Anche negli avveniristici ambienti del mondo dei videogame esistono molte “barriere architettoniche” per i giocatori con disabilità. In questo caso, sarebbe meglio parlare di “barriere tecnologiche”, ma barriere restano e le incontra il 66% di chi desidera accedere a questo mondo divertente e appassionante. Lo stima a livello mondiale il report della non profit inglese Scope – Equality for disabled people che, tra le problematiche più sentite, segnala l’accesso a controller modificati (22%), le console inadeguate (18%) e i videogiochi in sé non accessibili “by design” (17%). In Italia, al fianco di questi aspiranti videogiocatori c’è la Fondazione ASPHI Onlus, uno dei centri ausili tecnologici italiani (GLIC) impegnati nel migliorare la qualità di vita di persone con disabilità attraverso la tecnologia. Nata nel 1980 da una intuizione di un dirigente di IBM intenzionato a inserire in azienda lavoratori non vedenti come programmatori informatici, oggi è irriconoscibilmente attiva su ambiti e problematiche di più vasta portata.
Da un desiderio personale, un roadshow nazionale
Le attività di ASPHI si sono infatti ampliate e trasformate, per tenere il passo coi tempi dell’innovazione, e nel 2022 è stato creato un gruppo dedicato solo ai videogiochi accessibili. “L’idea era nata già nel 2015, fornendo assistenza tecnologica agli specialisti dell’Istituto di riabilitazione di Montecatone, in merito alle richieste dei giovani pazienti. Un ragazzo, invece delle solite domande su smartphone o domotica, aveva domandato come poter tornare a giocare a FIFA” racconta Nicola Gencarelli, responsabile della ricerca tecnologica per l’innovazione sociale della Fondazione.
Dal desiderio di un giovane, lo spunto e lo sprone ad affrontare l’accessibilità di questo mondo, oggi più che mai attraente, popolato e ricco di investimenti. “Le tecnologie assistive sono sempre le solite, ma i videogiochi richiedono performance molto elevate in termini di velocità, latenza e reattività. Per intervenire in modo efficace, inoltre, bisogna conoscere bene sia il mondo dei game sia quello dell’assistive technology, se si vogliono cambiare davvero le cose” spiega Gencarelli.
Essenziale anche raccogliere esperienze, richieste e feedback dai diretti interessati e, allo stesso tempo, trasmettere competenze a chi ci ha a che fare: a operatori, riabilitatori, fisioterapisti, neuropsichiatri infantili e psicologi, oltre che ai i genitori. È proprio con questo obiettivo che il “gruppo videogame” di ASPHI, assieme a Fondazione FightTheStroke, con il sostegno di Lenovo Foundation e Fondazione Mazzola, ha di recente organizzato un roadshow in 3 città (Roma, Bologna e Milano) incontrando circa 70 persone con disabilità, quasi tutte minori, e proponendo diverse demo, per poi creare una community virtuale tuttora attiva attraverso cui fornire consulenze e assistenza sia a distanza che in presenza.
Il sogno risolutivo del body tracking intelligente
È stato un tour con cinque appuntamenti, in tutto, ma che costituisce un’unica tappa fondamentale di un percorso verso videogiochi più accessibili, dove la tecnologia gioca il ruolo della protagonista, tolti i player umani.
“Attorno ai game va creato un vero e proprio ecosistema di dispositivi. Per esempio, il gamepad non è accessibile e va ‘esploso’ in più comandi: tanti joystick e bottoni di diverso tipo. Ognuna di queste scomposizioni va studiata ad hoc a seconda delle abilità del singolo” racconta Gencarelli, illustrando una scena di copilot. Nulla di inerente al prodotto lanciato di recente sul mercato: in questo caso si tratta di giocare a 4 mani con sorelle, fratelli e amici, dividendosi i comandi e le interfaccia a disposizione.
Anche il tracciamento oculare viene spesso impiegato per rendere accessibili i videogiochi a chi ha difficoltà motorie. Permette di comandare anche un robot e aiuta la persona che lo usa a prendere confidenza con lo strumento, per poi utilizzarlo anche per scopi meno ludici. In alcuni casi diventa necessario ricorrere a una combinazione di tecnologie ancora più complessa. “Capita di dover integrare un mouse a bocca con una telecamera giroscopica montata sul capo, due o più comandi di controllo e un sistema di sintesi vocale” racconta Gencarelli. “Si può fare, ma l’obiettivo è di poter sostituire tutto con una singola tecnologia di body tracking. Permetterebbe molto più agilmente di giocare in modo performante e richiederebbe minore assistenza esterna”.
Significherebbe svincolarsi dall’hardware: ciò rappresenta l’ultima frontiera, risolvere il problema dell’accessibilità dei videogame con una webcam, l’intelligenza artificiale e qualche semplice nozione di programmazione.
Sentirti alla pari giocando, grazie al digitale
Inserito anche nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, il diritto al gioco oggi dovrebbe contemplare anche quello al videogioco. Forse lo fa già e alcune persone con disabilità si rifanno proprio questo, quando domandano di avere accesso al mondo dei game. Un argomento citato soprattutto dai più grandi, precisa Gencarelli, mentre “per i bambini, soprattutto se con disabilità complesse, giocare non significa solo recriminare un diritto. È un’attività che assume un valore molto più ampio, sia sociale che cognitivo e di comunicazione, con impatti impensabili per chi non è operativo in questo campo”.
Per prima cosa, accedere ai videogame generalmente in commercio (e non a quelli ghettizzanti etichettati come “per disabili”) significa poter disporre di un un campo da gioco in cui si è alla pari con tutti gli altri: “quello digitale è forse l’unico dove questo avviene” commenta Gencarelli. “Quando manca la possibilità di comunicare in modo verbale, i videogame diventano anche un’opportunità per scoprire alcune capacità non notate. Per esempio, quella di riconoscere la destra dalla sinistra”.
Infine, c’è il ruolo “formativo” dei videogame che spesso sono un’ottima scusa per convincere un bambino a usare strumenti che finora ha trascurato, perché imposti o proposti in ambiti meno divertenti. Il puntatore oculare, per esempio, quando si tratta di guidare un personaggio in un futuristico ambiente all’interno di un videogame, diventa “per magia” un alleato di semplice utilizzo. Lo è e lo sarà anche nella vita di tutti i giorni, soprattutto in un percorso di conquista di nuovi gradi di autonomia, anche abitativa e lavorativa.