Sempre più potenti e “multitasking”, i modelli linguistici AI stanno vivendo la stessa esperienza mediatica e sociale della loro tecnologia “madre”. Dinamiche da stadio, con tifoserie opposte che si dividonofra chi li adora e chi non vuole sentirne parlare. La capacità di aprire dibattiti e innescare riflessioni a 360 gradi, lasciando che ogni settore si interroghi. L’intelligenza artificiale non ha mai smesso di giocare questo ruolo di “provocatrice”, i modelli su di essa basati stanno iniziando a farlo, dopo l’annuncio di chatGPT.
GPT-J in tribunale in difesa dei diritti dei consumatori
Anche la fama di chi “ruba lavoro alle persone” si allarga ai modelli AI linguistici. Stavolta si parte dal mondo legal, che guarda con occhio scettico l’iniziativa della startup DoNotPay, impegnata nella difesa dei diritti dei consumatori. Il suo obiettivo è dimostrare che un modello linguistico di intelligenza artificiale può sostituire gli avvocati.
Nelle prossime settimane si combatterà la prima causa legale reale, tra i banchi di tribunale ci sarà GPT-J, un modello linguistico open source rilasciato da Eleuther, collettivo composto da ricercatori e sviluppatori AI. L’imputato indosserà degli auricolari che trasmetteranno in streaming frammenti audio, con argomentazioni legali prodotte da GPT-J. Durante l’udienza legale su Zoom, in pratica, la chatbot “piloterà” la parte in causa che ripeterà testualmente le argomentazioni fornite.
Il founder di DoNotPay si sarebbe detto pronto a offrire un milione di dollari all’avvocato che voglia replicare l’esperimento, ma in un caso della Corte Suprema. Infattibile oggi, considerando che la maggior parte dell’elettronica lì è vietata. Si tratta ovviamente di una provocazione, ma il sogno resta e le tecnologie diventano sempre più diffuse e “inafferrabili”.
Ultimatum AI a scuole e università
Ancor più dibattiti, in entrambi gli emisferi, sono sorti nelle scuole e nelle università. Differenti sono le preoccupazioni innescate, e in differita di qualche giorno, ma la reazione è unica: vietiamo!
Appena hanno visto che chatGPT dilagava anche tra i giovani, le scuole hanno chiuso le porte a questa tecnologia. A spaventarle, la sua capacità di scrivere in pochi secondi un tema su qualunque argomento assegnato e a un livello considerato buono da molti sistemi scolastici.
Le prime a muoversi sono state Los Angeles, New York e Seattle, il rischio sarebbe quello di perdere la capacità di sviluppare quel pensiero critico derivante dall’esercizio della scrittura.
Le università devono rispettare i principi della libertà accademica e, più realisticamente, non si illudono di bloccare tecnologie sempre più penetranti e in rapida evoluzione. ChatGPT, ha fatto scattare l’allarme anche qui, non educativo ma legato a esami e paper. In questo caso è stata l’Australia a iniziare, e via via in tutto il mondo i vari atenei hanno azzardato soluzioni, più o meno creative, più o meno retrograde. Dalla reintroduzione della scrittura a penna per i paper, alla sostituzione degli scritti con test orali, fino all’uso di nuovi software per riconoscere testi prodotti da macchine.
Quando i media sposteranno l’attenzione su altro, sia per le scuole che per le università, sarebbe l’occasione per riflettere sull’uso che vogliono fare degli strumenti Edtech. “Da zero a cento” per la pandemia, poi il new normal e il “blitz” di chatGPT (e GPT-4 in arrivo): ora bisogna decidere il ruolo che si vuole abbia la tecnologia nell’istruzione per tracciare futuri percorsi formativi adeguati alle sfide che aspettano il mondo.
Servono standard di riferimento, controlli stretti sulla sicurezza, offerte accessibili in ogni tipo di contesto… ma poi, sempre e comunque, serve scegliere se si vuole scommettere sull’innovazione per formare i nostri giovani.