In molti si dà per scontato che dietro all’intelligenza artificiale ci siano meccanismi in grado di riprodurre il funzionamento del cervello umano, ma non è così. I software e gli algoritmi alla base di questa dilagante tecnologia sono una scatola nera, con input e output. Si “aggiustano” fino a ottenere l’output desiderato, trovando la funzione matematica migliore attraverso un massiccio lavoro di training. Questa ricerca dell’algoritmo, che nulla ha a che vedere con il funzionamento del nostro cervello, richiede risorse computazionali enormi che è sempre più difficile fornire. Non tutti riescono a farlo.
Di fronte a questo scenario, un gruppo di ricercatori del CNR-IBF ha provato a cambiare approccio e la sua idea è stata pubblicata su Neural Networks.
Orientarsi subito, grazie all’ippocampo
“Quando entriamo in un museo e ne visitiamo diverse sale, siamo in grado di tornare a vederne una in particolare, facilmente, senza bisogno di training. Basta aver fatto il percorso una volta per riuscire a sapere dove andare. Perché una macchina non potrebbe fare lo stesso?” racconta Michele Migliore, Dirigente di Ricerca di CNR-IBF.
È da questa domanda che il suo team è partito per realizzare un sistema robotico capace di capire come muoversi in un ambiente, analogamente a come farebbe un essere umano. Lo ha fatto focalizzando gli studi sui circuiti dell’ippocampo dei mammiferi, in particolare dell’uomo, che funzionano tutti con le stesse regole. Ha osservato come si comportano i singoli neuroni dal punto di vista computazionale e ha creato un modello matematico di una loro rete che simulasse i meccanismi scoperti.
“Abbiamo ottenuto un circuito semplice con diversi pezzi basati su evidenze sperimentali come le proprietà dei neuroni e delle sinapsi, assemblandoli in una rete fatta poi dialogare con un robot virtuale. La novità è che questo robot non ha alcun bisogno di training: gli basta una sola sessione per imparare a navigare nello spazio appena esplorato. Questo accade perché abbiamo usato circuiti realistici, quelli che la natura ha deciso di sviluppare nel nostro cervello, realizzando al volo una funzione cognitiva immediata” spiega Migliore.
La prima volta che l’AI simula davvero il cervello
Questa iniziativa si inserisce nel programma di ricerca del progetto bandiera europeo Human Brain Project – di cui il CNR è partner – ed è stata sviluppata nell’ambito dell’infrastruttura di ricerca “EBRAINS-Italy”, finanziata da Next Generation EU e dal Ministero della Ricerca nell’ambito dei fondi PNRR M4C2.
È un progetto di svolta, perché è la prima volta che siamo in grado di realizzare la formazione di una funzione cognitiva di alto livello a partire dalla micro-architettura di una regione cerebrale, ovvero i singoli neuroni e le loro connessioni. Niente scatola nera, quindi, ma, come spiega Migliore, si ha “una scatola aperta che sappiano come funziona: riprende alcuni pezzi dal cervello umano, inserendoli in un’architettura composta da diversi elementi e connettività”.
La parte più complessa è stata senza dubbio l’implementazione matematica del modello, ma ne è valsa la pena. I due anni di lavoro hanno portato a una proof of principle decisamente disruptive. Si è arrivati a dimostrare che si può prendere spunto dal cervello umano per costruire modelli di intelligenza artificiale, evitando l’effetto scatola nera che ancora oggi spaventa molti.
Logistica e industrial automation: le prime applicazioni in vista
La scoperta effettuata apre a nuove strade e il team del CNR-IBF è pronto a percorrerle, esplorando opportunità e limiti del nuovo approccio. Per prima cosa si cercherà di implementare la stessa rete su robot reale, un cane robot che interagisce con l’ambiente in una situazione non controllata. Il “next step” che gli si chiede è di imparare a evitare persone e oggetti, sempre conservando la propria capacità di orientamento “umana”.
Ci si continuerà a concentrare sull’ippocampo, però, prima di spaziare in altre aree del cervello umano. “La sua è una struttura particolare, quella della corteccia cerebrale è differente, non è ancora chiaro come funzioni e non siamo pronti per creare un processo cognitivo di alto livello. Con l’ippocampo sì, perché ha sue caratteristiche ben precise” spiega Migliore, e intanto immagina le possibili applicazioni della sua scoperta.
La più immediata è nel campo della logistica. Basta immaginare un robot che si deve orientare in un magazzino per trovare diversi oggetti. Oggi, con l’AI in scatola nera, è necessario un lungo training per insegnargli a mapparne la struttura. Con il nuovo metodo basterebbe fargli fare un giro e diventerebbe subito in grado di imparare a ritrovare quanto richiesto all’interno dello spazio esplorato.
Una AI a scatola aperta come quella allo studio, eliminerebbe la fase di training anche in campo industriale. Per esempio, quando si deve portare un pezzo da una postazione a un’altra postazione e si cambia sequenza, basterebbe poco per far ri-orientare un robot. Per le aziende, ci sarebbe un grande guadagno di tempo e un forte impatto sulla produttività.
A proposito di cane robot, una sua possibile applicazione potrebbe essere anche quella di guida per persone ipovedenti. Visto una volta il percorso, questo dispositivo sarebbe in grado di guidarle senza indugio. Meno immediata l’implementazione di questo tipo di AI per i veicoli a guida autonoma perché “c’è bisogno che conosca l’ambiente in cui si deve orientare. Per ora non è un’applicazione possibile, ma se il progetto prosegue, non è detto che non si riesca a utilizzarlo anche in questo settore”.