I casi di applicazione concreta della tracciabilità evoluta,
che contempla il monitoraggio di svariati processi di
produzione fornendo una “memoria” ai prodotti, in
Italia sono ancora sporadici e non fanno sistema. Parte da qui
il Primo rapporto sulla tracciabilità alimentare in Italia,
realizzato dal centro studi Cedites in collaborazione con Aton,
società specializzata nelle soluzioni di mobility.
Lo studio si pone l’obiettivo di fotografare
qualitativamente la situazione e analizzare opportunità, per i
consumatori e gli operatori, e motivi di resistenza. La
tecnologia di riferimento è l’RFId, ormai consolidata e
già ampiamente adottata in molti ambiti: ma non basta
convincere i CIO dei potenziali vantaggi. In ambito alimentare,
la spinta forte dovrebbe arrivare dai consumatori, che già
hanno subito varie crisi allarmanti, come la Bse nella carne, e
che per questo dovrebbero chiedere maggiore trasparenza e
tutela: la tracciabilità evoluta consente, per esempio, di
ritirare rapidamente un prodotto dal mercato se rischioso per
la salute.
Anche il Made in Italy alimentare ne trarrebbe grandi vantaggi:
si pensi alla crisi della mozzarella campana, fermata alle
frontiere perché di incerta provenienza. Ma non bisogna
dimenticare che la trasparenza non è di per sé sinonimo di
qualità: ecco perché non tutti hanno interesse ad aumentarla.
Inoltre, un anello debole della catena è quello dei
trasportatori, che manifestano forte resistenza
all’adozione di nuove tecnologie quali l’RFId.