La società in genere e le imprese all’interno di essa, nello specifico, si trovano oggi in una fase di profonda trasformazione dei modelli di sviluppo di riferimento. Ci si sta spostando, seppur lentamente, verso un’economia più sostenibile un modo più socialmente responsabile di fare impresa che si aggancia a modelli di consumo che stanno cambiando (consideriamo il fenomeno di un’economia che sta evolvendo da una logica di possesso/prodotto a una maggiore condivisione – sharing economy/servizio). Si sta facendo strada, ormai da alcuni anni, una dimensione più etica di fare business intesa come modalità importante per traguardare nuovi obiettivi di profitto, perseguiti tuttavia con modalità diverse dal passato, meno brutali nei confronti di ambiente e persone, attraverso il presidio di mercati composti da utenti/consumatori altamente esigenti e attenti a nuove modalità partecipative e di fruizione di beni e servizi. Stiamo parlando di un radicale cambiamento che si ripercuote inevitabilmente nell’organizzazione, nei processi e nelle competenze presenti in impresa, le quali si riversano a cascata sulle scelte strategiche di fondo dei sistemi informativi. L’ormai innegabile pervasività tecnologica (dentro e fuori l’impresa) può essere ‘subìta’ (non c’è modo di arrestarla!), o ‘cavalcata’ proattivamente dal dipartimento It: la prima scelta denota, a nostro avviso, un cieco e autolesionista immobilismo le cui conseguenze, inevitabili, sono la perdita di credibilità e il ‘sorpasso’ a destra da parte delle line of business che confineranno le figure Ict a ‘meri esecutori e installatori’ (con tutte le criticità del caso sul fronte del controllo, dell’integrazione, della sicurezza, ecc.).
Siamo ben consapevoli del fatto che scenari di questo tipo, per molte realtà italiane, debbano ancora affermarsi, ma siamo al tempo stesso convinti dell’assoluta concretizzazione di tale trasformazione che, in alcuni casi, possiamo già ‘testare’ in qualità di utenti/consumatori: pensiamo all’emblematico caso di Nike, riuscita ad aggredire il mercato del wellness e dell’healthcare proprio grazie all’utilizzo massivo della tecnologia (lungo tutti i processi e le funzioni aziendali e nella definizione di nuovi modelli di ingaggio e inclusione). Le realtà italiane sono, a livello generale, ancora abbastanza lontane da Nike, è vero, ma ciò su cui vi invitiamo a riflettere non è tanto sullo stato di avanzamento di queste complesse trasformazioni prospettate, quanto, piuttosto, sul livello di consapevolezza dei Cio, sulla loro (nostra) voglia e capacità di guidare questi percorsi, di farne parte attraverso un’inevitabile serie di ‘contaminazioni culturali’ complesse, faticose, provenienti da diverse direzioni: quella relazionale/umana, con la voglia di mettersi in gioco nel comprendere la spinta innovativa di nuove generazioni che entrano in azienda; quella tecnologica, con modelli di fruizione It totalmente mutuati dal mondo consumer e spesso in aperto contrasto con le logiche di governance e security dell’azienda; quella proveniente dal business, con esigenze di operatività e di relazione spesso distanti dalla formalizzazione e pianificazione tipiche della cultura Ict.
Cio: unico canale di accesso al digital business
Il Cio potrebbe (e secondo noi deve) assumere una posizione rilevante in questo percorso in quanto canale di accesso per l’azienda al mondo digitale. Per permettere alle nuove tecnologie di affermarsi in azienda ha bisogno però di cambiare la visione e la sua mission (dentro e fuori all’area Ict): le doti tecnologiche dovranno integrarsi con quelle manageriali per riuscire a ‘plasmare’ la tecnologia sul processo di business, comprendendone gli obiettivi e sapendone, con una vista integrata, trasmettere il valore all’esterno.
