Dopo la pandemia, nulla è tornato più come prima. Lo si dice spesso, ma ciò non significa che tutto ciò che era stato pensato ai tempi, pianificato o addirittura avviato, sia andato poi integralmente perso.
È fuori da ogni dubbio che sia necessario prendere atto dei forti e indelebili cambiamenti che questo evento ha impresso in persone, Paesi e imprese, ma ci sono progetti e relazioni che possono essere riprese in mano, “aggiornate” e riavviate. Anzi, magari è la volta buona per imprimere maggiore vigore, efficacia e concretezza nella loro messa a terra, come nel “caso” dell’accordo tra Unione Europea e India attorno alle tecnologie di High Performance Computing.
Dopo lo stop & go, cercasi proposte concrete
Firmato durante una cerimonia virtuale a novembre 2022 e poi rimasto a prendere polvere negli scaffali di entrambi i partner, questo patto di collaborazione ha recentemente ritrovato vitalità. E non per merito dell’Europa, ma grazie alla spinta vitale, propositiva e desiderosa di digitalizzazione ed emancipazione che sta caratterizzando le politiche economiche e tecnologiche dell’India.
È infatti questo Paese a domandare caldamente ed esplicitamente delle proposte per sfruttare le risorse di calcolo ad alte prestazioni messe a disposizione già grazie all’accordo pre-Covid. Lato India, si parla di 28 supercomputer, tra cui sette con una potenza di calcolo pari o superiore a un petaflop. Lato UE, di nove infrastrutture di calcolo in grado assieme di sostenere 386 petaflop di prestazioni, con un picco di 539,13 petaflop. È a tutta questa potenza di calcolo che potranno accedere gli autori delle proposte accettate dai promotori di questa “call” HPC.
Il sogno di un sistema di allerta multirischio
Se si dovesse stare alle indicazioni dell’Europa, si rischierebbe di vagare in un vasto e dispersivo universo di possibilità. A mettere maggiori paletti, in auto a chi desidera concretamente passare ai fatti è invece l’India.
In un bando pubblicato a inizio aprile, infatti, il suo Ministero dell’Elettronica e della Tecnologia dell’Informazione indica con precisione gli ambiti in cui gradisce ricevere proposte dai ricercatori.
Sui cambiamenti climatici, sulla bioinformatica e sui rischi naturali come incendi, tsunami, inondazioni e terremoti. L’ideale sarebbe poter mettere le basi per la realizzazione di un sistema integrato di allerta precoce “per affrontare gli effetti a cascata in uno scenario multirischio”.
Oltre ai temi prioritari, sempre l’India detta anche alcune condizioni tecniche. Per esempio, la necessità di focalizzarsi sull’ottimizzazione di applicazioni e codici software specifici e di esporre un piano di sviluppo completo che includa tempistiche chiare, KPI e risultati. Essenziale – comprensibilmente – che siano messi in evidenza i benefici della cooperazione e le possibilità di attività di scambio di competenze e di talenti.
In questo accordo a quattro mani, l’Unione Europea sembrerebbe quasi “accodarsi”, restando più vaga e possibilista, rispetto a richieste, esiti e obiettivi. Augurandosi che avvenga con l’India uno proficuo scambio di ricercatori e ingegneri, indica come priorità il miglioramento delle applicazioni e dei codici HPC in casi sia accademici che di natura industriale e caldeggia la realizzazione di una chiara tabella di marcia per una futura collaborazione in aree mirate. Nonostante ciò, i tempi della messa in atto dell’accordo restano oscuri, per il momento. La “palla” è passata in mano al mondo della ricerca ma chi deve decidere come giocarla non ha per ora modo di sapere quanto durerà né la partita e né il prepartita.