imprese, altre amministrazioni) senza i quali la smart city non si fa: “Questo passaggio, che implica il coinvolgimento di diversi soggetti per produrre valore insieme all’ente locale, è indispensabile per un’evoluzione dell’ente dall’essere mero produttore di servizi all’essere centrale di governance”, ha precisato Testa.
Un tema particolarmente delicato è quello dell’organizzazione interna e delle competenze necessarie. “Nel Vademecum facciamo riferimento a un atlante di competenze definite dal Formez [progetto europeo nell’ambito del programma Leonardo da Vinci, Euskills 4PA coordinato dal Formez, il centro servizi, assistenza, studi e formazione per la modernizzazione della Pa ndr], che condividiamo. Purtroppo c’è ancora molta distanza fra le professionalità presenti e quelle individuate anche nelle amministrazioni più evolute. Spesso però le competenze sono presenti in modo nascosto. Si tratta allora di individuare le persone che rispondono già ai nuovi requisiti, e quindi già in grado di lavorare, e quelle su cui investire”, ha detto ancora Testa, sottolineando che l’evoluzione verso la smart city va visto come un problema di change management e dunque ci si deve dotare degli strumenti per aiutare il gestore del percorso a monitorarlo e a conoscere in ogni momento i passi da fare.
Un altro problema critico è quello della governance, per la quale il report indica alcune esperienze. Torino ha scelto di creare una Fondazione mentre Genova ha optato per l’associazione; La Spezia ricorre a un dipartimento interno, Bergamo sta sperimentando l’associazione, mentre l’Unione della Romagna Faentina ha adottato la forma dei cosiddetti territori ibridi, che aggrega più Comuni di diverse dimensioni e caratteristiche sotto l’indirizzo politico di una giunta formata dai sindaci e un sindaco assessore delegato designato. Ma come risulta dall’indagine sui Comuni di seguito riportata, fra chi ha già scelto domina la struttura interna.
Come si è detto a più riprese e ha ribadito Profumo nel suo intervento, le risorse finanziarie ci sono e il Vademecum le elenca. “Il nostro suggerimento è trovare un buon mix “, ha detto Testa, sottolineando che siamo nella delicata fase di passaggio a un nuovo periodo di programmazione dei finanziamenti europei per il periodo 2014-2020: “Ci aspettiamo regole nazionali e regionali che semplifichino l’utilizzo dei finanziamenti, ma nelle città si deve essere preparati a fare una progettazione rigorosa. Partecipare a progetti europei complessi significa avere persone dedicate, che hanno le capacità e che conoscono le lingue europee. Sembrano banalità, ma non lo sono affatto”.
Molto importante infine il tema della misurazione dei risultati e il monitoraggio. “Anche chi è abituato a fare progetti sa bene che raramente ci si dota di questi strumenti. E questo è il risultato di una scarsa attenzione alla misura del ritorno degli investimenti. Nei progetti per le smart city, i Comuni dovrebbero invece riservare una quota adeguata al monitoraggio e alla valutazione dei risultati”.
A che punto sono i Comuni?
All’interno del Vademecum sono riportati anche i dati di un’indagine svolta fra 58 Comuni che partecipano all’Osservatorio da cui risulta che:
Il 79% ha avviato la programmazione ed è partito con la pianificazione della smart city.
Molti stanno già cercando i fondi.
Si è molto indietro sugli strumenti di monitoraggio.
In un terzo delle amministrazioni che ha già scelto la forma di governance, risulta predominante la struttura interna; chi ha invece deciso di avvalersi di organizzazioni esterne lo ha fatto in nome di una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse. Due terzi devono ancora definire la forma di governance.
A chiusura del Vademecum sono riportate 58 schede nelle quali i Comuni raccontano i progetti attivi, una rassegna unica che vale la pena di analizzare puntualmente e per la quale rimandiamo al report, disponibile online sul sito cercando “Vademecum sulle città intelligenti”.
In conclusione…evitiamo la frammentazione
“Con questo lavoro riteniamo di aver tracciato la road map verso una città intelligente, avendo messo a disposizione delle amministrazioni elementi significativi per riutilizzare non tanto tecnologie quanto un sistema di lavoro a partire da approcci diversi e differenti chiavi di interpretazioni. Certo non avremo 8mila Comuni smart, ma cercheremo di indirizzare le poche città di dimensione europea e le medie città che possono rappresentare il laboratorio per sperimentare, mentre si dovranno trovare altre forme per coinvolgere anche i 6mila comuni sotto i 5mila abitanti”, ha detto in conclusione Antonella Galdi, responsabile Innovazione di Anci, ricordando le opportunità derivanti anche dalle scelte dell’Europa che ha deciso di investire sulle smart city e, in generale, sulle città considerare fattore di sviluppo.