- Non esiste una scelta obbligatoria tra data fabric e data mesh. Spesso, la soluzione migliore è estrarre concetti specifici da entrambi gli approcci.
- Alcuni settori possono essere più adatti a un paradigma rispetto all’altro.
- Quale strategia potrebbe funzionare meglio nel tuo settore?
Sono passati molti anni da quando la frase “i dati sono il nuovo petrolio” diventò famosa. Non resta più quasi nessuno da convincere riguardo al valore delle informazioni, ma regna ancora confusione sulle modalità migliori per estrarlo. Ci sono strategie diverse, come è naturale che accada, ma c’è anche una mancanza di chiarezza attorno a certe buzzword come, ad esempio, data fabric e data mesh. Entrambi i termini definiscono concetti importanti, ma sono diventati così popolari che si può rischiare di confonderli. Oppure di contrapporli, come fossero due candidati arrivati al ballottaggio.
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Più tecnico, il data fabric supporta evoluzioni e investimenti
Il data fabric, dei due, è il paradigma più frainteso e poco approfondito, secondo Riccardo Piva, Senior Manager di Iconsulting. “È più complesso trovare materiale per studiarlo – spiega -, riguarda un aspetto prettamente tecnico e ci sono pochissimi casi d’uso. Molti si aspettano un vero e proprio strumento, quando invece è un insieme di metodi”.
In generale si possono identificare tre situazioni che richiedono il data fabric. “È utile alle aziende – precisa Piva – che si approcciano a strutturare processi legati ai dati, per sviluppare iniziative data driven, e non hanno già una struttura robusta. Adottando questo nuovo paradigma, diventa più semplice migrare in cloud oppure adottare strumenti di data science. In un percorso del genere, già complesso, è sicuramente necessaria una data governance, ma serve anche il data fabric per raccogliere il metadato, decidendo come voglio usarlo. Mi permette di attivarlo e sfruttarlo per semplificare il lavoro attraverso l’automation”.
Anche le aziende che hanno investito e lavorato tanto sulla raccolta di metadati di tanti tipi diversi, possono utilizzare il data fabric per valorizzare il proprio impegno, superando la logica dei processi a silos.
Il terzo esempio portato da Piva riguarda le organizzazioni che si trovano a gestire una inedita complessità, dopo un importante investimento tecnologico. “Può capitare – racconta – che nascano nuove necessità, in termini di dati, e ci si può trovare con tanti elementi della data platform che difficilmente lavorano all’unisono: alcune tecnologie non si parlano. In questo contesto, il data fabric porta uniformità e risolve il problema dei processi a silos in modo meta-data-driven”.
Esistono anche altre situazioni in cui il data fabric può essere di aiuto o addirittura salvifico. L’importante è essere consapevoli di cosa aspettarsi da questo paradigma che così poi tanto nuovo non è. Unisce tecnologie e logiche esistenti rappresentando una sorta di evoluzione logical data warehouse, un concetto molto pratico che, consiste nel mettere un layer di virtualizzazione per unire le varie tecnologie “on top”, fornendo un solo punto accesso.
Più organizzativo, il data mesh è un segnale di svolta
Più rivoluzionario e meno tecnico è invece il concetto di data mesh. Per adottare questo paradigma è necessario essere disposti a cambi operativi e organizzativi non indifferenti. “Non è un caso – spiega Piva – che la maggior parte delle volte, la spinta alla sua adozione arrivi dal mondo operazionale, se non da quello HR. Consiste in un nuovo modo di usare e trattare i dati e ha un impatto più ampio sull’azienda. Chi sposa questo paradigma deve voler cambiare profondamente”.
Volere non basta, però: sono necessari anche alcuni elementi che non tutte le aziende “candidate al data mesh” hanno.
Per implementare un approccio così radicalmente innovativo è necessario avere uno “sponsor organizzativo”. Sulla scia di una spinta data-driven, solo così si riuscirebbe a unire le forze per definire nuove modalità di trattare il dato in ottica data mesh, facendo evolvere la situazione di partenza. È molto importante anche l’ambiente su cui il data mesh si appoggia. Secondo Piva, infatti, “si tratta di
concetto difficile da implementare nella pratica. Sicuramente ci vuole un ambiente cloud, anche per ragioni legate al controllo dei costi”.
L’infrastruttura è altrettanto fondamentale. “Occorre avere – continua Piva – una robusta e profonda conoscenza, a livello di infrastructure plan, perché è molto complesso da gestire. Solo così si evita di centralizzare la realizzazione dei data product, ottenendone invece di consistenti, usabili e facilmente mantenibili. Tutto ciò è possibile solo se si ha, a priori, una base solida di regole di base, applicabili a tutti i data product, a livello trasversale”.
Nessuna scelta obbligatoria, vincono le soluzioni customizzate
Per il data mesh, come anche per il data fabric, il presupposto dei presupposti è la presenza di una strategia di data governance. Stenderne una, significa avere le idee chiare sulla situazione “as is” e sulle proprie reali necessità. Riempiono la bocca, oggi, sia il termine data mesh che data fabric, ma questi due paradigmi non sono da implementare necessariamente in blocco. E non sono da adottare per forza. Come spiega Piva, spesso la soluzione ottimale consiste “nell’estrapolarne singoli concetti che creano valore anche presi da soli. L’esempio più banale ed efficace è quello degli stessi data product. Sono elementi autoconsistente che hanno i loro vantaggi. Inoltre, presi fuori da un paradigma, risultano altamente ‘digeribili’ anche da persone con background non specifico”.
È importante che non passi il concetto di scelta obbligatoria: solo ogni singola realtà è in grado per sé stessa di decidere quale data strategy adottare, senza seguire i trend.
Utile può essere anche osservare come si comporta il proprio settore di appartenenza. Ci sono infatti ambiti che per natura possono essere più votati a un paradigma come il data mesh. Quello delle utilities, per esempio, oppure bancario e assicurativo. Anche il Pharma e l’Automotive, potrebbero avere necessità di adottare il data mesh, per creare domini e avere più flessibilità in futuro.
Secondo Piva, pur avendo una forte componente IoT, il manufacturing ha esigenze più legate al data fabric. Vale lo stesso per la PA che, “troverebbe molte opportunità anche nel data mesh, ma manca la capacità di investimento e la possibilità organizzativa per metterlo a terra. Manca la velocità di implementazione per trarre benefici in tempi brevi. Oggi il data mesh per le PA, richiederebbe uno sforzo notevole”.