Una delle principali conseguenze della nuova era industriale, caratterizzata da una spinta di digitalizzazione della società [vedi Storia di Copertina del numero di gennaio-febbraio di ZeroUno ndr], è la necessità di “re-inventare” i settori tradizionali all’insegna di una innovazione non solo di tipo tecnologico ma anche organizzativo e di modelli di business. L’Unione Europea, preoccupata della scarsa propensione all’imprenditorialità innovativa nel Vecchio Continente, ha intrapreso una serie di azioni per stimolare la nascita di nuove imprese. Prevale infatti la consapevolezza che il tempo in cui ci si affidava alle grandi imprese e ai governi per la crescita dell’occupazione sia definitivamente passato e che i posti di lavoro persi negli ultimi 5 anni non torneranno negli stessi settori.
Startup Europe Leaders Club è una delle iniziative messe in campo dalla Ue, promossa direttamente dalla Vice Presidente della Commissione Europea, Neelie Kroes, che raggruppa fondatori di imprese tecnologiche e vuole rappresentare una guida per rafforzare il settore dell’imprenditoria del web in Europa. Il primo risultato è stato il Manifesto per l’imprenditorialità e l’innovazione per sostenere la crescita nell’Ue.
Startup innovativa: la carta di identità
Anche in Italia le cose stanno rapidamente cambiando, anche a seguito della legge sulle startup (Legge 221/2012 che ha convertito il DL Crescita 2.0) il cui recente decreto attuativo per le agevolazioni fiscali a favore di coloro che investono in start up innovative (in fase di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) va a completare la possibilità di sgravi fiscali per privati e aziende che investono in start up innovative.
Come ha ricordato Mattia Corbetta, della Segreteria Tecnica del Ministro dello Sviluppo economico, in occasione della presentazione dello studio The Italian Startup ecosytem realizzato dall’associazione Italia startup e dalla School of Management del Politecnico di Milano, la sfida principale per la nuova normativa è stata la definizione di startup innovativa. A questa si è arrivati attraverso un processo che ha portato alla formulazione del progetto Restart Italia (un dettagliato rapporto che raggruppa le proposte di rilancio economico della Task Force istituita dal Ministro dello Sviluppo Economico del governo Monti, Corrado Passera). Partita da un gruppo di lavoro di 12 persone con esperienza nell’ambito dell’imprenditoria innovativa, l’analisi è stata riversata nel decreto Crescita 2.0 e trasformata in norma operativa, dopo una fase di consultazione diretta e online.
La nuova normativa considera startup innovative le società di capitale nate da meno di 4 anni, con meno di 5 milioni di fatturato e caratterizzate dalla produzione di beni o servizi ad alto contenuto tecnologico. Ma perché distinguerle dalle altre nuove imprese? “Riteniamo che solo le più innovative siano in grado di fornire prodotti e servizi nuovi anche ai settori tradizionali con la capacità di rilanciare la competitività e la crescita e generare nuova occupazione, in particolare giovanile – ha spiegato Corbetta – Possono inoltre contribuire all’attrazione di capitale, finanziario e umano, dall’estero e favorire la mobilità sociale”.
Come nasce e come cresce una startup
Una startup per nascere e crescere ha bisogno di un ecosistema favorevole che la accompagni nel suo cammino. La maggior parte delle startup nasce direttamente o indirettamente dal mondo universitario e della ricerca o da esperienze industriali dei fondatori in settori innovativi, mentre sono ancora pochi gli spin-off aziendali. Questa rappresenta una delle criticità. Sarebbe utile far capire alle imprese che creare spin-off o sostenere startup in settori contigui al proprio core può essere un modo di sperimentare l’innovazione senza rischi e sfruttando i vantaggi della nuova legge che prevede ad esempio la chiusura entro 3 anni senza le problematiche del fallimento, offre flessibilità nelle assunzioni, defiscalizza gli investimenti, semplifica la gestione aziendale.
Generalmente la startup nasce dunque da un’idea innovativa che deve tradursi in impresa attraverso l’individuazione di un mercato di riferimento a cui offrire il proprio prodotto/servizio e la definizione di un business plan sostenibile. A questa fase corrisponde la prima ricerca di capitali per l’avvio dell’impresa: prevalgono le cosiddette 3 F, che sta per family, friends and fools (fondi quindi raccolti nella rete di familiari, amici, conoscenti). Segue la ricerca di capitali di seed (fondi di investimento collegati ad attività di incubazione e business development) con investimenti da 50mila a 500mila euro, mentre il successivo sviluppo può prevedere successivi round di finanziamento, la quotazione in Borsa o l’acquisizione da parte di imprese già sul mercato. Queste conclusioni (il cosiddetto exit) sono fondamentali per gli investitori di seed che generalmente puntano a recuperare il proprio capitale, opportunamente incrementato, nel giro di 3-4 anni al massimo. Diverso è il ragionamento se si tratta di investitori istituzionali che, pur puntando in ogni caso al recupero del capitale per poterlo re-investire in nuove imprese, non sono motivati nella loro attività dalla speculazione finanziaria.
