La gestione delle infrastrutture e dei grandi asset strategici per il paese implica sforzi considerevoli, dal punto di vista organizzativo e operativo, che portano a grandi costi. La gestione della manutenzione è una delle voci di spesa che il digitale può contribuire ad alleggerire in modo considerevole, ma per le grandi infrastrutture e i grandi asset servono tecnologie e competenze adeguate, oltre a una capacità di visione in grado di abbracciare le frontiere dell’innovazione.
L’azienda I-am, specializzata in Infrastructures Asset Management, conosce bene questa problematica e si propone di affrontarla mettendo in campo le tecnologie più avanzate con competenze ingegneristiche specialistiche e approfondite. Abbiamo intervistato l’Ing. Domenico Andreis, CEO dell’azienda, per capire come sta cambiando il mondo delle grandi infrastrutture.
Una gestione innovativa degli asset è fondamentale
Per inquadrare l’ambito, è fondamentale comprendere l’impatto delle dimensioni. Andreis ci ricorda che gli asset di cui si occupa I-am sono quelli gestiti da grandi enti concessori e grandi manutentori. “È importante sottolinearlo, perché in questo contesto la gestione puntuale degli asset ha varie motivazioni e assume un significato di particolare rilevanza.”
Prima di tutto, spiega Andreis, nel nostro paese molte infrastrutture stanno invecchiando o sono invecchiate. La maggior parte di quelle viarie, per esempio, ha dai 40 ai 50 anni ed è realizzata soprattutto in cemento armato. Un materiale su cui disponiamo di pochi dati, in particolare per quanto riguarda la vita media. Le sue applicazioni risalgono a poco più di un secolo fa, successivamente al terremoto di Messina (avvenuto nel 1908 – n.d.r.). Gli studi più accreditati dicono che dopo 70 anni serve applicare una manutenzione importante, quindi siamo vicini alla data limite. In questo scenario il concept di servizio e intervento proposto da I-am per la salvaguardia della sicurezza assume una valenza di primo ordine.
Poi, ricorda Andreis, la complessità e l’onerosità delle operazioni di manutenzione di questi asset è un costo per i contribuenti. Per questo motivo è importante usare le potenzialità del digital per sfruttare al meglio i budget e fare interventi mirati, ottenendo un rapporto tra costo ed efficienza migliore possibile.
Inoltre, dal momento che si tratta di infrastrutture che servono il Paese, la business continuity è ancora più importante che in contesto aziendale. Pensiamo per esempio a cosa può succedere con una interruzione di fornitura di energia agli ospedali.
Infine, oggi è necessario gestire la complessità. Anche le grandi infrastrutture sono sempre più interconnesse tra loro e con quello che gli sta intorno. I-am propone ai gestori infrastrutturali europei un mix di ingegneria e digitalizzazione per una gestione più efficiente di questa complessità.
Dopo Industria 4.0, un concetto ormai consolidato, si inizia a parlare di manutenzione 4.0.
Per cambiare il paradigma della manutenzione e uscire dalle logiche di contingenza ed emergenza, oggi la tecnologia offre strumenti sempre più avanzati. Fra questi, il punto più alto in termini di innovazione è senza dubbio il Digital Twin. “I-am lo sta sviluppando con alcuni dei gestori più innovativi del mercato” – ci ricorda Andreis – “Per semplificare possiamo definirlo come uno specchio che utilizza i dati principali per simulare il sistema”
Perché funzioni, il primo passaggio è quello di identificare i dati importanti per ogni modello. Con le logiche di progettazione digitale, soprattutto attraverso ilBIM, Building Information Modeling, si possono individuare i set di dati digitali che identificheranno il Digital Twin nel corso della vita del prodotto. A partire da un data lake, si implementa un sistema di monitoraggio corretto, attraverso il quale i dati vengono “ingestiti” in una piattaforma di asset management. I-am lavora con le più robuste del mercato: Hexagon e IBM.
Dalla progettazione all’ingestione, il Digital Twin non rimane un progetto, ma diventa una risorsa operativa. Il modello viene aggiornato e i dati rilevanti evolvono e tracciano la storia dell’infrastruttura. Attraverso le informazioni raccolte è possibile sviluppare algoritmi che possono replicare l’andamento dell’asset in base alla storia di degrado precedente. Sia in termini predittivi, sia per ripercorrere la storicità del prodotto.
Gli altri pilastri fondamentali della manutenzione 4.0 sono la manutenzione predittiva, la gestione preventiva del rischio e la business continuity, discipline più consolidate ma fondamentali per l’efficacia di un progetto con questo livello di complessità.
