Il settore dei data center, per lo meno nella nostra Europa, sembra non aver subito alcun “effetto inflazione” nella prima metà del 2023. Anzi, quello che si registra nel secondo trimestre di questo tormentato anno è addirittura un vero e proprio record positivo. La domanda di capacità ha infatti raggiunto i 114 MW di utilizzo nei principali mercati europei. È ciò che emerge nel nuovo report stilato dalla società immobiliare JLL, che ha analizzato città come Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino, indicandoli con l’affascinante acronimo di FLAP-D. Ciascuna con le proprie peculiarità socio-economiche e geografiche, tutte queste aree mostrano un evidente interesse nel mondo dei data center come leva essenziale per la propria competitività e la qualità di vita dei cittadini.
Ogni città dà i propri numeri, ma cresce
La quota più estesa di mercato (35%) resta oltre Manica, a Londra: lo studio le attribuisce un totale di 902 MW ma segnala un calo nel volume di nuova capacità aggiunta, pari a soli 7 MW. Dal punto di vista della crescita di volume, spicca il ruolo di Francoforte che ha registrato un + 44 MW nel secondo trimestre, una acquisizione aggiuntiva che le ha permesso di passare da 26 MW a 80 MW in soli 12 mesi, in tempi – non dimentichiamocelo – di forte inflazione. Altre città che “fremono” dal punto di vista dell’immagazzinamento dei dati sono Parigi, con l’aggiunta di 24 MW di nuova capacità nel primo semestre 2023, e Dublino, con 12 MW aggiunti per arrivare agli attuali 199 MW. Entrambe le città non detengono grandi quote di mercato, in assoluto, ma mostrano una virtuosa proattività innovativa nel campo dei data center.
Ben diversa l’impressione suscitata dai dati relativi ad Amsterdam. La capitale dei Paesi Bassi ha un’attuale capacità di 458 MW, ma nel secondo semestre ne ha aggiunti solo 10 e non ha registrato alcuna nuova offerta significativa da quando è terminata la moratoria sullo sviluppo di nuovi data center nel 2020.
L’AI plasma il futuro dei data center europei
Guardando ai dati nel loro insieme, si può parlare di un’ondata di nuove acquisizioni e la si può attribuire a un effetto della “domanda repressa”. Secondo gli analisti, infatti, ciò che oggi sta avvenendo nel mondo dei data center in Europa va letto alla luce dei fenomeni che hanno scosso il continente negli ultimi due anni. Molte aziende si sarebbero per esempio mosse giocando d’anticipo e assicurandosi nuovi spazi per data center mentre erano ancora in fase di sviluppo. Questa tendenza alla prelocazione si sarebbe poi combinata con l’effettivo slittamento delle date di completamento delle infrastrutture, causato dai noti problemi della supply chain, dando vita al “boom” di volumi registrato nei grandi centri economici.
Un fenomeno “elastico” piuttosto semplice da gestire, se non fosse per le deformazioni e le distorsioni che lo stanno influenzando, soprattutto legate all’emergere dell’intelligenza artificiale generativa. Gli elevati requisiti di potenza di calcolo necessari per l’addestramento dei modelli di AI stanno infatti imprimendo un cambiamento fondamentale nella progettazione stessa dei data center. Basti pensare al fatto che le GPU ad alte prestazioni sono diventate un elemento immancabile nell’infrastruttura di calcolo, per essere certi che potesse soddisfare i nuovi requisiti di training dei modelli di intelligenza artificiale. Questo ha portato anche a una spinta all’installazione di impianti di raffreddamento a liquido piuttosto che ad aria.
Per i data center dedicati all’intelligenza artificiale e alle sue applicazioni più spinte, diventa molto meno importante un parametro da sempre di forte peso come la latenza, ciò significa per esempio che la vicinanza all’utente finale diventa un elemento trascurabile.
Le infrastrutture del presente e del futuro, quindi, potranno essere localizzate in siti convenienti dal punto di vista dell’accesso all’energia rinnovabile, della disponibilità di terra o di acqua per il raffreddamento. Un cambiamento che impatterà sempre di più sulle strategie di chi opera nel mondo dei data center e che, allo stesso tempo, deve gestire problemi impellenti e gravi come la scarsità di materiali e di attrezzature pesanti per la costruzione dei siti. Una “condizione al contorno” ma centrale, che minaccia l’autonomia dell’Europa dei dati: entro tre anni potrebbe averne troppi e non sapere dove metterli.