Da qualche anno il termine innovazione in Italia è il più
usato (e abusato) dalle imprese. È indubbio che innovare sia
una delle migliori ricette per rinascere o per mantenere alta
la competitività sul mercato. Il concetto è ormai chiaro e lo
hanno capito anche le realtà imprenditoriali medio-piccole.
Del resto, non è un caso che le 25 eccellenze italiane,
individuate da una ricerca del Censis, abbiano fatto registrare
negli ultimi anni un incremento di clienti e giro d'affari
e una discreta tenuta persino in quest’ultimo anno di
crisi. In un simile contesto ha sorpreso lo scorso anno una
ricerca di NetConsulting da cui emergeva la crescita costante
dell’investimento in tecnologia da parte delle piccole e
medie imprese, che nel nostro Paese contribuiscono per circa il
70% al prodotto interno lordo.
L’istituto di ricerca prevedeva un miglioramento del
budget destinato all’information technology da parte
delle imprese che hanno meno di 250 addetti e soprattutto delle
imprese che contano meno di 50 dipendenti, rispetto a un
investimento meno massiccio delle grandi aziende. Si trattava
di una previsione fatta alla fine del 2008 quando la crisi non
aveva ancora fatto sentire fino in fondo i suoi effetti. In
realtà durante il 2009 le Pmi hanno davvero provato a evitare
tagli all’informatica e all’innovazione. Anche se
in Italia siamo ancora lontani dalla media europea, dove si
investe circa il doppio. A frenare gli investimenti in IT è in
primo luogo il costo. Secondo l’indagine,
l’ostacolo principale è costituito dal costo elevato
delle soluzioni e il fatto che le aziende non dispongano di un
budget adeguato ed è chiaro che questo è ancor più
accentuato da questo periodo di calo dei fatturati. Ma perché
allora per anni si è detto che le Pmi non investono in
tecnologie? Magari perché in Italia è ormai diventato
difficile individuare chi siano le piccole e medie imprese.
A lungo sono state censite come Pmi anche quelle con meno di 10
addetti. Così si spiega che le piccole e medie imprese
italiane siano censite come circa 4 milioni mentre invece si
dimentica che la metà ha un solo dipendente e 2,5 milioni non
hanno nemmeno una linea telefonica fissa. Se teniamo conto di
un campione che comprende solo le aziende fra 10 e 249 addetti,
scopriamo che in Italia le Pmi sono meno di 200.000. E quindi
non c'è da stupirsi che queste aziende stiano per
investire più delle grandi: devono compiere un percorso che le
grandi hanno già compiuto. Se entriamo però nello specifico,
il quadro cambia. In che modo si usano le tecnologie? E con
quali finalità imprenditoriali? Da una parte ci sono le
aziende che devono colmare il loro gap tecnologico, adeguando
le piattaforme informatiche a quelle delle grandi imprese.
Dall’altra le imprese che puntano su strumenti
informatici davvero innovativi, capaci di garantire il salto di
qualità.
Per raggiungere certi livelli di eccellenza, però, servono
anche centri di ricerca che, per loro natura sono costosi e
richiedono fondi oppure strategie alternative come spin-off,
acquisizioni, alleanze strategiche, joint-venture, accordi di
cooperazione. Nel padovano, per esempio, si è sviluppata da
tempo una filiera produttiva legata al fotovoltaico. A Siena si
registra la nascita di un polo di assoluta eccellenza nelle
biotecnologie basato sulla capacità di fare sistema
territoriale. Un modello basato sul coinvolgimento diretto di
tre differenti sfere istituzionali (enti locali e regionali,
università e imprese) per sostenere una crescita basata sul
progresso tecnologico. E poi a Trieste c’è l’Area
Science Park, il Parco Scientifico e Tecnologico
multisettoriale. Un’area che a pieno diritto, anche se in
piccolo, può essere definita la Silicon Valley italiana. Qui
la ricerca, la formazione e il fare impresa trovano un punto di
incontro ideale che li trasforma in una grande risorsa per la
crescita economica del territorio del Friuli Venezia Giulia e
non solo. Senza dimenticare proprio il Politecnico di Milano
che, attraverso la sua Fondazione, gestisce un acceleratore di
imprese a matrice tecnologica e che ha persino deciso di aprire
una filiale in Silicon Valley per seguire più da vicino i
contatti internazionali che possono agevolare le imprese che
stanno all’interno dell’incubatore. Non sono solo
esempi virtuosi ma modelli replicabili che potrebbero guidare
la ripresa del nostro sistema produttivo.