A Steve Robinson, responsabile dei servizi di piattaforma cloud, abbiamo chiesto di spiegarci perché, come dal suo intervento alla sessione generale, il ricorso al PaaS e a BlueMix dovrebbe migliorare la qualità del software rispetto alla media dello sviluppo in-house. “Perché – risponde – per creare un’applicazione complessa e full-featured occorre una somma di capacità specializzate di cui pochi team di sviluppo interno dispongono. I servizi cloud sono usati da comunità di sviluppatori che contribuiscono a migliorarne la qualità. Sono questi a fare da specialisti per voi, con capacità nelle varie aree funzionali superiori a quelle di un qualsiasi utente grazie all’esperienza accumulata”.
Ma, chiediamo, quali skill occorrono per sfruttare i servizi cloud? Occorre una metodologia speciale? “Le conoscenze tecniche di base, sui linguaggi e sulle architetture, come la Soa, sono le stesse maturate negli ultimi dieci anni di sviluppo interno, cambia però il modo di usarle e un po’ di formazione è necessaria. Come punto di partenza consiglio un white-paper, The Twelve-Factor App che si può scaricare da Internet [al sito http://12factor.net – ndr] che spiega i passi da compiere nel valutare i servizi PaaS e nel servirsene”.
Parlando di partenza, come conviene che un’impresa avvii una strategia di sviluppo cloud? “Con quello che io chiamo il modello Mickey Mouse: un cerchio grande, la ‘testa’, che rappresenta il nucleo di sviluppo interno e due cerchi piccoli, le ‘orecchie’, che sono i servizi cloud pubblici e privati. Maturando l’esperienza PaaS, la testa andrà a ridursi a favore di uno sviluppo dei servizi che io vedo diseguale, con il cloud pubblico in crescita rispetto a quello privato”.