Imprese e intangibles il capitale nascosto da valorizzare e comunicare

I metodi di natura economico-finanziaria generalmente utilizzati per la stesura del bilancio riescono ad evidenziare solo alcuni aspetti del valore delle aziende e non fanno emergere i beni intangibili (legati alla componente umana, le competenze, la capacità di innovazione, la reputazione, la soddisfazione dei clienti…) che pure rappresentano una parte importante del valore di impresa. Nasce dall’esigenza di misurare questi beni e di palesarli al mercato l’idea di un bilancio del capitale intellettuale.

Pubblicato il 15 Mag 2006

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La situazione complessa e di accanita competizione sui mercati internazionali induce le imprese a rendere esplicite e a sviluppare tutte le risorse disponibili, rendendole sempre più consapevoli della necessità di dotarsi di strumenti che consentano loro di rendere visibili, gestire e monitorare anche quegli aspetti intangibili che contribuiscono alla creazione del valore.
I metodi di natura economico-finanziaria generalmente utilizzati per la stesura del bilancio riescono però ad evidenziare solo alcuni aspetti del valore delle aziende e si limitano a fornire una fotografia del presente senza indicare le potenzialità di crescita. Inoltre non riescono a rendere conto delle differenti strutture patrimoniali: quella di un’azienda manifatturiera è ad esempio assai diversa da quella di un’azienda di servizi e ancor più da un’azienda hi-tech. Nei fatti, i valori intangibili (legati alla componente umana, le competenze, la capacità di innovazione, la reputazione, la soddisfazione dei clienti…) non riescono ad essere misurati in modo adeguato. In pratica gran parte del valore dell’azienda, ossia la differenza fra il valore contabile e il suo valore di mercato, deriva da beni intangibili quali marchio, clienti, ripetitività del business, portafoglio ordini, canali distributivi, contratti sottoscritti, accordi, licenze, capitale umano, proprietà intellettuale, software, capacità organizzativa e altro ancora.
Oggi, come mai in passato, sarebbe particolarmente importante non solo conoscere e misurare queste variabili, ma saperle comunicare bene al mercato. Non solo per un problema di immagine che l’azienda può fornire di sè, ma soprattutto per riuscire a finanziare in modo adeguato le proprie strategie di sviluppo. Il Bilancio dell’Intangibile o Bilancio del Capitale Intellettuale, sta ad esempio diventando uno degli elementi di valutazione necessari per ottenere finanziamenti nell’ottica della direttiva europea Basilea II, la nuova regolamentazione bancaria sui requisiti patrimoniali delle aziende.
Il rapporto del capitale intellettuale diventa un metodo innovativo per rendere trasparenti le informazioni e facilitare l’accesso al credito. Alcune tra le primarie banche europee, oltre a misurare elementi di tipo quantitativo (indebitamento, investimenti, redditività, liquidità), hanno affiancato una raccolta di informazioni su elementi qualitativi e intangibili quali le capacità gestionali, la competitività, la struttura societaria e organizzativa.
“Secondo uno studio svedese, in un ospedale gli elementi tangibili (immobili, attrezzature, etc.) rappresentano solo il 15% del valore; tutto il resto sta negli elementi intangibili (risorse umane, spirito di servizio, competenze, il saper fare, le procedure, la reputazione, la cortesia, la fiducia e immagine esterna…). Se in un ospedale l’85% del valore è intangibile, quanto sarà quello di una associazione, di un Ente Locale, di una Camera di Commercio o di un’azienda ad alta tecnologia?”, ci ricorda Paolo Martinez, di Firenze Tecnologia (www.firenzetecnologia.it), che ha coordinato qualche mese fa un convegno dal titolo “Capitale Intellettuale e Paesaggi Cognitivi Futuri”, nell’ambito della Settimana dell’Innovazione svoltasi a Firenze. Ma anche per aziende tradizionali o aziende note sul mercato internazionale, il valore contabile rappresenta solo una modesta componente del valore dell’azienda (figura 1).

