La via dell’open source è quella che garantirebbe all’Europa la sovranità tecnologica, oltre che una certa autonomia, in qualche fortunato settore. È peraltro la via che tutto il mondo ha imboccato, sviluppando competenze e iniziative ad hoc, ciascun Paese col proprio stile.
L’approccio è dirompente e il suo utilizzo per hardware e software abbassa drasticamente la barriera della progettazione di System-On-Chip (SoC) innovativi, un settore in cui l’Europa eccelle oggi.
Le nuove soluzioni che ne nascerebbero andrebbero a rinforzare mercati chiave come quello automobilistico, dell’automazione industriale, delle comunicazioni, della salute e dell’aeronautica/difesa.
Di fronte a questo roseo orizzonte tecno-economico, non resta alcun margine di discussione: da subito è necessario stimolare un ecosistema open-source che possa fungere da alternativa alla necessità di utilizzare licenze di proprietà intellettuale da parte di terzi non appartenenti all’UE. Ciò comporta un forte cambio di mindset e una roadmap da stendere e rispettare. E richiede anche di evitare la solita frammentazione: ora serve collaborazione, per creare una massa critica che nutra la community open source europea e ne rafforzi la posizione sulla scena mondiale.
Cercasi costruttori di un futuro europeo RISC V-based
Osservando obiettivi, vincoli, emergenze e bisogni che compongono il quadro europeo odierno, emerge la necessità di applicare questo approccio open source all’hardware. Proprio su questi elementi, serve un’iniziativa che riunisca i principali fornitori di tecnologia e i vari anelli della value chain, con l’obiettivo di produrre IP open source.
Una prima buona notizia è che il gruppo di lavoro c’è già, dal 2021, ed è attivo proprio su hardware e RISC-V. La seconda buona notizia, è che l’Europa è decisamente attiva. EuroHPC JU, infatti, ha appena lanciato un nuovo bando per lo sviluppo di un ecosistema HPC (High Performance Computing) basato su RISC-V. L’obiettivo è quello di raccogliere attorno a sé aziende, istituti di ricerca a organizzazioni del settore HPC e fare squadra. La prima mission sarebbe quella di sviluppare nuove tecnologie basate su RISC-V, la seconda, di utilizzarle per costruirvi supercomputer exascale e post-exascale.
Il bando scade il 31 maggio 2023, a tutti gli aspiranti vincitori viene chiesto un approccio inclusivo, che includa centri di supercalcolo, istituti di ricerca, università, RTO, industria, PMI. Serve un atteggiamento “open” e che sfrutti al meglio l’ISA RISC V, tecnologia che l’Unione, già con l’European Chips Act, aveva identificato come promettente. Potrebbe essere la chiave di svolta per innovare nella progettazione, nella produzione e nel confezionamento di chip avanzati, ad alte prestazioni ed efficienti dal punto di vista energetico. Innovativi casi d’uso aprirebbero a nuovi mercati, rafforzando la sovranità digitale al di là dell’HPC scientifico. Il tutto, nel rispetto degli ESG che “sorvegliano” l’impatto di ogni novità made in Europe.
Perché l’Open source può far bene all’Europa
Il carattere dirompente di questo cambio di paradigma richiede delle buone ragioni per compierlo. Per trovare la spinta ad abbandonare la routine – e anche i grossi vendor di software, con cui a volte si è cresciuti – è necessario guardare ai vantaggi che ne deriverebbero.
Un hardware open source, ad esempio, comporterebbe una collezione di IP completamente verificabile (processori, acceleratori, ecc.) e, lato software, un ampio ecosistema a cui attingere, tutto compatibile con le varie implementazioni. Mai più black-box, inoltre: tutto co-progettazione SW/HW per ottenere un’esatta corrispondenza delle funzionalità. Open-source significherebbe anche soluzioni all’avanguardia e nessun rischio di vendor lock-in.
Tra i vantaggi di tale paradigma, però, spicca quello relativo alla sovranità: si conquisterebbe, infatti, la libertà di accesso e di implementazione, dalla progettazione alla produzione. Non trascurabile anche l’opportunità di collaborare con la community e di sfruttare l’open source esistente, per ridurre al minimo il time to market.
Oggi le iniziative legate a RISC V sono appena iniziate, ma in futuro potrebbero costituire un settore della microelettronica a sé stante. I primi passi fanno pensare positivo e i pionieri di questo percorso di sovranità tecnologica europea stanno già costruendo dei pezzi essenziali di un Europa del futuro, open source.
