Piano impresa 4.0, in 3 anni fatturato in aumento per il 42% delle imprese

Secondo i dati Nomisma-Deloitte gli incentivi del governo hanno generato nel 2017 investimenti fissi lordi a +80 miliardi rispetto all’anno precedente. Ma per sfruttare al meglio l’opportunità serve un approccio progettuale all’innovazione e una migliore capacità di programmare gli investimenti

Pubblicato il 09 Apr 2019

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Il piano impresa 4.0 messo in campo dal governo a partire dal 2015 ha progressivamente riscosso successo tra le aziende, che lo hanno utilizzato in maniera crescente negli anni. E i risultati sono evidenti: nel 2017 l’andamento degli ordinativi interni ha infatti registrato un aumento del 10,8% sul 2016, che si traduce in investimenti fissi lordi di circa 80 miliardi di Euro. A fronte di questi investimenti, il 42% delle aziende che ha intrapreso la strada della digital transformation ha potuto registrare un aumento di fatturato se dei considerano gli ultimi tre anni, contro il 19% di quelle che non hanno usufruito degli incentivi.

A pubblicare i dati sono Deloitte e Nomisma, che per discutere del futuro del piano nazionale impresa 4.0 ha organizzato il convegno “La quarta rivoluzione industriale è il futuro”, a cui hanno partecipato rappresentanti del mondo dell’industria, dell’impresa, dell’università e dell’economia digitale. 

Andando poi ad analizzare i dati un po’ più nel dettaglio, emerge che nel 2015 sono state circa 8mila le imprese che hanno usufruito del credito di imposta per ricerca e sviluppo, arrivando così a compensare 547 milioni di euro. Soltanto un anno dopo, nel 2016, i numeri sono pressoché raddoppiati: 16 mila imprese per un miliardo e 283 milioni di euro. Una dinamica simile si è verificata anche per il patent box, per il quale sono state registrate 4.600 richieste di ruling nel 2015, delle quali circa 2mila non ammissibili, mentre la maggior parte dei 2.100 ruling residui del 2015 è stata chiusa nel 2018. Il numero delle aziende che hanno utilizzato l’agevolazione è cresciuta dell’85% nel 2016, arrivando a quota 1.148 società, per un ammontare complessivo di 1,4 miliardi di Euro, quindi 4,3 volte il valore del 2015.

“Questi dati, per quanto positivi,  – si legge in un comunicato di Nomisma e Deloitte – dimostrano i punti le difficoltà dovute all’incertezza normativa, alla complessità applicativa di alcuni strumenti incentivanti ma anche la scarsa cultura e competenze aziendali”.

Se si volessero però individuare i punti di forza del piano messo in campo dal governo, questi – nella vision di Nomisma e Deloitte  deriverebbero della combinazione di tre fattori: le tempistiche ridotte e la certezza della misura incentivante, la possibilità di finanziare tutte le fasi dello sviluppo progettuale e la possibilità di combinare congiuntamente diverse misure incentivanti.

Quanto alle difficoltà, sono state dovute essenzialmente all’incertezza normativa, alla complessità applicativa degli strumenti incentivanti e alla scarsa cultura e competenze aziendali. Le criticità hanno riguardato soprattutto le piccole e medie imprese, che hanno più problemi a definire una strategia per guidare il processo di ricerca, sviluppo ed innovazione “attraverso – si legge in una nota – l’identificazione delle necessità dell’impresa, la focalizzazione su obiettivi a medio e lungo termine e la ricerca di connessioni con Università e Istituti di Ricerca”. Proprio di fronte all’innovazione, infatti, è estremamente importante poter contare su una cultura di impresa che parta da un approccio progettuale e che quindi sappia programmare gli investimenti.

“I trend a livello globale dimostrano ampiamente che la ricerca e l’innovazione giocheranno un ruolo chiave per conservare la forza e la competitività dell’Europa e dell’Italia in un mondo sempre più globale – spiega Ranieri Villa, partner dello Studio tributario e societario di Deloitte – L’innovazione è l’unica via per fare ripartire la crescita e per attirare la catena del valore e in questo contesto le agevolazioni fiscali alla Ricerca e Sviluppo rappresentano uno strumento insostituibile”.

La scelta di percorrere la strada del piano impresa 4.0 è stata inoltre dettata per l’Italia da un contesto internazionale in cui il rischio era quello di vedere allargare il solco che divideva il Paese da quelli tecnologicamente più sensibili e avanzati, dove erano già state messe in campo politiche per il sostegno dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico delle imprese. Se infatti nel 1995 solo 12 Paesi dell’area Ocse offrivano alle imprese almeno un incentivo alla R&S, spiegano Nomisma e Deloitte, nel 2004 erano già diventati 18 e nel 2018 più di 50. A trainare gli Stati Uniti il piano Manifacturing USA, la Francia con Industrie du futur e la Germania con Industrie 4.0.

L’impresa 4.0 non è soltanto una rivoluzione tecnologica, ma una più ampia riorganizzazione dell’apparato produttivo di un paese – sottolinea Lucio Poma, responsabile scientifico dell’area Industria e innovazione di Nomisma – Le Key Enabling Technologies (Ket), in essa contenute, oltre a permettere nuove realizzazioni di alcune fasi produttive e prodotti finali, costituiscono un nuovo linguaggio nel quale si articola la produzione di conoscenza. Pertanto, Impresa 4.0 trova la sua massima espressione e vantaggio competitivo, nell’interoperabilità tra le diverse piattaforme lungo la catena del valore. La filiera si allunga fino a riconnettere produzione, logistica e distribuzione in un unico indistinto flusso di valore. In tal senso il piano di impresa 4.0 oltre a stimolare le singole aziende all’adozione delle diverse tecnologie abilitanti deve, al contempo, generare le premesse per dare vita ad un ambiente cognitivo e innovativo nel quale trasformare i flussi di informazioni e conoscenza in nuova produzione”.

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