Fig. 1 – Il valore reale dell’azienda

Fonte: Brembo, 2005

Lo scenario europeo
Sono passati circa quindici anni da quando la compagnia di assicurazioni svedese Skandia (www.skandia.com), ha iniziato ad adottare una serie di pratiche innovative sul tema della contabilità del patrimonio intangibile, per arrivare nel 1994 a redigere il primo rapporto sul capitale intellettuale. In un secondo tempo l’azienda ha sviluppato un modello operativo, soprannominato “Navigator”, per consentire al management strategico di focalizzarsi sugli effettivi fattori di crescita e di innovazione. Skandia è stata inoltre una delle prime aziende a prendere in considerazione il capitale umano all’interno del suo modello di valore d’impresa.
L’obiettivo era assicurarsi che ciascun dipendente potesse utilizzare pienamente il know-kow, l’esperienza e le conoscenze di tutti gli altri; per far ciò ha messo in atto procedure di discussione virtuale (database di discussione, intranet, ecc.) e previsto momenti di incontro tradizionali.
In tutta Europa l’importanza del capitale intellettuale sta crescendo, come dimostrano le linee guida pubblicate a supporto del progetto europeo Meritum e alla predisposizione di bandi per finanziare progetti di ricerca per la rilevazione, gestione e valorizzazione degli asset intangibili. Nel 2001 la Comunità Europea ha lanciato il progetto di ricerca biennale Rescue sugli Intangibles, che ha visto per la prima volta la partecipazione dell’Italia (attraverso Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari), dando luogo a un primo contributo italiano che evidenzia l’importanza di valutare gli asset intangibili per determinare il valore aziendale. Paesi come Germania e Danimarca hanno pubblicato linee guida (vedi riquadro nelle pagine successive) per aiutare le imprese a redigere rapporti sul capitale intellettuale. Nel 2001, mentre le aziende danesi quotate erano obbligate per legge a redigere un rapporto sul capitale intellettuale, anche il Ministero inglese per l’industria e il commercio pubblicava un documento dove venivano fornite indicazioni su come creare valore attraverso la gestione e la comunicazione degli asset intangibili e venivano invitate le aziende britnniche a valutare il proprio capitale intellettuale.
Sono seguite molteplici iniziative, come “The 2003 European Intangible Summit”, a Londra, che ha visto l’incontro e il confronto fra accademici ed esperienze pratiche, e i più recenti convegni come “Conference on Intellectual Capital for Communities”, svoltosi a Parigi nel giugno del 2005 e il primo “Workshop on visualising, measuring, and managing Intangibles and Intellectual Capital”, tenutosi a Ferrara l’ottobre scorso. Di fatto, anche in assenza di standard internazionalmente riconosciuti per la misura e il reporting, moltissime aziende europee hanno seguito l’esperienza pionieristica di Skandia. Le analisi indicano che invece le aziende americane, pur avendo iniziato ad analizzare nuove modalità per raccogliere e comunicare dati non finanziari, hanno ancora pratiche meno strutturate di quelle europee.
In Italia si è ancora alle fasi iniziali dell’attenzione al problema, dove ha fatto da apripista un’azienda come Brembo, che pubblica dal 2004 un rapporto sul capitale intangibile (redatto fin dal 1999, ma esclusivamente per uso interno) e sulla cui esperienza rimandiamo alla lettura dell’articolo a pag. 46. Cominciano tuttavia a circolare rapporti su impegno sociale, codice etico e ambientale, corporate govervance, che sembrano indicare la necessità di distinguersi dai concorrenti fornendo informazioni non finanziare al mercato e agli stakeholder.

Definire, misurare, monitorare il capitale intellettuale
Il workshop di Firenze ha affrontato gli aspetti critici della valutazione del capitale intellettuale: il bilancio dell’intangibile come strumento di valutazione del patrimonio intellettuale dell’azienda e del monitoraggio nel tempo dei principali fattori, interni ed esterni, che generano valore per l’azienda stessa. “Il Bilancio dell’Intangibile non intende essere solo uno strumento di contabilità del patrimonio intellettuale dell’azienda, ma anche di monitoraggio nel tempo dei fattori che sono ritenuti le principali fonti di creazione di valore per l’azienda, compresi nel concetto complessivo di Capitale Intellettuale. Il Bilancio riveste dunque un ruolo fondamentale non solo come mezzo di comunicazione verso l’esterno, ma anche, e soprattutto, come strumento di gestione strategica interna, ovvero di indirizzo delle politiche aziendali di sviluppo del Capitale Intellettuale” ci ricorda Martinez. Le fonti internazionali, supportate dalle concrete esperienze, hanno individuato tre componenti fondamentali del Capitale Intellettuale:

