Shopping experience, CRM e innovazione tecnologica: 5 miti da sfatare

Business chiama consumatore, consumatore chiama business. Innovazione digitale e psicologia vengono in soccorso al marketing, per intercettare le mille vite analogiche e digitali dei consumatori e profilare meglio l’offerta

Pubblicato il 28 Set 2015

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I processi di industrializzazione, l’allungamento della catena distributiva e la globalizzazione hanno contribuito ad allontanare i consumatori dai produttori. A influenzare i processi d’acquisto sono subentrate nuove dinamiche ma anche nuovi saperi.

Non a caso, le confezioni sono diventate sempre più comunicanti (e accattivanti), i brand più strategici nel costruire la loro affermazione di autorevolezza rispetto ai competitor, i servizi più proattivi per potenziare la fidelizzazione o, quanto meno, la capacità di ascolto attraverso un Customer Relationship Management più sofisticato e più attento.

Il motivo è semplice: un prodotto o un servizio vengono scelti non solo in base a un rapporto prezzo/prestazioni ma anche perché gratificano in vario modo il consumatore che sceglie: perché è di marca (garanzia), perché è green (valore), perché è un simbolo elitario (status symbol), perché è consigliato da tutti oppure da chi è considerato un guru in materia (influencer). Non solo: il prodotto, soprattutto, è informazione anche perché viene venduto in un punto di contatto, fisico o virtuale, che contribuisce a creare l’aura di interesse attorno a lui.

1) Shopping experience, ovvero la rivincita dei negozi fisici

Il primo mito da sfatare è che non è vero che i negozi fisici siano destinati a tramontare. Anzi: è proprio il contrario. Bisogna cambiare però le vision.

Il punto vendita è un touch point: il negozio (analogico o digitale), è informazione e produce informazioni. Se il negozio è fornito, bello, funzionale, elegante, capace di stupire o di offrire conferme, se genera convenienza o anche solo benessere, se ha personale competente o anche solo simpatico, se offre servizi a valore aggiunto (consegna a domicilio, personalizzazione del prodotto, formazione, gamification) il punto vendita diventa a sua volta generatore di un flusso di informazioni di contenuto o emozionali che entrano a far parte del processo di acquisto e del processo di fidelizzazione.

Quando l’equazione funziona, il consumatore arriva a frequentare un negozio e a comprare anche solo per il piacere di vivere un’emozionalità importante. Il proliferare dei concept store e degli e-commerce più di successo si deve proprio al rilancio del valore del punto vendita, attraverso un ventaglio di stimoli, informazioni e servizi. Se opportunamente stimolato e informato, infatti, in negozio il consumatore ci va ancora volentieri. La shopping experience è un viaggio verso il prodotto. Ma cosa spinge un consumatore a comprare?

2) Che cos’è lo Zero Moment of Truth e perché è importante saperlo

A questo proposito, un nuovo capitolo del CRM e del marketing è lo ZMOT, nuova frontiera strategica per analizzare un’azione di vendita. Che cos’è lo Zmot? Acronimo di Zero moment of truth, è il momento che precede il first moment of truth (quello in cui un cliente compra effettivamente una cosa) e il second moment of truth (che è quando se la porta a casa). Perché è così importante? Perché rappresenta l’istante in cui allo stimolo segue la vera decisione che porta il consumatore a volersi impossessare di un certo bene.

Dopo l’avvento dei browser (lo Zmot non a caso è un parto di Jim Lecinski, direttore della business unit Sales & Service americana di Google), di Facebook, Twitter, Whatsapp e di tutto l’universo dei social network, l’evoluzione multicanale del consumatore ha generato una vita digitale importante. Guardando solo all’Italia, su una popolazione di 61,5 milioni di abitanti, è il 46% della popolazione ad avere un account su uno o più top social media (solo gli utenti attivi di Facebook sono 26 milioni). Su 28 milioni di social utenti, 22 milioni di italiani si connettono da mobile. Il tempo medio speso dagli italiani sui social ? 2 ore e 30 minuti (FONTE: We Are Social 2015).

Il secondo mito da sfatare è che i social non riguardano il business. I brand che ritengono i social siano un fenomeno passeggero o solo un folkore digitale, commettono un grosso errore.

3) Vivremo tutti connessi e contenti

La dipendenza da telefonino e i nuovi canali di relazione dei consumatori  fanno sì che a influenzare la scelta all’acquisto siano (sempre di più) le voci della rete, i blog, i siti comparativi, i social network, i motori di ricerca che permettono di cercare immagini, informazioni, notizie e opinioni che contribuiscono a prendere una decisione in merito a una scelta di prodotto, di brand, di servizio. Secondo la Global Survey “Trust in advertising” realizzata da Nielsen, il 64% dei consumatori italiani si fida dei commenti postati sui social network (più di quanto non si fidi di ciò che trova su giornali e periodici).

