Tra le ipotesi visionarie, le grandi speranze e il profondo scetticismo che si intrecciano nei più svariati settori oggi chiamati a confrontarsi con l’intelligenza artificiale, lo scenario condiviso in modo più unanime sembra quello che si sta prospettando per il mondo della sanità. Soprattutto nell’analisi di immagini, questa tecnologia si sta dimostrando sempre più utile ed efficace: un vero e proprio elemento game changer.
Ora a scrivere un nuovo capitolo di questo idillio tra AI e medicina, è arrivata anche Google, assieme al governo americano e al sistema ospedaliero oltreoceano.
Quattro algoritmi per un’accuratezza del 94%
La Big Tech sta infatti realizzando un software per ottenere un microscopio altamente innovativo e performante, partendo da quello tradizionale e dotandolo di intelligenza artificiale. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti si è prefigurato di fornirlo ai patologi USA per aiutarli a individuare più rapidamente le cellule cancerose nei campioni di tessuto.
Ci si sta lavorando da anni, in verità, ma ora lo strumento ha preso finalmente forma. Il nuovo dispositivo si chiama Augmented Reality Microscope (ARM) e sembra a tutti gli effetti un microscopio convenzionale, beige, con un grande oculare e un vassoio per esaminare i tradizionali vetrini, come quelli spesso forniti di default anche nelle scuole. Ciò che fa la differenza – ed è dove ha messo lo zampino Google – è il collegamento con una torre computer squadrata dove sono custoditi i modelli di intelligenza artificiale.
Questa tecnologia mette una marcia in più allo strumento e a chi lo usa, riuscendo a delineare la posizione del cancro in modo veloce e fruibile. Il suo contorno appare ai patologi come una linea verde brillante, sia se visto attraverso l’oculare che su un monitor separato. L’AI è in grado anche di indicarne la gravità, generando una mappa di calore in bianco e nero su una forma tumorale illustrata in forma pixelata.
Per permettere tutto ciò, sono stati impiegati quattro diversi algoritmi di visione computerizzata che concorrono a individuare le aree potenzialmente problematiche poi etichettando le cellule come benigne o cancerose. Un aiuto prezioso che sopraggiunge dal mondo della tecnologia avanzata, sovrapponendosi direttamente al campo visivo del microscopio, per evitare interrompere il flusso di lavoro tradizionale e consolidato dei medici.
Al momento, ARM è stato sperimentato nella rilevazione del cancro al seno, i risultati sono comparsi sul Journal of Pathology Informatics e mostrano un livello di accuratezza del 94% circa. Altre prove sono state realizzate finora anche per il cancro al collo dell’utero e alla prostata, e per il rilevamento della duplicazione delle cellule.
Patologia digitalizzata per una sanità più capillare
Google e il Dipartimento della Difesa assicurano che ARM è stato addestrato su dati privati e criptati provenienti dal Defense Innovation Unit (DIU), senza quindi alcun problema di violazione della privacy. Il dispositivo in prima battuta è stato pensato per agevolare e accelerare le diagnosi, fornendo un accesso facile a un “secondo parere” a quei patologi che operano in strutture con poco personale. In primis, quindi, negli ospedali militari.
Al momento esistono 13 prototipi in circolazione, uno situato presso il laboratorio MITRE, fulcro della ricerca scientifica e tecnologica più avanzata del governo statunitense. L’intenzione è però quella di scalare la tecnologia e collaborare con le autorità di regolamentazione per diffonderla più capillarmente e generosamente. Ciò significa quindi stipulare stabili e duraturi accordi con Google e con l’azienda di ottica che si occupa dell’hardware, Jenoptik.
Entro il prossimo autunno il Dipartimento della Difesa ha promesso di rendere disponibile l’ARM a tutti gli utenti governativi attraverso il sito web della General Services Administration, oltre a metterlo sul mercato per ospedali e cliniche a un prezzo che si aggira attorno ai 90.000-100.000 dollari.
Ciò che molti esperti si aspettano è che questo microscopio “aumentato dall’AI” possa segnare una vera e propria svolta nella storia della patologia. Quella svolta verso il digitale che finora non si è registrata anche per problemi tecnici oggettivi. La digitalizzazione di un singolo vetrino richiede infatti oltre un gigabyte di spazio di archiviazione, un’operazione quindi poco sostenibile a livello sia di infrastruttura che di costi associati alla raccolta di dati su larga scala.
Ora, con ARM, lo scenario cambia. I patologi possono effettuare le schermate dei vetrini utilizzando il suo software che permette di ridurre al minimo i requisiti di archiviazione dei dati. Ciò significa che gli ospedali riusciranno a raccogliere e studiare i dati senza dover ingombrare troppo l’infrastruttura.
Si potrà quindi presto parlare di patologia digitale, consapevoli di maneggiare una tecnologia che presenta molti rischi, prima di tutto quello di portare i patologi fuori strada. Ma se si sapranno affidare al software in modo coscienzioso, questo strumento potrà servire come “seconda linea di difesa” per tutti quelli operativi in piccoli ospedali remoti, oltre che come risorsa per gli specializzandi in patologia in fase di formazione.