• il capitale relazionale, che rappresenta l’insieme di relazioni instaurate dall’azienda con il mercato e di cui costituiscono parte integrante elementi quali i rapporti con i clienti, il loro grado di soddisfazione, l’immagine aziendale, la conoscenza e la diffusione del marchio;

• il capitale strutturale, rappresentato dalle tecnologie di cui l’azienda dispone e dalle metodologie adottate nello sviluppo della propria attività; i suoi processi, i metodi e i sistemi di valutazione del rischio e di gestione della forza vendita; la struttura finanziaria; il patrimonio informativo e i sistemi di comunicazione;

• il capitale umano, costituito dall’esperienza collettiva, dalla capacità di affrontare e risolvere i problemi, dalle attitudini manageriali presenti in ciascun dipendente dell’azienda.

La figura 2 rappresenta un esempio (tratto dall’esperienza di Brembo) delle componenti che rientrano nel Bilancio del Capitale Intellettuale. È importante sottolineare che lo scopo del rapporto del capitale intellettuale, a differenza di quanto accade con un bilancio tradizionale dove l’accuratezza dei numeri è fondamentale, non è tanto la precisione quantitativa dell’informazione, quanto la comprensione della tendenza e della dinamica nella correlazione fra i principali fattori che determinano la creazione del valore. Ciò che conta dunque è soprattutto l’evidenza dei collegamenti fra i diversi indicatori e la possibilità di stabilire correlazioni fra questi.

Fig. 2 – Esempio di struttura del Bilancio del Capitale Intangibile

Fonte: Brembo, 2005

È sottinteso che la scelta degli indicatori, strettamente dipendente dalle diverse realtà aziendali, deve sottostare però ad alcune regole generali. Si dovrà identificare un modello, che dovrà essere di guida nel comportamento e nella strategia dell’azienda e giustificare gli investimenti su capitale umano, relazionale e strutturale. All’interno di questo modello si dovranno identificare e misurare quegli indicatori capaci di rappresentare in modo adeguato le diverse componenti del capitale intellettuale, cercando di massimizzare le interdipendenze fra i vari elementi dello stesso, ma anche fra questi e gli indicatori tradizionali. Un indicatore del capitale umano che coinvolge parametri finanziari è, per esempio, il profitto per dipendente, un dato che se preso in sè potrebbe indicare, confrontato con quello della concorenza, la solidità e le potenzialità di crescita di un’azienda. Inserito però nel bilancio del capitale intellettuale andrebbe analizzato in relazione ad altri fattori come ad esempio l’aumento del turn-over pro-capite. La crescita di questo fattore potrebbe indicare ad esempio un’organizzazioni troppo stressante e segnalare rischi quali la riduzione della soddisfazione dei dipendenti, l’aumento del turnover delle persone con competenze strategiche, il depauperamento delle competenze dell’azienda, il peggioramento del clima aziendale, con possibili conseguenze sulla soddisfazione dei clienti. Questi stessi componenti possono naturalmente essere applicati ai diversi ambiti aziendali. L’area dei sistemi informativi, ad esempio, è fondamentale che sappia esprimere i propri valori intangibili. A questo proposito si veda, nell’articolo seguente, la focalizzazione sul parametro capitale umano, con un analisi di SDA Bocconi sull’evoluzione della funzione del CIO verso nuove modalità di gestione delle relazioni e sviluppo di competenze.