Il tutto secondo un criterio fortissimo: la motivazione. Grazie allo Zmot, Internet diventa un supporto decisionale online sempre più utilizzato dai consumatori. E questo, si badi bene, funziona indipendentemente dal costo del bene.

Quello che oggi è importante capire è che il potere dell’informazione è nella sua rappresentazione. Gli asset della distribuzione sono i prodotti, che si portano dietro un corredo di informazioni, ma anche di immagini.

La digitalizzazione degli asset ha introdotto nel Product Lfecycle Management il Visual Content Management (VCM). Inizialmente nato per il mercato del digital signage, è grazie all’e-commerce che il VCM ha compiuto un salto quantico, raffinando tecniche e servizi associati. Oggi l’evoluzione tecnologica porta nella distribuzione una parte delle soluzioni progettate per l’infotainment: a seconda della tipologia di offerta è possibile studiare nuove modalità di ingaggio, dalla kinect integrata negli specchi digitali delle postazioni interattive alle virtual fitting room.

Terzo mito da sfatare: la gestione delle informazioni è un problema dell’IoT.

4) Convergenza tra fisico e digitale: in arrivo nuovi modelli di business

Non a caso, i fornitori di tecnologia si stanno specializzando nel fornire piattaforme capaci non soltanto di gestire la multicanalità dei consumatori (front-end) ma anche la multicanalità delle relazioni tra gli operatori della supply chain (back-end), con possibilità di apertura a modelli di servizio che, per la natura evolutiva connaturata alle tecnologie, è in continuo divenire.

Il cross selling associato alla profilazione dei consumatori online, ad esempio, ha automatizzato e quindi velocizzato le strategie così come la possibilità di estrarre una selezione merceologica magari a bassa risposta di vendita per strillare una promozione in home page o attraverso meccanismi di banner virali, agganciati ai social media.

La novità è che oggi, attraverso la multicanalità dei consumatori (e degli operatori), è possibile ideare nuovi modelli di gestione e di servizio, capitalizzando il digital asset management più maturo. Per il retail si parla allora di omnicanalità ma anche di convergenza, veicolando il digital asset management su tutti i media, ovvero su tutti i display possibili: smartphone e tablet dei consumatori attraverso le app e i Qr code, ma anche totem, videowall e installazioni interattive nei negozi fisici (o localizzati nei passaggi pubblici più strategici). Anche nel back end, ad esempio, tipicamente nella logistica e nella produzione, lo smartphone sta sostituendo in molte attività i terminali rugged brandeggiabili, e questo sia perché gli utenti sono più avvezzi all’interazione, sia perché le app a supporto delle imprese sono molto più evolute.

Il quarto mito da sfatare, dunque, è che il Bring Your Own Device (BYOD) sia un problema per le aziende. Piuttosto è un’insieme di grandi opportunità che, se ben sfruttate, trasformeranno l’acronimo in Business on Your Own Device.

5) CRM, anzi Customer Experience Management (CEM)

Il consumatore connesso è una risorsa strategica per i brand. Le app da far scaricare gratuitamente (previa debita e utile compilazione di un form), ad esempio, sono una preziosa fonte di click, di like, di preferenze.

Crescono e si diversificano anche i nuovi sistemi di couponing legati agli smart tag (Qr code, tag NFC per arrivare ai beacon che sfruttano il bluetooth dei telefonini per attività di proximity marketing), le promozioni in bundle con altri brand, le promozioni associate alle newsletter o ai banner agganciati ai social network.

Le dinamiche di fidelizzazione e di premiazione legate alla raccolta punti e ai meccanismi di gioco on line e off line aiutano a teatralizzare sia l’offerta che l’esperienza d’acquisto. Per i brand, infatti, è sempre più difficile riuscire a stabilire una relazione con il consumatore, quotidianamente sollecitato da tantissimi stimoli che vengono da famiglia, media, social, dispositivi informatici fissi e mobili, lavoro… Servono Customer Engagement Solutions per ingaggiare l’attenzione e stabilire una relazione che può portare il cliente a comprare on line oppure off line, da qualsiasi tipo di dispositivo, fisso o mobile. Dall’help desk alla fidelity card, dall’e-mail marketing al qr code su un poster, dal camerino intelligente ai social.

L’obbiettivo? Impostare una nuova governance delle informazioni che porti all’integrazione di qualsiasi canale di servizio e di relazione, coinvolgendo tutti: clienti e potenziali clienti. La digital transformation della distribuzione è riuscire a definire un CRM analitico, attraverso un approccio che aiuti a capire ogni singolo cliente cosa fa, come si comporta, cosa pensa e cosa si aspetta. Come? Identificando tutti i touch point fisici e virtuali che possono mettere un brand in relazione con un consumatore, attuando una tracciabilità agganciata a una reportistica di dettaglio, con diverse modalità di interrogazione. È l’ora del Customer Experience Management (CEM).

Il quinto mito da sfatare, dunque, è che il Big Data Mananagement sia un problema. In realtà è il braccio armato della Business Intelligence, cioè di una nuova intelligenza di sistema a supporto del business.

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