L’impatto delle nuove tecnologie nella manifattura italiana

La visione che vede il fenomeno del digital manifacturing destinato a rivoluzionare industria e artigianato e quella che lo vede come possibile evoluzione delle imprese tradizionali sono complementari; in ogni caso si tratta di un’occasione che il sistema manifatturiero italiano non può rischiare di perdere e per il quale anche le organizzazioni It sono chiamate
a svolgere il proprio ruolo. È quanto afferma Stefano Micelli, docente di Economia all’Università Ca’ Foscari, uno dei maggiori esperti di manifattura digitale e di e-business, intervistato da ZeroUno

Pubblicato il 03 Mar 2015

ZeroUnoChe ricadute avranno sul sistema produttivo italiano le nuove tecnologie per la manifattura digitale?

Stefano Micelli – Le ricadute saranno importanti. Questi nuovi strumenti non si limitano a ottimizzare i processi economici che già conosciamo; rischiano piuttosto di mettere in moto una vera e propria rivoluzione. I protagonisti di questo grande cambiamento saranno coloro che riusciranno a mettere insieme capacità tecniche, creatività e spirito imprenditoriale sfruttando altre tecnologie digitali, come nuove piattaforme per il commercio elettronico radicalmente più economiche rispetto a quelle a cui siamo abituati e ad altre opportunità che la rete mette a disposizione. Questa visione si orienta a prodotti di nuova generazione [ad esempio pezzi unici, gioielli, accessori, oggetti di design, realizzati attraverso le stampanti 3D, spesso con materiali innovativi, ndr], a forme di finanziamento che escono dagli schemi tradizionali come il crowdfunding [raccolta di piccole somme online da una moltitudine di investitori in cambio di sconti sui prodotti da realizzare o di piccole quote della società, ndr], a fiere di nuova concezione che puntano soprattutto alla creazione di una comunità e dove la distinzione fra fornitore e cliente si attenua.
Il cambiamento è già partito. Ricordo che la quota principale dei 400 miliardi di euro dell’esportazione manifatturiera deriva dalle medie imprese che già oggi hanno scommesso su strategie che puntano su varietà e personalizzazione. I nuovi strumenti per il digital manufacturing amplificano questo modello tipicamente italiano e consentono l’abbassamento delle soglie per l’internazionalizzazione che diventa alla portata anche delle piccole imprese. Tutto ciò è la premessa per lo sviluppo di una nuova imprenditorialità basata sull’ibridazione fra vecchio e nuovo.

ZeroUno – Eppure negli ultimi anni c’è stata una forte contrazione degli investimenti nel nostro paese. Come convincere gli imprenditori, in particolare le Pmi, a investire in innovazione?
Micelli – Il crollo degli investimenti deriva dalla difficoltà nel costruire la fiducia. Va detto anche che in questi anni sono cresciuti gli investimenti delle imprese italiane all’estero, come segnalato dalle analisi di Prometeia e Banca Intesa SanPaolo. Il problema oggi non è solo quello di convincere i nostri imprenditori a rilanciare il nostro paese; il problema è come compensare questa diminuzione attraendo investitori stranieri. Visto che il Paese è sempre meno attrattivo come mercato di destinazione, si deve puntare sulla presenza di competenze distintive. Per farlo serve una politica industriale che sostenga il manifatturiero, investendo innanzi tutto sul capitale umano, puntando sui giovani e sulla formazione tecnica, che veda al centro i laboratori a partire dalle esperienze dei FabLab, dove il fare insieme e la socializzazione della conoscenza sono parte integrante della formazione [i FabLab sono “officine” che offrono servizi e formazione nel campo della fabbricazione digitale grazie a strumenti come le stampanti 3D e le schede Arduino, ndr].  Vanno sostenute anche tutte le attività che diffondono la cultura dell’ibridazione: mettere in connessione le attività tradizionali con le tecnologie digitali rappresenta la premessa per l’imprenditoria futura.
Sarebbe poi necessaria una riflessione più approfondita su cosa significhi abbinare queste tecnologie al patrimonio estetico e di design che caratterizza il nostro Paese.

ZeroUno Le imprese italiane, per poter cogliere le opportunità del digital manufacturing, dovrebbero disporre di strumenti e competenze digitali di nuova generazione. Dove possono trovarle? I Cio e l’Ict aziendale sono in grado di svolgere un ruolo propositivo?
Micelli – Quanto abbiamo fatto con Google, con la realizzazione del www.eccellenzeindigitale.it [1] è un esempio di portale entry point che serve per accostare le Pmi tradizionali agli strumenti digitali, per aiutarle ad acquisire una base di conoscenza, per valutare una piattaforma digitale di partenza. È solo il primo passo, ma c’è una base di innovazione strepitosa.
L’informatica aziendale si è concentrata nella seconda parte degli anni ‘90 sugli Erp, nella prima metà del 2000 sull’estroflessione, verso le relazioni con clienti e fornitori. Ma oggi siamo di fronte a un cambio di paradigma che richiederebbe una vera riflessione, con il coinvolgimento dei sistemi informativi aziendali e dei Cio per capire come possano essere parte attiva di questa trasformazione.

[1] L’iniziativa promossa da Google e Fondazione Symbola, con la collaborazione dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha raccolto esperienze imprenditoriali di successo e organizza, in partnership con Cna e Coldiretti, il tour delle eccellenze italiane. Torna su

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