Capitale intellettuale e medie imprese
Particolarmente interessante l’esperienza tedesca del progetto pilota “Wissenbilanz” sviluppato in Germania dal Foundation of Intellettual Capital Stament Project Group con l’obiettivo di adattare l’esperienza internazionale alle piccole e medie imprese, che in quel paese, come in Italia, rappresentano un elemento importante del tessuto produttivo. Sono state coinvolte inizialmente 60 Pmi per selezionarne 14 con le quali in sei mesi è stato implementato un progetto di Intellectual Capital Statement. L’Intellectual Capital Statement (Ics) viene considerato uno strumento per descrivere e sviluppare in un’organizzazione il capitale intellettuale, andando ad evidenziare l’interdipendenza fra quest’ultimo e gli obiettivi organizzativi, i processi di business, il successo di business, attraverso indicatori misurabili. Questi ultimi devono essere identificati, misurati e analizzati in termini di sensibilità e interdipendenza. L’attività deve essere svolta attraverso la creazione di gruppi di lavoro interdisciplinari (dove il management deve essere sempre coinvolto), che oltre a identificare i principali fattori di influenza e gli obiettivi, ne fanno l’assessment, determinano infine gli indicatori e ne fanno il bechmark, per arrivare ad un inventario. Determinato il peso dei fattori di influenza e coordinati gli indicatori e i benchmark si arriva all’analisi delle interdipendenze e al modello di network, calando il tutto nella situazione di partenza dell’azienda e del suo potenziale. Il risultato finale è costituito da uno o più report (generalmente per uso interno e/o esterno), aggiornati periodicamente, che rappresentano un vero e proprio bilancio del capitale intellettuale, che va a integrarsi con il bilancio tradizionale.
“Da sempre lavoriamo ai nostri processi in maniera sistematica per migliorarci sempre. Abbiamo da tempo avviato un grande progetto il cui effetto è stato di dimezzare in tre anni i nostri tempi di evasione ordini, riducendo al tempo stesso il magazzino del 60% – ha ricordato Manfred Wunderlich, direttore di produzione di Blumenbecker, una media impresa nel settore dell’automatizzazione – Ad un certo punto abbiamo verificato che i costi per migliorarci aumentavano sempre più, ma l’effetto prodotto era sempre più modesto. In questa fase abbiamo conosciuto il progetto Wissenbilanz e vi abbiamo aderito”. Le conoscenze del bilancio delle competenze hanno portato a modifiche soprattutto nel processo di controllo interno. Il primo risultato è stato di una profonda riorganizzazione interna che ha portato giovani collaboratori in posizioni di responsabilità dirigenziale e i dirigenti precedenti a un livello più ampio di dirigenza: in pratica la responsabilità è stata spalmata su più persone per rendere più efficienti i singoli processi tenendo conto del fatto che l’impresa è in una fase di espansione. Come conseguenza del bilancio delle competenze, le qualifiche dei collaboratori sono state rafforzate ed è stato avviato una programma di formazione continua che sarà attuato nei prossimi tre anni. “Una volta messo a punto il bilancio delle competenze, per noi è stato chiaro in quali punti dovevamo attivarci per raggiungere con il minimo sforzo, l’effetto maggiore per migliorare la nostra azienda”, ha concluso Wunderlich. Il bilancio delle competenze ha fornito in questo caso le conoscenze chiare per aumentare l’efficienza.
“Nel corso degli anni ci siamo chiesti come mai i classici fattori di successo della nostra azienda non potessero essere rappresentati con il tradizionale bilancio finanziario – ha ricordato invece Thomas Rusche, amministratore delegato di SOR-Rusche GmbH Oelde, unica azienda di commercio al dettaglio che ha partecipato al progetto tedesco – Ci siamo allora imbattuti nel bilancio delle competenze, uno strumento efficace non solo per valutare l’azienda, ma anche per la sua gestione e controllo”. L’analisi sistematica del capitale umano, strutturale e relazionale ha invece consentito di cogliere fattori essenziali per il successo, non rappresentabili in un bilancio finanziario di stampo classico. Un punto decisivo ha riguardato la comunicazione con le banche: nel quadro della nuova direttiva Basilea II, un ruolo particolarmente importante è svolto dai cosiddetti criteri soft, nel ruolo di fattori integrativi del bilancio finanziario per poter accedere al credito. La Sor è riuscita a raggiungre il livello di “investment grade” in seguito alla presentazione del bilancio delle competenze. Il risultato complessivo del progetto è stato dunque la riduzione dei tassi di interesse grazie a un miglior rating e ad un aumento dei contributi per spese pubblicitarie. Ci sembra di poter affidare la conclusione al commento di Rusche: “Abbiamo ottenuto, grazie al bilancio del Capitale Intellettuale, risultati quantitativi molto concreti, che evidenziano come fattori ‘soft’, se correttamente rappresentati, possano tradursi in elementi molto ‘pesanti’ per il successo”.


