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Chip utili e più diffusi. La Spagna cambia strategia e interroga gli altri Paesi UE

Non solo chip all’avanguardia. Il governo spagnolo sceglie di puntare anche su quelli meno sofisticati, ma potenzialmente molto più utili per la sua economia, settore automotive in primis. Questa decisione arriva dopo la nuova versione dell’EU chips Act e la presa di coscienza che i big non scalpitano per investire sul suolo spagnolo. Altri Paesi potrebbero rivedere le proprie strategie di produzione di chip per simili motivi, mentre l’Italia è bene che si concentri sul dossier Intel.

Pubblicato il 23 Dic 2022

CHIPS Act

“A bocce ferme”, o quasi, con l’EU Chips Act in dirittura di arrivo, i Paesi europei potrebbero rivedere le proprie strategie. Aggiustandole, riuscirebbero a contribuire meglio all’obiettivo europeo di passare dal 10% al 20% di produzione interna. La ragione principale sarebbe però la necessità di creare nuove opportunità e posti di lavoro a livello nazionale.

Un esempio lampante di questo “adattamento” normativo ed economico è la Spagna. Il suo governo, pur non ammettendolo esplicitamente, sembrerebbe aver ridimensionato le proprie ambizioni, puntando su chip meno all’avanguardia ma non per questo meno utili. Anzi.

Anche sopra i 5 nm: la Spagna allarga le maglie e lo sguardo

Il piano spagnolo prevede, e continua a prevedere, un investimento di 12,3 miliardi di euro sui semiconduttori. Prima, oltre la metà era destinata, almeno sulla carta, alla produzione di chip di dimensioni inferiori a 5 nm. Ora si vuole invece puntare su quelli tra i 10 e i 28 nanometri. I primi, infatti, per essere sviluppati richiedono impianti che costano decine di miliardi di dollari. Servono investitori per realizzarli e non se ne stanno presentando alle porte. I secondi sono molto più immediati da produrre, per un paese come la Spagna e molti altri in Europa. Rifornirebbero, inoltre, un‘industria automobilistica nazionale che necessita di garantirsi una adeguata business continuity, per difendere il suo secondo posto all’interno dell’UE.

A contribuire a questa scelta sono state le mosse dei giganti del settore “produzione chip”. A marzo, infatti, Intel ha scelto la Germania, invece che la Spagna, per creare un complesso europeo da 17 miliardi di euro. Poco dopo, un altro grande produttore statunitense “molto atteso” ha fatto dietro front, decidendo di restare in patria per sfruttare il piano da 50 miliardi di dollari per i chip varato dal governo Biden.

Più che un passo indietro di cui “vergognarsi”, quindi, quella spagnola figura come una decisione saggia e sensata a cui gli altri Paesi stanno guardando mentre si interrogano sulle prospettive aperte dalla nuova versione dell’EU Chips Act.

L’Europa deve riflettere sui chip, l’Italia sbloccare il dossier Intel

È stata la Commissione Europea a proporre un allargamento dei soggetti beneficiari delle sovvenzioni, per includere anche i produttori di semiconduttori “first of a kind”. Un’idea da considerare, se si vuole realmente raddoppiare la percentuale di produzione interna di chip. Una parziale risposta anche a Paesi come la Francia che spingevano per ottenere opzioni a supporto dell’automotive, bisognoso di chip meno avanzati.

Questa novità, ha “messo la pulce nell’orecchio” non solo alla Spagna, ma anche ad altri paesi. Non all’Italia, però, che al momento ha una priorità: sbloccare il dossier Intel, ora nelle mani del “Ministero delle Imprese e del made in Italy” del nuovo governo.

A marzo l’azienda aveva annunciato un potenziale investimento fino a 4,5 miliardi, per realizzare un impianto sul suolo italiano dedicato alla fase di microassemblaggio dei chip. Questo intervento avrebbe creato 1.500 posti di lavoro diretti e 3.500 nell’indotto.

Ridefinito al rialzo nei mesi successivi, il progetto è ora in stand by dopo il cambio di esecutivo. Esiste una lettera d’intenti con obbligo di riservatezza, Veneto e Piemonte confermano la loro ospitalità, ma ci sono ancora dei punti da definire. E il tempo per farlo inizia a scarseggiare.

Dal punto di vista economico, non è ancora chiaro il contributo pubblico che dovrebbe essere di circa 2,5-3 miliardi di euro, tra quota statale e regionale. La tempistica, inoltre, subirà inevitabilmente degli allungamenti. Per minimizzarli, c’è l’articolo 32 del decreto Aiuti bis che prevede la creazione di “aree di interesse strategico nazionale”. Quella di Intel lo è, rappresentando un enorme passo avanti nel potenziamento della filiera della microelettronica e dei semiconduttori. Se confermato l’investimento, quindi, questo intervento potrebbe godere di una corsia preferenziale, evitando gli ostacoli della burocrazia. Sempre che arrivi il Dpcm di attuazione dell’articolo in tempo.

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