Che la tecnologia debba supportare l’organizzazione aziendale mettendo a disposizione le soluzioni atte a permettere il raggiungimento degli scopi prefissati, e debba essere parte integrante della conoscenza aziendale e dei processi che deve integrare e facilitare, non rappresenta certo una novità: è da quando è nato l’Ict che se ne parla. Ecco, oggi il ‘tempo delle chiacchiere’ sembra giunto al termine per lasciare spazio al ‘tempo del fare’: rispetto al passato non abbiamo un problema di mancanza di mezzi idonei (di tecnologia ce n’è più che in abbondanza); quello che manca è la capacità di execution, di capire e trarre valore dal suo reale utilizzo.
La figura del Cio deve allora seguire un’evoluzione rispetto ‘ai tempi che corrono’ e passare da ‘tecnologo’ in senso stretto, oramai non più sufficiente, a una più ampia competenza di ‘Digital Business Advisor’, in grado di conoscere e comprendere le necessità aziendali sotto vari punti di vista (tecnici, economici, umani, culturali, politici), avendo quindi un’ampia visione generale che gli consenta di colloquiare, suggerire, impostare, guidare e indirizzare i cambiamenti e le innovazioni che la tecnologia consente nel modo più proficuo per l’organizzazione aziendale.
Senza dimenticare o perdere di vista un fatto importantissimo, che nella teoria riconosciamo tutti ma che poi nel day by day ‘dimentichiamo’: ogni azienda è costituita da un insieme di componenti di tipo organizzativo, economico, sociale, politico e naturalmente anche tecnologico che costituiscono appunto l’entità ‘azienda’; è fondamentale, oggi più che mai, capire e individuare le relazioni e le dipendenze esistenti tra le varie componenti, gli eventuali problemi, le debolezze ma anche gli elementi di forza e di valore dell’azienda che è a tutti gli effetti un sistema e che può essere più o meno complesso a seconda del numero delle parti che lo compongono (settori, divisioni, Lob, sistemi e applicazioni, ecc.) e delle variabili esistenti (umane, organizzative, tecnologiche ecc.), al pari di altri sistemi esistenti in natura o creati dall’uomo.
La novità degli ultimi anni, ossia la consumerizzazione dell’It che ha spalancato le porte, spesso chiuse, delle aziende attraverso le forze mobile, social, cloud e big data di cui tanto dibattiamo, non è altro che un naturale e inevitabile risultato di una serie di spinte più o meno sotterranee intrinseche nella natura stessa del capitalismo, in generale, e dell’industrializzazione tecnologica, nello specifico.
Vista dal lato più semplice, fino a quando una tecnologia è sufficientemente immatura da dover essere intermediata da una struttura ‘umana’, la figura del ‘tecnico’ è (appare) indispensabile. Appena però la tecnologia si fa più matura l’utilità del tecnico-interfaccia viene meno. Oggi il business dell’It ne farebbe volentieri a meno, se non fosse divenuto ormai un fattore critico di successo attraverso il quale costruire nuove linee di differenziale competitivo (non è un caso che per i Ceo la tecnologia rappresenti il fattore numero uno che più impatterà sulle strategie aziendali future – fonte: The Customer-activated Enterprise, studio Ibm condotto in 70 Paesi su 4.183 top executive tra cui 884 Ceo).
Ed è proprio qui la chiave interpretativa che dovrebbe spingere un Cio ad abbandonare le ‘comode poltrone’ (seppur faticosamente conquistate) per rimettersi in gioco e dimostrare il peso di questo ‘fattore critico’.
Pochissimi Cio hanno capito che l’avvicinamento alle business line non è l’effetto di un movimento dell’It verso le ‘alte vette’ strategiche ma il suo esatto contrario. Le notizie oggi sono dunque due: una buona e una cattiva. La cattiva è che la figura del Cio o dell’It manager come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi sta scomparendo; quella buona è che coloro che lo hanno capito hanno davanti a sé nuove interessantissime opportunità da esplorare.
*L’articolo è stato realizzato grazie al contributo di Emanuele Andrico, It manager Core Business Edipower; Nicoletta Boldrini, giornalista ZeroUno; Simone Bosetti, Head of IT & Operations April Italia; Italo Candusso, Ict Manager 3V Sigma e Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno