Rfid e sistema moda domina la prudenza

La ricerca realizzata da Sda Bocconi con Sap Italia evidenzia le grandi opportunità della tecnologia Rfid per aumentare la competitività del sistema moda italiano, ma sottolinea anche come l’atteggiamento delle aziende del comparto sia ancora troppo attendista e contraddistinto da competenze limitate (nella foto Carlo Albero Carnevale Maffé, dell’area Strategia Sda Bocconi)

Pubblicato il 16 Feb 2006

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Disperso, caratterizzato da tanti segmenti diversi e con caratteristiche peculiari, il mondo della Moda ha un bisogno comune, quello di imparare a comunicare per rendere più efficienti i processi lungo tutta la filiera e per conoscere meglio il cliente e le esigenze del punto vendita. La tecnologia Rfid può rappresentare uno strumento per rispondere a questi bisogni? Parte da questa domanda la ricerca condotta da Sda Bocconi e commissionata da Sap Italia dal titolo “L’impatto delle tecnologie Rfid sui processi del sistema moda”. “La tecnologia Rfid ha la capacità di rispondere a questi bisogni – dice

Carlo Albero Carnevale Maffé, dell’area Strategia Sda Bocconi – che, se ben affrontati, sarebbero in grado di dare una risposta al sistema moda italiano, sui due fronti dell’attacco competitivo di cui è oggetto: quello del low cost, ossia dalla manifattura a basso costo che viene dai mercati asiatici; e quello che viene da realtà come Zara che hanno ripensato il modello push basato sulle collezioni facendo di fatto sparire il concetto delle due collezioni (primavera-estate e autunno-inverno) e riorientando tutta la propria filiera in rapporto al continuo variare delle esigenze del mercato, analizzato costantemente nelle sue dinamiche. Quindi, se possiamo dire che il tema del Rfid è un tema ormai caldo da alcuni anni, lo scopo della nostra ricerca è stato quello di andare a capire qual è il livello di temperatura oggi”.
La ricerca è partita dalla mappatura analitica dei processi del comparto Moda, identificando e dettagliando i potenziali benefici delle applicazioni Rfid. La ricerca ha seguito due strade, quella del questionario distribuito a un campione di imprese con lo scopo di monitorare il fenomeno a livello aggregato e quella di scendere più nel dettaglio attraverso l’analisi di business case in alcune aziende-pilota che hanno consentito di individuare potenziali costi e benefici associati all’applicazione della tecnologia Rfid. Che quadro ne emerge? “Un quadro agrodolce”, risponde Carnevale Maffé: “Dolce, perché l’attesa, i desideri e la curiosità sono molto forti; c’è la consapevolezza comune che questa è la tecnologia che vincerà nei prossimi anni. Agro, perché di progetti in corso, estesi, al di là di progetti pilota fatti da qualche grande impresa non ve ne sono; il settore è ancora alla finestra e sta aspettando il verificarsi di una serie di condizioni”.
Queste condizioni vengono sostanzialmente riassunte in tre grandi ambiti: tecnologico, normativo e organizzativo.
Tecnologico perché mancano degli standard accettati a livello mondiale in grado di rispondere ai bisogni specifici della moda: “La moda – prosegue Carnevale Maffè – non può basarsi su tecnologie a radiofrequenza che funzionino a distanze troppo ridotte e ha bisogno di capacità di lettura contemporanea”. Un altro elemento che è emerso dalla ricerca è quello del costo: la percezione tra le aziende è che il costo del microchip sia ancora troppo elevato anche se poi, in realtà, sostengono gli estensori della ricerca, quando si va ad analizzare il reale impatto del costo unitario del chip si verifica che è minore del previsto.
Il problema normativo si incrocia con quello tecnologico perché, per esempio, l’assenza di standard tecnologici è dovuta anche al fatto che in Europa, una delle tecnologie più promettenti per l’implementazione del Rfid nel settore della moda, la Uhf (ultra high frequency), ha problemi di accettazione normativa e vengono concessi solo permessi provvisori di utilizzo, in via sperimentale. C’è poi un problema normativo che attiene all’uso, alla vita del transponder dopo l’uscita del capo dal negozio: “È necessario affrontare questa tematica, che attiene al delicato tema della privacy, in modo più aperto. Se non si fa chiarezza su questo aspetto, una delle aree più importanti, centrali, e che potrebbe, da sola, giustificare l’investimento strategico nel Rfid, viene a mancare”. Quest’ultimo è infatti uno dei temi più importanti in funzione del miglioramento del servizio al cliente: se tutte le informazioni contenute nel microchip rimangono “vive” anche dopo che il prodotto è stato acquistato, questo consente sia di risalire facilmente all’origine di un eventuale difetto sia di offrire prodotti “stilisticamente” consoni con quello acquistato.
Infine l’aspetto organizzativo. “La tecnologia Rfid – dice Carnevale Maffè – è ancora un discorso da iniziati, da responsabili dei sistemi informativi o della logistica. C’è interesse da parte di altre figure professionali (soprattutto chi si occupa di retail o di produzione) ma è ancora una curiosità disinformata e, soprattutto, a parte rari casi non è ancora giunta al top management dell’azienda, all’imprenditore”. Ed è proprio a causa della mancanza di questa lucidità che, per il momento, partono solo progetti che puntano all’efficienza (finalizzati a risparmio dei tempi, minori costi di logistica ecc.) perché sono nel dominio organizzativo dei tecnici mentre latitano progetti che mirano all’efficacia andando a impattare sul punto vendita, sulla relazione con il cliente. Un altro aspetto che emerge chiaramente dalla ricerca è che le aziende che stanno iniziando ad approcciare concretamente la questione sono quelle che presentano una avanzata integrazione verticale (con un controllo, diretto o indiretto, su tutta la filiera) e informativa (con l’adozione di sistemi informativi integrati).
“È evidente – conclude Carnevale Maffè – che molti di questi problemi non possono essere risolti dalle aziende singolarmente. Il messaggio è dunque quello della necessità di ‘fare sistema’ per affrontarli con la partecipazione degli attori istituzionali al fine di accelerare l’adozione di una tecnologia che può dare importanti risultati sul fronte dell’aumento della competitività delle imprese italiane”.