Nelle prime fasi le imprese possono essere supportate da Incubatori, Acceleratori o Parchi tecnologici dove possono venire in contatto con imprese innovative già sul mercato.
L’ecosistema delle Startup
Perché si possa parlare di un sistema a supporto delle startup è necessario, come anche le esperienze internazionali insegnano, un ecosistema completo. La situazione italiana è stata fotografata dinamicamente in tutti i particolari nella mappa realizzata dall’associazione Italia startup e illustrata nel già citato studio The Italian Startup ecosytem.
L’analisi indica sette categorie che contribuiscono all’ecosistema italiano delle startup:
- Le startup finanziate, 119 ad oggi; fra queste sono prevalenti (oltre il 70%) le nuove imprese appartenenti al settore Ict e al digitale, seguite da cleantech ed energia (16%) life-science (9%) e altri settori (2%). Dal punto di vista geografico circa un terzo sono al Sud, grazie a bandi pubblici rivolti alle Regioni meridionali.
- Sono stati registrati oltre 100 fra incubatori e acceleratori, pubblici e privati che forniscono generalmente ospitalità, servizi (mentorship, networking, formazione…) e talvolta finanziamenti iniziali.
- Fra i Parchi scientifici e tecnologici (44 censiti) prevalgono quelli pubblici.
- Sono stati identificati 65 spazi di co-working che offrono generalmente ospitalità e servizi aggiuntivi, selezionando però solo quelli che hanno fra gli obiettivi anche l’ospitalità delle startup.
- Sono state registrate 34 startup competition (19 al Nord, 10 al Centro e 5 al Sud) che chiamano le nuove imprese a presentare i loro progetti generalmente a potenziali investitori e, talvolta, a grandi imprese.
- Sono state identificate anche 23 fra associazioni, risorse e comunità online, che in vario modo supportano le startup.
- È stata infine realizzata la mappa degli investitori (31) che vede una netta prevalenza al Nord (23), mentre solo 7 al Centro e uno al Sud (Vertis Venture con sede a Napoli).
Per quanto riguarda gli investimenti, nel 2012 sono stati erogati finanziamenti per un totale di 112 milioni di euro, per il 71% da investitori istituzionali e per 29% da business angel, acceleratori e Family officer. Le stime per il 2013 sono quantitativamente simili, ma con nuove dinamiche: dovrebbero diminuire (scendendo al 59%) i finanziamenti istituzionali focalizzati al Sud (per esaurimento dei fondi), mentre dovrebbe crescere il mercato privato oltre il 40%.
L’indagine fotografa le caratteristiche degli imprenditori fra cui dominano, in termini di competenze, quelle manageriali (83%) su quelle tecniche (17%); per quanto riguarda l’età, un quarto dei fondatori ha meno di 30 anni, il 30% fra 30 e 40 anni, mentre il 44% ha oltre 40 anni.
Eppur si muove…
La nuova normativa sta dunque stimolando la nascita di startup innovative: si erano registrate alle Camere di Commercio a metà febbraio circa 1600 nuove startup, circa metà delle quali al Nord, il 35% al centro e il 15% al Sud. Anche l’ecosistema se pur in fase di completamento, si va formando.
Sembra dunque centrato l’obiettivo della legge di rendere l’Italia un Paese più ospitale per le nuove imprese innovative, anche per tentare di innescare un’inversione di tendenza in fatto di crescita economica e di occupazione, in particolare giovanile. Ciò presuppone però anche l’impegno per un Paese più veloce e dinamico, capace di tornare a scommettere sulle sue energie migliori. Si tratta di innescare un circolo virtuoso che veda il Paese aiutare le startup, le quali, a loro volta, possono stimolare l’innovazione e rendere il Paese più competitivo.
La maggiore criticità deriva dal trasferimento dell’innovazione al mondo delle imprese, in settori più o meno tradizionali. Questo può rappresentare il vero sbocco per le startup che sopravvivono alle prime fasi per evitare da un lato di non trovare i capitali per prendere il volo e dall’altro di essere acquisite da aziende internazionali e di portare così all’estero la loro innovazione.
STARTUP INNOVATIVE: LA LEGGE IN 13 PUNTI
Ecco in sintesi i principali punti della Sezione IX (Misure per la nascita e lo sviluppo di imprese start-up innovative) della Legge 221/2012. |