Impegnati a comprendere come trarre reale vantaggio dal boom dell’intelligenza artificiale, oltre che riempirsene la bocca, ci si sta scordando di rispondere alla crescente domanda di trasparenza. Una necessità diventata priorità anche a seguito del crollo della borsa delle criptovalute FTX che non ha aiutato l’instaurarsi di un clima di fiducia nel digitale.
Ad arricchire e approfondire questo scenario stridente arriva un’indagine sulla mancanza di serenità di chi, nei team IT, prova a denunciare – o meno – gli eventuali illeciti.
Le ritorsioni IT minano la trasparenza nel digitale
L’autore del report è la società di ricerche di mercato Survation che ha messo a capo del team di lavoro Junade Ali, un membro dell’Institute for Engineering and Technology. Il titolo scelto ne anticipa gli esiti: “Dark Side of Software Development“. Uno dei dati più di impatto è che il 75% degli ingegneri informatici intervistati racconta che, quando denuncia illeciti sul posto di lavoro, subisce qualche tipo di ritorsione.
Come illeciti sono stati considerati casi di violazione degli standard professionali, negligenza, corruzione, frode, attività criminale, errori giudiziari, rischi per la salute e la sicurezza, danni all’ambiente e la violazione degli obblighi di legge, compresa la discriminazione o l’occultamento deliberato.
Approfondendo il tipo di clima in cui questi professionisti IT operano, è poi emerso che il 53% sospetta di aver commesso illeciti sul posto di lavoro e il 59% di coloro che hanno scelto di non denunciare gli illeciti, lo ha fatto esattamente per paura di ritorsioni da parte del management.
L’effetto “boomerang”, sempre secondo il report, non sarebbe il solo problema sistematico e profondo che impatta sulla mancanza di trasparenza nel settore e, di conseguenza, nella società tutta. Vi si citano infatti anche le clausole di bavaglio vietate ancora in uso, per esempio, e le metriche di sviluppo del software “standard del settore” che non tengono conto della propensione al rischio del pubblico.
Secondo i ricercatori, l’atteggiamento mostrato verso questi problemi si rispecchia nella volontà di “nasconderli sotto il tappeto fino a quando non raggiungono il punto di ebollizione, invece di affrontarli”. Una tendenza preoccupante, che rende i dati dell’indagini drammatici e impone un cambio di passo immediato. Gli ingegneri del software “devono essere in grado di dare l’allarme quando vedono potenziali fallimenti nei sistemi o negli approcci all’ingegneria”.
Non solo codici di condotta, servono tutele
Oltre ai numeri, il report contiene quindi anche una forte denuncia. Commentandoli, si afferma infatti che dietro di essi si nasconde una mancanza di protezione nei confronti di chi ha il coraggio di parlare. Motivo per cui nessuno si sente sereno, ma nemmeno cautelato, nel momento in cui viene a conoscenza di potenziali illeciti e vorrebbe dare l’allarme.
Interrogati nel merito, un ingegnere informatico su sei afferma di temere conseguenze negative nel momento in cui decidesse di esprimere anche solo delle preoccupazioni, di porre domande o di ammettere errori. In aggiunta, un ingegnere informatico su quattro tra gli intervistati dichiara di non sentirsela di correre rischi: troppo pesanti e probabili sarebbero le conseguenze sulla sua carriera.
In merito a questa non nuova situazione, di cui l’AI ha solo acuito la gravità, gli organismi professionali definiscono gli standard per la segnalazione dei rischi. Esiste per esempio, il Codice di condotta dell’Institution of Engineering and Technology che afferma che gli ingegneri hanno la responsabilità di garantire che chiunque si sottragga ai loro consigli comprenda i rischi associati e, se è il caso, di informare il datore di lavoro di tali rischi. Ma è un codice, una regola scritta, una best practices che, seppur best, deve essere applicabile senza rischi.
È un aspetto di cui curarsi, se si desidera che il prossimo report del genere riporti altri numeri.