Prospettive

Da AI a Blockchain: come gli studi professionali affrontano l’era 4.0

Gli studi professionali si affidano al digitale soprattutto per semplificare i processi, aumentare la retention, adeguarsi allo smart working e proteggersi da minacce esterne. La trasformazione è in atto ma è meno rapida rispetto a quelle delle imprese. Ciò fornisce agli studi l’opportunità di creare un vantaggio competitivo investendo in innovazione

Pubblicato il 17 Nov 2022

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Sia pur con caratteristiche peculiari e un’accelerazione meno marcata rispetto ad altri settori, la trasformazione digitale degli studi professionali è un percorso avviato e in evoluzione. I driver d’innovazione sono noti: costruire e rafforzare il vantaggio competitivo, sviluppare nuovi servizi e modelli di business, recuperare efficienza e perfezionare la relazione con i clienti, garantendo experience d’eccellenza.

Digitale e studi professionali: lo stato dell’arte

Naturalmente, l’obiettivo che ha spinto la maggior parte degli studi verso progetti di digitalizzazione è l’efficientamento dei processi. Come da copione, poi, la pandemia ha determinato un focus importante sul digitale, spingendo gli investimenti in ICT con un +8% nel 2020 e +3,8% nel 2021. Complice la riduzione dei limiti pandemici, l’Osservatorio del Politecnico di Milano stima che la crescita venga quasi azzerata (+0,2%) nel 2022 e che la spesa si mantenga su poco meno di 1.8 miliardi di euro.

Secondo una recente ricerca dell’Università di Pavia, l’investimento per singolo studio sarebbe comunque limitato: due studi su tre non spendono più di 5mila euro all’anno in innovazione digitale, e solo il 9,2% si spinge a 15mila euro.

La situazione è molto frammentata. In questo settore coesistono soggetti agili e innovativi e strutture dalla maturità digitale piuttosto lacunosa. Pur tenendo conto delle differenze tra le attività e le dimensioni degli studi, parrebbe che il vincolo culturale rappresenti in ogni caso il freno maggiore alla piena digitalizzazione della struttura e dei suoi processi, superando di gran lunga i vincoli normativi e i timori legati alla sicurezza e alla protezione del dato.

In alcuni casi, questo può determinare un allontanamento tra lo studio e i clienti (aziende), che invece hanno accelerato sul fronte del digitale e vorrebbero una relazione smart, veloce ed efficiente con i propri consulenti. In quest’ambito si inquadra tutto il tema dello smart working e, tra le fattispecie operative, dell’apertura del gestionale ai clienti per lo scambio rapido e sicuro di documenti e informazioni.

Tecnologie abilitanti: un percorso in divenire

Per quanto concerne l’abilitazione tecnologica, le informazioni disponibili disegnano un quadro in graduale (e talvolta lento) divenire: l’Università di Pavia, a titolo d’esempio, sottolinea quanto la digitalizzazione sia spesso limitata a un gestionale e sistemi di backup e restore. Più in generale, per quanto le fonti rilevino un’adozione pressoché generalizzata di sistemi di fatturazione elettronica, di piattaforme per le videochiamate e di soluzioni di archiviazione digitale a norma, la strada da percorrere sugli aspetti più innovativi del cambiamento è ancora lunga: Machine Learning, AI, Business Intelligence e Blockchain sono temi spesso ancora da valutare e ben poche realtà (meno del 5%) ne stanno già sfruttando il valore.

Il quadro appena disegnato limita fortemente la reale portata della trasformazione, che in realtà potrebbe/dovrebbe permettere agli studi di proporre servizi innovativi ai clienti (magari basati sulla valorizzazione dei loro dati), sviluppare nuovi modelli di business e, di fatto, portare reale innovazione nelle rispettive discipline, alimentando il proprio vantaggio competitivo. L’obiettivo finale della trasformazione è precisamente questo.

Data is king

Digitalizzare significa sfruttare l’immenso potenziale dei dati a propria disposizione, dopo aver soddisfatto le esigenze di protezione e conformità normativa. Il potenziale, sotto questo profilo, è immenso. L’esempio tipico è quello dei commercialisti: le strutture dispongono di grandi quantità di dati dei clienti, la cui valorizzazione potrebbe essere lo spunto per generare nuovo business e servizi innovativi, che non necessariamente devono avere un sapore futuristico. Per aiutare lo studio ad attrarre nuovi clienti e a fidelizzare gli esistenti, potrebbe essere sufficiente una dashboard analitica con bilanci grafici sull’andamento dell’azienda nel contesto del mercato e qualche previsione (AI) sul prossimo futuro.

Gli studi più grandi potrebbero poi intraprendere progetti innovativi, come acquisire e aggregare informazioni per fornire ai clienti dei data product su cui prendere decisioni strategiche. Questo potrebbe non soltanto aprire nuove fonti di introito, ma determinerebbe una forte evoluzione nel posizionamento dello studio, che da fornitore di servizi diventerebbe sempre più un partner strategico. Il fatto che Business Intelligence, AI e Machine Learning non siano ancora particolarmente diffusi si traduce quindi in un’opportunità da cogliere.

Nel frattempo, l’AI potrebbe avere un impatto estremamente positivo nella relazione con il cliente e nell’area contabile, laddove la marginalità è bassa e si rileva una forte pressione sul prezzo. L’adozione di tecnologie di automazione robotica (RPA) o intelligente (IPA), proseguendo lungo il trend della hyperautomation, potrebbero abbattere le esecuzioni manuali di procedure ripetitive e permettere ai commercialisti di “riappropriarsi” degli aspetti consulenziali e a valore aggiunto della professione. Sul versante legale, un interessante use case di AI sono le research solutions, in grado di creare efficienza all’interno di un panorama normativo e giurisprudenziale sempre più complesso.

Innovazione negli studi legali, e il caso di Blockchain

Fonti d’oltreoceano confermano un forte incremento di spesa tecnologica da parte degli studi legali, trascinato da fattori fisiologici come il passaggio verso un modello subscription-based, l’esigenza di ottimizzare il bagaglio tecnologico a supporto del lavoro ibrido e di rafforzare la postura di sicurezza.

Oltre a ciò, Law.com fa notare l’esistenza di un segmento molto interessante il cui investimento tecnologico è strategico e proattivo, finalizzato a gestire al meglio un’era di assoluta incertezza come l’attuale. Due i filoni principali: semplificazione delle operation e valorizzazione del dato. A titolo d’esempio, le soluzioni di estrazione “intelligente” di informazioni da documenti legali sono un pilastro dell’universo LawTech.

Il settore legale ripone inoltre speranze in blockchain e nelle sue peculiarità, per quanto gli investimenti siano ancora ridotti in termini di volumi (ma in crescita). L’accessibilità, la trasparenza, la sicurezza, l’automazione, l’efficienza e la data integrity, caratteristiche da sempre associate al distributed ledger, trovano terreno fertile nelle pratiche legali e notarili.

Un filone interessante, infine, è quello delle soluzioni di document management (DMS), per non parlare dell’universo degli smart contract, i contratti “in codice” che garantiscono affidabilità, sicurezza e automazione lungo tutta la fase esecutiva, moltiplicando sicurezza ed efficienza rispetto alla gestione tradizionale.

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