Cinque anni che sembrano un secolo, quelli appena trascorsi. Così appaiono soprattutto guardando al rapporto che lega i lavoratori all’intelligenza artificiale. Ciò non vale solo per chi ha l’esplorazione di questa tecnologia tra le sue mansioni, ma per chiunque. Con l’arrivo dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), infatti, la popolarità dell’AI è esplosa e non c’è azienda, settore o Paese che non si sia chiesto come utilizzarla sul posto di lavoro per guadagnare tempo e denaro.
Boston Consulting Group (BCG) ha quindi scelto di indagare i sentimenti della forza lavoro verso questa tecnologia e come si sono evoluti dal 2018 a oggi. Intervistando 13.000 persone dirigenti, manager e dipendenti di 18 Paesi diversi li ha mappati in un recente studio che racconta “gli umori” nei vari uffici del mondo.
Più ottimismo, meno indifferenza. L’AI incuriosisce tutti
Per tracciare l’atteggiamento nei confronti dell’intelligenza artificiale, gli analisti hanno scelto cinque categorie – curiosità, ottimismo, preoccupazione, fiducia e indifferenza – misurandone l’evoluzione nel tempo.
Rispetto a cinque anni fa, la curiosità è rimasta invariata (60%) mentre segna una forte crescita l’ottimismo, passando dal 35% al 52%. Aumenta anche il sentimento di fiducia, pur restando al 26%, mentre cala l’indifferenza che oggi è di soli 14 punti percentuali. Forse in parte si tramuta in preoccupazione, dato che questo mood, anche se cala di 10 punti, resta presente nel 30% degli intervistati.
Osservando l’insieme delle dinamiche registrate, emerge un approccio in generale più positivo ma, soprattutto, molto più consapevole. Molto dipende anche dai livelli aziendali a cui si va a indagare, facendo la differenza tra leader, manager e dipendenti. I primi spiccano per ottimismo (62%) e sono solo minimamente preoccupati (22%), i dirigenti hanno un atteggiamento molto simile, con pochi punti percentuali di distacco, mentre i dipendenti rappresentano il gruppo più numeroso che manifesta preoccupazione: quasi il 40%.
Più la usi, più la ami, ma non tutti possono
Le diverse miscele di ottimismo e preoccupazione che animano i lavoratori non sono solo una questione di ruoli. Molto dipende da quanto i diversi livelli stiano sperimentando l’AI e, in particolare, quella generativa. È questo “toccare con mano” che sembrerebbe fare la differenza, nello studio di BCG.
Gli utenti abituali dell’AI – che la utilizzano almeno una volta alla settimana – sono quasi tre volte più ottimisti che preoccupati dell’impatto di questa tecnologia sul loro lavoro nel 2023. Al contrario, chi non ci ha a che fare, manifesta molta più preoccupazione. Incrociando i dati, si deduce facilmente come, per il momento, non esista una omogeneità di accesso e utilizzo di strumenti di AI generativa e che proprio questo produca reazioni contrastanti nella forza lavoro.
BCG mappa anche questo fenomeno, rilevando che l’80% dei leader intervistati risulta un utilizzatore regolare dell’AI, rispetto al 46% dei manager e al 20% dei dipendenti in prima linea. Queste notevoli differenze trovano le radici nel modo di approcciare la tecnologia che esiste in molte aziende.
Chi sta ai vertici ha spesso l’incarico e il privilegio di poter stare al passo con i trend di innovazione del momento. Nel quotidiano ciò significa avere la libertà di provare, utilizzare e adottare strumenti di AI, cosa che solo pochi dipendenti si possono permettere di fare. Per ragioni di sicurezza, budget o strategia, infatti, la maggior parte degli strumenti di AI non sono ancora stati approvati in massa nei luoghi di lavoro e molti restano tagliati fuori da questa innovazione. Una dinamica “pericolosa” per il sentiment verso l’AI che segnala la necessità di offrire maggiori opportunità di aggiornamento professionale su questa tecnologia. L’86% degli intervistati, in ogni livello, ha infatti dichiarato di aver bisogno di formazione per adattarsi a come l’AI trasformerà il proprio lavoro e per non perderlo.