Nel mondo, la partita dell’energia che manca e che costa si gioca su scala globale, ma anche nazionale e locale. Allo stesso modo, anche in ambito IT, l’alimentazione energetica non è un problema che riguarda solo grandi infrastrutture come i data center. Anche per i dispositivi di medie e piccole dimensioni sono in corso ricerche e sperimentazioni per capire le fonti, le tecnologie e gli strumenti più adeguati alle performance richieste. La prima sfida è quella di riuscire a cambiare ottica e ragionare con le giuste priorità ed esigenze del settore. Quello dei wearable sembrerebbe uno dei più esplorati, vivaci e promettenti.
Non solo solare: l’energia è dove meno ce lo si aspetta
Anche i dispositivi indossabili hanno bisogno di essere alimentati, ma con flussi incomparabili rispetto alle altre infrastrutture IT di cui siamo abituati a preoccuparci. Questa differenza cambia le strategie in termini di energia e l’obiettivo principale diventa quello di riuscire a raccoglierne in quantità sufficienti per evitare di dover ricorrere a scomode e dispendiose batterie. Una sfida prettamente tecnologica, che può essere affrontata spaziando tra molte fonti, tra cui raggi solari e onde radio, sudore e calore del derma, passi e movimenti animali e umani.
La più comoda e accreditata è attualmente l’energia solare, ma stanno prendendo piede anche i generatori piezoelettrici e triboelettrici, per generare energia da sollecitazioni meccaniche e proprietà elettrostatiche dei materiali, e i dispositivi di induzione elettromagnetica, per ricavarne da passi, salti e urti.
Ci sono ancora molte opzioni da esplorare, avendo ben chiaro che servono modalità di approvvigionamento energetico compatibili con il concetto di wearable. Quindi con volumi, pesi e forme indossabili da chi li deve indossare di volta in volta: una balena, un colibrì, un appassionato di jogging o un neonato.
Grazie anche al potente affermarsi di logiche ESG, oggi la ricerca e l’industria si stanno in tal senso orientando soprattutto su soluzioni ibride che combinano materiali unici e sistemi di accumulo di energia puntando su quelli più sostenibili.
In Giappone, per esempio, sono riusciti a realizzare un dispositivo con nanoparticelle di niobato di sodio e potassio (KNN) integrate con resina epossidica in grado di mantenere la carica anche dopo 100.000 utilizzi. Un risultato ottenuto combinando resistenza e generazione di energia che ammicca non solo al mondo dei wearable ma anche all’IoT in tutta la sua varietà. Se questo settore imparasse a razionalizzare la quantità di dati da raccogliere, l’energia creata con tecnologie nuove come questa potrebbe cominciare a bastare, per esempio per far sì che sensori infrastrutturali per ponti e autostrade che rilevano crepe, buche o altri danni possano restare attivi per anni senza necessità di “cambio batteria”.
E-skin e tracker di bisonti: si può fare
Una totale o parziale indipendenza dalle batterie per piccoli device IoT o wearable sarebbe una svolta in molti settori. Quelli più attivi oggi in tal senso sono la medicina e la ricerca che regalano esempi interessanti e, soprattutto, già sperimentati sul campo.
Uno è l’e-skin, una pelle elettronica autoalimentata da applicare sulla pelle “vera” per rilevare e trasmettere parametri medici come la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, la glicemia e i sottoprodotti metabolici. L’ultimo modello, sviluppato da alcuni ricercatori californiani, utilizza l’energia cinetica per creare triboelettricità: i sottili fogli di teflon, rame e poliimmide che la compongono, scivolando a ogni movimento della persona, generano una potenza massima di 0,94 milliwatt.
Nel campo della biologia, invece, per ottenere dei dispositivi in grado di localizzare gli animali che non “morissero” prima degli stessi, alcuni ricercatori danesi e tedeschi hanno unito le forze costruendo un innovativo localizzatore GPS che si ricarica ogni volta che gli animali si muovono. Funziona per ora con cani domestici, pony di Exmoor e i bisonti europei ed è ispirato agli orologi a carica automatica di fine Settecento.
Abbinando un simile meccanismo a un condensatore a ioni di litio e a un tracker personalizzato GPS hanno ottenuto una sorta di collari personalizzati e “di lunga vita” che consentono una raccolta dati duratura e serena. Quella che desiderebbero molti leader IT e data analyst anche di altri settori.