Cavalcare l’onda dell’industry 4.0 attivata dal Piano Calenda, scaricare a terra l’innovazione potenziale delle imprese italiane, stimolare la creazione di una cultura imprenditoriale digitale e fare sistema. Sul fatto che la quarta rivoluzione industriale possa essere un traino, se non il trano, dell’economia italiana ci sono ormai pochi dubbi. Un paradigma che non riguarda la manifattura, come si potrebbe erroneamente pensare, ma l’intero ecosistema produttivo del Paese. Lo si è capito bene durante l’Industry 4.0 360 Summit, evento organizzato da Digital360 e andato in scena a Roma, che ha messo allo stesso tavolo impresa, associazioni e politica per rendere più nitido il panorama 4.0 italiano e delineare le sfide che attendono coloro che sono obbligati a buttarsi in questo nuovo mare magnum digitale.
“In una economia matura la crescita economica è legata alla capacità di generare nuove imprese ma per seguire questa rotta è necessario che spinta tecnologica e apertura culturale di chi fa impresa viaggino insieme”, ha messo in guardia il ceo di Digital360 Andrea Rangone. Pensare al futuro dell’industria ragionando sul piano tecnico rischia di sballare l’inquadratura: “Serve ora più che mai la forza e il coraggio degli imprenditori perché la sfida dell’Industria 4.0 non può essere rimandata – ha avvertito, sottolineando anche il ritardo digitale accumulato dall’Italia rispetto ad altre economie avanzate, Usa su tutte -. Così come è necessario un elettroshock culturale a tutti i livelli, dalla politica all’impresa”.
Il fil rouge degli interventi che si sono succeduti nell’auditorium della Camera dei Deputati è stato il Piano Calenda, ossia l’insieme di misure, tra sgravi fiscali e sostegno alla formazione, messe in campo dal Governo in questi ultimi mesi. Un piano d’azione che, ha spiegato il direttore della Direzione generale per la politica industriale, la competitività e le Pmi del Mise, Stefano Firpo, non deve far credere al mondo dell’impresa che il più sia fatto: “Gli incentivi devono fungere da miccia, da chiamata per generare un circolo virtuoso di innovazione. L’attuazione vera spetta alle aziende”, ha sottolineato Firpo che, dopo aver evidenziato i caratteri di meritocrazia e selezioni alla base del Piano 4.0, ha espresso anche l’auspicio di una modifica a quella “retorica distorta sull’imprenditorialità in Italia che genera una scarsa considerazione delle nuove imprese”.
Se come si ripete spesso non si creano i posti di lavoro con la politica, è pur vero che un sostegno pubblico specialmente sotto forma di sgravi fiscali può dare una scossa positiva all’economia produttiva. “Attenzione però a ridurre il Piano per l’industria 4.0 a uno sconto fiscale – sostiene Gianni Potti, presidente del Comitato nazionale coordinamento territoriale di Confindustria servizi innovativi e tecnologici -. Ben venga l’iperammortamento ma non basta: serve ripensare il sistema industriale del Paese, con un opera che generi una reingegnerizzazione dei processi e che colleghi ricerca e imprese”.
Dello stesso avviso il direttore Politiche industriali di Confindustria, Andrea Bianchi, secondo il quale sul digitale “c’è ora una forte attenzione del mondo dell’imprese, impensabile un anno fa” ma “trasformare l’attenzione in investimenti è un altro passo ben più difficile, che dipende molto dal contesto e dalle aspettative sul futuro”. Bianchi si è anche speso molto sul tema delle competenze, anch’esse parti integranti del Piano Calenda, sottolineando il “rischio di fossilizzarsi solo sulla formazione dei nuovi professionisti e tralasciare la riqualificazione di chi nell’industria ci ha sempre lavorato e ci lavora ancora”.
La capacità di allineare nuove professionalità e mercato è stato il mantra pure di Marco Taisch, professore di Sistemi di produzioni automatizzati e tecnologie industriali del Politecnico di Milano: “Alto tasso di disoccupazione giovanile e molte imprese che cercano competenze e non le trovano. Formiamo competenze e formatori. Spingiamo i ragazzi dove c’è mercato, diciamo loro cosa succede davvero nel mondo”.
Il lavoro da fare non manca visto che, come ricordato da Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio IoT del Polimi, “due imprese su 3 sottovalutano il digital skill gap, che esiste e va affrontato, e siamo in ritardo sull’adozione dell’IT. Serve uno scatto anche perché il 40% dei top manager non conosce il paradigma dell’Industria 4.0”. Non proprio lo scenario migliore da cui partire.
Elio Catania, presidente di Confindustria digitale, ha invece dedicato ampio spazio al concetto di “scaricare a terra l’energia innovativa e fare arrivare skill alle migliaia di Pmi che animano l’impresa italiana”. L’iniziativa del Governo, ha specificato con tono deciso Catania, “non sarà perfetto ma dimostra un’ambizione politica sul fronte hi-tech mai vista finora” e non è certo il momento di distrarsi: “Serve una leadership politica e imprenditoriale e un approccio positivo alla tecnologia, che porta con sé rischi e cambiamenti ma allo stesso tempo è una miniera di opportunità”. In linea con il pensiero espresso prima da Rangone e Firpo, il presidente di Confindustria Digitale ha rivolto un appello all’impresa Italia: “Il Piano Calenda è un mix micidiale di incentivi, investimenti e risparmio. Adesso bisogna solo decidere se scommettere sull’innovazione tecnologica e il tempo sarà cruciale”.
E infine è stata la volta dell’intervento di Francesco Maria Cuccia, capo della Segreteria tecnica del ministro Calenda, che ha spiegato come la macchina statale sia pronta. “La politica industriale è veramente tornata al centro della strategia della politica e del governo. Il grande valore del Piano nazionale Industria 4.0 è anche nella visione strutturale del percorso industriale dell’Italia”. Insomma, le condizioni per salire sul treno 4.0 sembrano esserci tutte. Alle imprese italiane l’onere e l’onore di farlo. Quanto prima.