La competitività di un Paese non inizia nelle fabbriche o nei laboratori di ricerca, ma nelle scuole, ripeteva Henry Ford. Da allora, il lavoro è molto cambiato ma la capacità di sviluppare competenze nuove o abilità che mancano, appartiene in modo ancora più dirompente ai percorsi formativi, tradizionali e non.
La prima definizione di ITS, recentemente rinominati Istituti Tecnologici (ex Tecnici) Superiori e Academy, è quella di esperienze professionalizzanti di tipo terziario.
Questi percorsi, biennali e triennali, sono legati al sistema produttivo territoriale. Seguono il modello organizzativo della Fondazione di partecipazione pubblico/privato. Impiegano personale docente proveniente dal mondo del lavoro (con l’ultima riforma il 60%) e sono incentrati sulla pratica con almeno il 30% del percorso tenuto in azienda.
Un sistema educativo terziario presente da anni in molti Paesi, incoraggiato e rafforzato dai governi perché propone una formazione professionalizzante vicina alle richieste del mercato del lavoro, più flessibile rispetto ai percorsi universitari tradizionali.
Il motivo è legato al modello e schema partecipativo (formazione/impresa/territorio) richiamato anche nella recente dichiarazione europea di Osnabrück (30 novembre 2020) dove si attribuisce all’istruzione e alla formazione professionale (IFP) la capacità strategica di favorire la transizione sostenibile e digitale.
In Italia, gli ITS sono nati nel 2008 ma operativi solo dal 2013, più volte oggetto di modifiche, continuano ad avere pochi iscritti nonostante il tasso di occupabilità superi l’80% (fonte Indire che ne gestisce la banca dati).
Il ruolo territoriale degli ITS nell’industria 4.0
Secondo il monitoraggio di Indire a conclusione dell’ultimo ciclo biennale, gli ITS Academy sono 129 ognuno articolato su più percorsi e con una maggiore concentrazione degli iscritti nelle regioni del nord: solo in Piemonte, Lombardia e Veneto è iscritta quasi la metà di tutti gli studenti dei percorsi ITS. In queste regioni, c’è anche una maggiore presenza degli enti di formazione professionale, tasselli di unione e dialogo con il sistema delle imprese.
Nel 50% dei percorsi si utilizzano tecnologie dell’industria 4.0. Le tecnologie abilitanti che hanno avuto il maggior impatto sono legate al settore produttivo chimico e farmaceutico (nuove tecnologie della vita), all’automazione, gestione dei dati e sicurezza digitale.
Gli ITS se organizzati in modo accurato, possono avere un ruolo cruciale nel formare figure professionali capaci di gestire contesti e requisiti di lavoro legati alle tecnologie abilitanti e colmare quel buco lavorativo tra figure altamente qualificate e mansioni intermedie.
Allo stesso tempo, partecipano attivamente e in modo propositivo alla creazione di rapporti tra filiere formative e produttive. Lavorare sul territorio, dunque, ma a beneficio di tante piccole imprese.
ITS Academy: possono diventare una formazione sovraregionale?
Con la riforma (12 luglio 2022) degli Istituti Tecnologici Superiori, rinominati ITS Academy, si prevedono reti di coordinamento di settore e territoriali. A dicembre 2022 è nata la rete dedicata alla digitalizzazione e alla sicurezza informatica che vede coinvolte Regioni, Ministero e anche l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.
L’obiettivo è favorire la condivisione di risorse professionali, logistiche e strumentali tra territori (i laboratori ad esempio) come scritto nel testo di legge che prevede di riorganizzare il sistema ITS investendo con le risorse del PNRR.
Lo scopo ultimo è la diffusione del sistema di formazione professionalizzante su tutto il territorio nazionale con un finanziamento iniziato nel 2022 e fino al 2026, di 48 milioni annui.
La riforma prevede che ogni ITS Academy sia caratterizzato per area tecnologica, la partecipazione viene estesa anche ad adulti e viene articolata la struttura dei percorsi su due livelli. Sono previste disposizioni per favorire il raccordo con le Università e la definizione dei requisiti e dei rapporti contrattuali dei docenti.
Il confronto internazionale e i limiti del modello italiano
Nel contesto internazionale, l’istruzione tecnica superiore è indicata come “short cycle tertiary education” e corrisponde al quinto grado della Classificazione internazionale standard dell’istruzione (ISCED) elaborata dall’Unesco. In Italia, la proposta organizzativa attuale è ancora molto distante da quella europea.
La Germania spesso citata come modello di riferimento italiano per l’istruzione terziaria professionalizzante ha tre diverse tipologie di percorsi.
Le Fachhochschulen sono percorsi accademici orientati molto su aspetti pratici e sulla formazione in azienda. A differenza delle università tradizionali non vengono rilasciati titoli di ricerca. Più simili ai nostri ITS sono le Berufsakademien, percorsi triennali progettati insieme alle imprese e le Fachakademien con durata più breve (uno o due anni), frequenza sia full time che part time e percorsi rivolti a lavoratori già qualificati ma che vogliono sviluppare ulteriori competenze tecniche.
Mentre la Svizzera ha un sistema simile a quello tedesco, in Francia ci sono gli Istituti universitari di tecnologia (IUT) e gli Istituti tecnici superiori (STS) molto legati e in continuità con le scuole d’istruzione secondaria superiore.
La Formazione professionale superiore spagnola, anch’essa ampia, permette di accedere direttamente, senza prova di ammissione, a corsi universitari legati al proprio settore di specializzazione.
Fuori dall’UE, l’Inghilterra, è ricca di percorsi qualificanti come le scuole di istruzione superiore tecnica e professionale (Further education o FE) e gli istituti di alta formazione (Higher education institutions o HEI), fra cui rientrano anche le Università.
Non solo i numeri di iscritti nei sistemi esteri sono di gran lunga superiori a quelli italiani ma l’Italia ancora dovrà attendere prima di consolidare il proprio modello organizzativo.