Monte Cimone: la conquista open source italiana che apre nuovi orizzonti europei
L’esperienza di Monte Cimone è un esempio di quanto già compiuto in ambito RISC V, dall’Europa e, nello specifico, dall’Italia. La sfida era quella di creare un cluster finalizzato ad abilitare su RISC-V ISA il co-design di applicazioni scientifiche e ingegneristiche ad alte prestazioni e il relativo stack software a supporto.
Si tratta di un progetto recente, nato dalla consapevolezza di dover rimuovere il maggiore blocking factor europeo del mondo HPC, quello dell’incompatibilità di applicazioni e librerie.
“Se le applicazioni non funzionano, i supercomputer non servono. Noi, quindi, abbiamo realizzato un sistema su piccola scala basato su RISC V, lavorando per portare lo stack software che usiamo tipicamente in un supercomputer, su questa macchina RISC V. Poi abbiamo verificato quanto può essere usato come macchina HPC” ha spiegato Daniele Cesarini, HPC Specialist al CINECA.
Questo centro è tra gli ideatori del progetto, assieme al Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Elettronica e dell’Informazione dell’Università di Bologna e al system integrator E4 Computer Engineering. Questo trio, tutto italiano, ha fatto convergere i propri interessi per RISC V e HPC, nella realizzazione di un vero e proprio primato tecnologico. Monte Cimone, infatti, “è il primo cluster RISC-V ISA specificamente progettato, costruito e validato per attività di co-design mirate a consentirne l’uso nell’ecosistema HPC, avendo come obiettivo primario un ambiente operativo” spiega Cosimo Gianfreda, CEO di E4.
Obiettivo: test e sviluppo
Il progetto permette agli sviluppatori di testare e convalidare i carichi di lavoro scientifici e ingegneristici, in un ricco stack software. “L’obiettivo era quello di riuscire a eseguire una applicazione multinodo su un cluster RISC V. Noi lo abbiamo fatto, con Quantum Espresso, uno dei codici più complessi, per via del linguaggio utilizzato e delle tante dipendenze” spiega Cesarini. Era un primo passo, secondo Gianfreda, per “superare l’oligopolio e democratizzare lo sviluppo dei processori. Con Monte Cimone, idealmente, ogni azienda può sviluppare il proprio, lavorando perché gli applicativi siano adatti e tutto funzioni. Per ora, poche aziende usano RISC V, il business model è ancora da validare e non esiste convenienza. Investirci, oggi, è un rischio, non c’è mercato. Noi stiamo cercando di rendere conveniente questa opportunità mostrandone i vantaggi. Per esempio, grazie alla flessibilità dell’instruction set, si potrebbe fare un processore o dei chiplet specifici per le diverse componenti necessarie a far funzionare l’applicativo”.
Monte Cimone costituisce un apripista nel mondo RISC V per HPC. È una piattaforma per testare e abilitare la tecnologia, non per produrla. Chiunque sia interessato al porting di architetture basate su RISC V, può usarlo come software development vehicle in ambito HPC. Questa prospettiva oggi è particolarmente allettante per ricercatori accademici e independent software vendor. “I primi possono usare del codice scritto da loro ed elaborare anche un’estensione del set di instruction set, per esempio. I vendor possono ottimizzare i propri codici su questo tipo di macchina e fornire soluzioni embedded per cloud e IoT” spiega Gianfreda, precisando che per le aziende è ancora troppo presto, ma arriverà il loro momento.
Il nodo culturale
Oltre alle sfide più tecniche, legate a integrazione e interoperabilità, l’impresa di Monte Cimone ha fatto emergere anche altre criticità, soprattutto concettuali. È stato ed è tuttora necessario, infatti, convincere un mercato refrattario ai cambiamenti, di come un nuovo instruction set open source può aiutare a risolvere gli attuali e più comuni problemi. L’open source, infatti, in molti casi è ancora visto come un rischio economico e strategico.
Ciò non riduce le ambizioni degli ideatori del progetto che mirano a realizzare un’evoluzione di Monte Cimone con tecnologie RISC V su larga scala. Secondo Cesarini, “L’idea sarebbe quindi di realizzare cluster HPC basato su RISC V, in grado di entrare nella TOP500 dei supercomputer del mondo. Sarebbe la prima macchina RISC V riconosciuta ufficialmente come supercomputer”. A questo sogno si unisce quello di riuscire a inserirlo anche tra i più efficienti, “piazzandolo” alla prima posizione nella classifica Green500, un posto ambito e più che mai onorevole.