Percepire chiaramente i benefici
Uno dei nodi centrali è comunque quello della chiara percezione dei benefici che questa tecnologia può portare.

Giulio Folgarait, business consultant Sap Italia, evidenzia come in alcuni casi ci si trovi a godere di benefici inaspettati: “Oggi parliamo ancora molto e soprattutto del Rfid come supporto ai processi logistici, ma in realtà i vantaggi maggiori si trovano altrove e riguardano l’incremento delle vendite o, addirittura, il consolidamento del brand. L’utilizzo della tecnologia a radiofrequenza ha infatti un enorme potenziale contro la piaga della contraffazione o dei mercati paralleli che, oltre a ridurre gli introiti per le grandi Case della moda, rischiano di indebolirne il brand. La comprensione di questi benefici, infine, consente – conclude Folgarait – di approcciare la tematica per gradi. È impensabile proporre progetti che impattino su tutta la filiera, il successo passa attraverso l’identificazione di una specifica area di miglioramento e l’azione su questa”.


SUPPLY CHAIN EFFICIENTI E AGILI
“Negli ultimi cinque anni il mondo della moda ha vissuto profondi mutamenti e, come hanno dimostrato player come Zara, H&M o Mango, velocità è la parola-chiave. L’implementazione di supply chain ultra veloci rappresenta dunque uno strumento imprescindibile di competitività”, ha detto Carlos Cordon, professore di Operations Management presso la buiness school ginevrina Imd, introducendo la giornata di lavori della “Txt European Fashion Conference”. Cordon ha però subito specificato come il concetto di velocità si declini in modo diverso in relazione al tipo di prodotto che viene offerto: se quello che si propone è un prodotto comune, che non si differenzia in modo significativo dalla concorrenza, l’azione principale si indirizza ai costi, con una focalizzazione sulla realizzazione di una supply chain efficiente; se invece si propone un prodotto di alta gamma, che vuole essere unico ed esclusivo, il focus va posto sull’agilità della supply chain, la riduzione del time to market, la capacità di modificare rapidamente la supply chain in base alle nuove esigenze.
I casi di successo presentati nel corso della conferenza (Victoria’s Secret e Gucci) hanno poi dato concretezza a questi concetti.
In particolare, Karlheinz Hofer, Cio di Gucci Group (che, ricordiamo, riunisce i brand Gucci, Yves Saint Laurent, Sergio Rossi, Boucheron, Roger & Gallet e Bédat & Co.) ha sottolineato come il fattore chiave per il successo della grande firma, per quanto riguarda gli aspetti della produzione, sta nell’avere visibilità completa della supply chain, dal fornitore al distributore. La visibilità totale si coniuga con una pianificazione in grado di reagire velocemente ai cambiamenti. Gucci ha quindi scelto una soluzione di demand planning, sviluppata da Txt, che consente di creare listini commerciali per tutti i propri clienti attraverso un sofisticato processo di simulazione di analisi di mark-up, margini e valore del sell-in/sell-out. A questa si affiancano la soluzione di pianificazione della produzione e quella di gestione dei terzisti che permette di pubblicare in tempo reale i piani di produzione di tutti i fornitori e terzisti. (P.F.)

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