Da sempre, studiando ciò che una società getta, si apprendono molte sue caratteristiche. Se in un’epoca futura studieranno mai i nostri, dalla crescente quantità di RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) che “immettiamo” sul Pianeta, senza dubbio percepiranno l’intenso processo di digitalizzazione che stiamo attraversando. Un processo inevitabile, caratterizzato da luci e ombre come tutte le evoluzioni passate, ma anche “macchiato” da un’ombra evitabile e da combattere: il mercato nero dei rifiuti elettronici. A mettere in luce la drammaticità di quello italiano è la recente indagine “RAEE: chi l’ha visto?”, realizzata da Erion WEEE e Altroconsumo seguendo per tutta la Penisola, con tracker GPS, 370 apparecchiature, 300 grandi e 70 piccole.
Il circolo vizioso che indebolisce il canale virtuoso
Il primo dato che emerge è che oltre un terzo dei RAEE “seguiti” non sarebbe arrivato negli impianti autorizzati alla raccolta, pur essendo stato “instradato” nella corretta maniera. Un risultato preoccupante che, nonostante il campione statisticamente non sia significativo, ha spinto a compiere una stima dei rifiuti elettronici che ogni anno in Italia non sono gestiti come dovrebbero. Nel 2022 si parla di quasi 400.000 tonnellate di RAEE che mancano all’appello, quasi la metà di quelli prodotti.
Di fronte a queste cifre, più che cercare (inutilmente) di affinarle, serve iniziare a interrogarsi su come cercare questi flussi paralleli nascosti di RAEE e bloccarli. “Anche quando un consumatore si comporta correttamente, prendono strade non legali e dannose per l’ambiente. Possono finire in impianti che, pur se autorizzati, applicano metodologie semplificate per avere costi bassi e margini più alti, oppure in centri non certificati, in mercatini dell’usato, o nelle mani di chi li esporta illegalmente verso Africa o Estremo Oriente. Siamo prigionieri di un circolo vizioso” spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Erion WEEE.
Un circolo vizioso che deve diventare al più presto virtuoso: sta danneggiando l’intera economia del Paese, non solo del settore. Arienti spiega perché: “dal ferro al rame e all’alluminio, fino alle terre rare, noi siamo poveri di materie prime e non possiamo permetterci di sprecare l’opportunità di riciclarle. Sono strategiche per molti settori industriali avanzati e, anche se in quantità infinitesimali, sono presenti nei RAEE. Recuperarle significa provare ad affrancarsi dalla forte dipendenza che abbiamo in larga misura da Russia e Cina”.
Oltre ai rischi di danni ambientali diretti e di sanzioni dall’Europa per non aver rispettato i suoi target di raccolta, da considerare ci sono anche i problemi che il mercato nero dei RAEE provoca alla filiera virtuosa del recupero. “Trovandosi a gestirne quantità modeste – spiega Arienti – non si hanno risorse per investire in sviluppo tecnologico. Oggi molti impianti, quando ricevono rifiuti con parti contenenti materie prime preziose, non potendo investire in tecnologie innovative per estrarle, inviano le componenti intere in Belgio, Germania ed Estremo Oriente, regalando a questi paesi gli sforzi di raccolta degli italiani”.
Dismissioni virtuose a contrasto del traffico di RAEE
Le azioni per spezzare questi meccanismi sono molteplici. Sarebbe necessario aumentare la raccolta spiegandone l’importanza ai consumatori e rendendola più capillare e fruibile. “Anche dei controlli più rigidi e frequenti migliorerebbero la situazione, piuttosto che norme studiate per bloccare i malintenzionati che oggi rendono solo la vita più difficile a chi cerca di rispettare le regole” commenta Arienti.
In questo “framework-patchwork” di soluzioni, ci sono molti “to do” anche per le aziende. Oggi, a qualsiasi settore si appartenga, non ci si può dichiarare non digitali: impossibile non produrre RAEE. Anche nel settore rifiuti, però, occorre distinguere tra B2B e B2C, le dinamiche cambiano e diversi sono i fenomeni da contrastare.
“Può accadere che il detentore di apparecchiature elettroniche aziendali non si avvalga del servizio del produttore per la loro dismissione, ma si rivolga all’installatore che ne trae guadagno, affidandole a chi è pronto a pagarle per poi ricavarci denaro attraverso strade ‘alternative’” racconta Arienti. Importante, quindi, per chi si occupa di IT, compiere una scelta oculata del soggetto attraverso cui si dismettono i RAEE, verificare la filiera e gli impianti di cui usufruisce e diffidare dalle offerte “troppo speciali”.
Due nuovi concept per CIO attenti ai RAEE
Molto si può fare anche in fase di acquisizione di nuova tecnologia, una fase cruciale anche da questo punto di vista. In questo contesto, diventa necessario fare caso ad alcuni nuovi paradigmi emergenti che… faticano a emergere. Uno è quello del design for recyclability e consiste nel progettare da subito un oggetto in vista della sua riciclabilità, in modo che sia quindi facile da smontare e permetta una più semplice separazione dei componenti. “Sarebbe importante rendere questo aspetto un fattore da prendere in considerazione nella scelta della nuova tecnologia all’interno di una più ampia strategia aziendale sostenibile” spiega Arienti.
Un’altra pratica importante e che stenta a prendere piede è quella della preparazione per il riutilizzo. “All’interno di ogni parco macchine alcuni apparecchi elettronici, come i pc, non sarebbero da buttare definitivamente e potrebbero essere venduti come usati a chi è in grado di ricondizionarli e reimmetterli sul mercato. È una sorta di cambio di stato – spiega Arienti – in cui il rifiuto torna ad essere prodotto. È ancora più virtuoso del riciclo, ma è importante che l’azienda si prenda l’impegno di selezionare le apparecchiature che possano essere così trattate e oggi lo fanno in poche. Manca il flusso di rifiuti in buona condizione perché mancano sensibilità e conoscenza sul tema”.
Decisamente più noto e sfruttato il modello “pay per use”, molto virtuoso in termini di RAEE. “In genere ogni produttore dà valore al proprio asset, lo mantiene meglio e tende a smaltirlo in modo corretto, cercando di riutilizzarlo al meglio e fino alla fine, come dovremmo fare tutti, in azienda e non”.