I principi alla base del Digital Twin
Il Digital Twin è un modello digitale di una risorsa, reso il più possibile aderente alla realtà dall’uso strutturato dei dati e di soluzioni tecnologiche avanzate. Uno specchio realizzato orchestrando intelligenza artificiale, asset management, IoT e ERP, oltre a un solido sistema di raccolta, ingestione e organizzazione dei dati. Naturalmente non è possibile usare la totalità dei dati possibili in un modello di questo tipo, ma si può usare la porzione più significativa per ciascuna tipologia di asset. Dati, metadati e parametri essenziali sono scelti già in fase di progettazione, identificando la “parte” dello specchio che serve monitorare nella gestione dell’infrastruttura.
L’integrazione di tutto questo costituisce il fondamento del Digital Twin, che riporta la realtà reale in una realtà virtuale in cui, per esempio, è possibile anche fare anche prove attraverso il confronto matriciale in un contesto simulato meno costoso. In definitiva, il Digital Twin è una rappresentazione virtuale di una cosa reale capital intensive, nata per cercare di anticipare gli avvenimenti.
Un ecosistema comune per i dati è il bisogno principale delle aziende
Il primo passaggio in cui le aziende necessitano di supporto, ci ricorda Andreis, è senza dubbio la costruzione del data lake, fondamentale perché mette in contatto l’asset con quello che gli sta intorno. Per esempio, nel caso dei ponti, si utilizzano parametri IOT che riportano criticità idrogeologiche, attivando anche warning per gli utenti nel caso in cui i dati suggeriscano una situazione di rischio.
“Penso che sia importante ribadire che i data lake oggi non servono solo in termini di efficientamento e in ambito predittivo, ma anche come strumento di autotutela e per le logiche emergenziali, anche nei confronti per esempio della protezione civile” continua Andreis.
In quest’ottica, le infrastrutture potrebbero diventare un telaio diagnostico se opportunamente tutelate e implementate: in altre parole i dati raccolti potrebbero essere messi a disposizione della comunità, sia ai fini di analisi statistica, sia per una gestione migliore delle emergenze.
Un altro passaggio fondamentale è la selezione dei dati: serve la capacità di capire quali sono rilevanti. Per farlo nel modo migliore la base di approccio di I-am è del tipo human in the loop: l’intelligenza artificiale non si autoregola, sono necessarie supervisione e gestione dei dati. Un esempio è l’uso delle immagini: a partire dalle fotografie è possibile conferire a queste un significato tecnico di degrado, cioè addestrare un’intelligenza artificiale a valutarne il livello. I-am sta seguendo questa strada con uno dei gestori più all’avanguardia nel mondo, ma l’apporto dato dalle competenze umane è (e rimarrà) sempre fondamentale.
In altre parole, è possibile automatizzare molte delle procedure, anche di controllo, ma l’algoritmo va educato e monitorato costantemente, in una commistione di ingegneria e deep learning. “Questa è la base della value proposition di I-am: l’abbinamento fra competenze verticali di ingegneria e potenzialità digitali abilitanti” specifica Andreis.
Infine, un passaggio fondamentale è quello di supportare le aziende nell’integrazione dei dati: oggi non è pensabile, nemmeno sotto il semplice profilo organizzativo, che i dati siano stoccati in silos compartimentali. Bisogna aiutare le aziende a gestire questo patrimonio che oggi spesso esiste solo a livello di potenziale.
Un approccio olistico: la convergenza di dati, soluzioni e tecnologie è sempre più importante
Fondamentalmente, il tema sono le competenze e l’abilitazione reciproca delle competenze. Gli strumenti digitali hanno potenzialità notevoli, ma devono essere sviluppati con il giusto approccio. In questo l’ingegneria svolge un ruolo fondamentale per capire il funzionamento dei dati. Per esempio, nel caso dei ponti, i movimenti devono essere gestiti e monitorati anche in funzione delle frequenze, per evitare problemi sia di vibrazioni, sia di sollecitazioni “in risonanza” che rischiano di causare danni.
“In questo contesto possiamo definire l’approccio olistico come l’abbinamento della capacità tecnica, abilitata e potenziata dalle capacità digitali, che vanno gestite ed educate. Analogamente, è fondamentale l’integrazione. Se i dati sono compartimentati, l’azienda non può essere efficiente” spiega l’ingegnere di I-am.
Per esempio, se un’azienda progetta impianti eolici che, subito dopo l’installazione presentano problemi frequenti di rotture agli inverter, è indispensabile che il feedback arrivi dalle operazioni alla progettazione nel modo più efficiente possibile. Altrimenti quest’ultima non saprà mai che gli inverter si rompono sovente e non potrà mai migliorare il prodotto. In altre parole, un common data environment permette di migliorare il ciclo di vita del prodotto, non solo in fase di manutenzione, ma anche di progettazione.