DAL BALANCED SCORECARD AL WORKFORCE SCORECARD
Nella realizzazione del bilancio dei beni intangibili la precisione quantitativa, come si spiega nell’articolo, non è fondamentale, ma l’identificazione di indicatori che consentano di valutare la dinamica di questi valori è indispensabile così come il loro costante monitoraggio. Sono diverse le tecnologie informatiche che entrano in gioco nel supportare le aziende in queste attività e possiamo raggrupparle in tre grandi famiglie sempre più correlate e interconnesse tra loro: Business Intelligence, Crm e HR management. Si tratta di temi che ZeroUno affronta in ogni sua uscita, sviscerandone i diversi aspetti. In questo contesto ci focalizziamo quindi su uno strumento ben conosciuto in area business intelligence e che vede sempre più ampliarsi il proprio ambito di utilizzo. Stiamo parlando del Balanced Scorecard, lo strumento di pianificazione e gestione degli obiettivi nato poco più di 10 anni fa per opera di David Norton e Robert Kaplan, che si basa sulla teoria che il successo dell’azienda dipende dalla capacità di tradurre visione e strategia aziendale su quattro prospettive: economico – finanziaria (come viene vista l’azienda dagli azionisti?); del cliente (quale percezione ne hanno i clienti?); dei processi (quali sono i processi in cui bisogna eccellere per creare differenziali competitivi?); dell’apprendimento e dell’innovazione (quali sono le aree che bisogna presidiare per sviluppare la capacità di miglioramento e cambiamento?).
Balanced Scorecard è una metodologia per la misurazione delle performance basata, come abbiamo detto, sulla visione e sulla strategia aziendale, dalla cui messa a punto sono derivate quelle specifiche soluzioni software che, basandosi su key performance indicator, consentono di realizzare i cruscotti aziendali. Questi cruscotti, la cui funzione principale è quella di verificare l’allineamento delle performance con la strategia aziendale, rappresentano anche uno dei punti di riferimento per la realizzazione del bilancio del capitale intangibile.
Per aiutare le aziende a districarsi nell’offerta di queste soluzioni software, Balanced Scorecard Collaborative (www.bscol.com), la società di consulenza di Kaplan e Norton, ha sviluppato un processo di certificazione del software definendo gli standard funzionali ai quali essere conforme e specificando le capacità che il software deve avere per la gestione delle mappe strategiche, degli obiettivi, delle misure e di tutta una serie di altri elementi fondamentali.
Oggi questa consolidata metodologia si va sviluppando di pari passo con un’evoluzione dell’azienda caratterizzata da relazioni sempre più complesse e dove è sempre più chiara la strategicità della valorizzazione del capitale umano.
Alla domanda su come misurare gli asset intangibili che derivano da questa nuova modalità di relazione con clienti, fornitori, partner, consulenti che le tecnologie informatiche stesse stanno abilitando, Robert Kaplan stesso rispondeva a ZeroUno (febbraio 2005): “Direi che questo processo di valutazione può essere compiuto applicando il sistema balanced scorecard alle relazioni esterne dell’impresa. In tal caso, è necessario creare sistemi di misurazione con la collaborazione dei partner strategici [partner in senso lato, anche fornitori e clienti quindi – ndr], con i quali un’azienda può discutere la natura e la qualità dei servizi erogati”.
Per quanto riguarda la valorizzazione del capitale umano dell’azienda, Mark Huselid, Brian Becker e Richard Beatty, autori di “The HR Scorecard. Linking People, Strategy, and Performance” (Harvard Business School Press 2001), “The Workforce Scorecard: managing human capital to execute strategy” (Harvard Business School Press 2005), sostengono che le attuali pratiche in materia di gestione delle risorse umane ostacolano la capacità dei dipendenti di contribuire agli obiettivi strategici. La Workforce scorecard, basandosi sulle indicazioni di Norton e Kaplan, è una metodologia che, focalizzandosi su questi aspetti, consente di individuare e utilizzare gli indicatori necessari per misurare e gestire il successo della forza lavoro nell’eseguire la strategia dell’organizzazione. (P.F.)


LE LINEE GUIDA DANESI SUL CAPITALE INTELLETTUALE
Il ministero della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione danese che, sulla base dell’esperienza dei progetti sviluppati ha pubblicato alcune linee guida relative all’Intellectual Capital Statement (Ics), suggerisce due domande preliminari che le aziende che si apprestano a mettere in atto un progetto per la realizzazione di un Bilancio del Capitale Intellettuale dovrebbero porsi:

• Come organizzare in pratica il progetto?
• Come assicurarsi che il progetto sia effettivamente integrato nella propria organizzazione?

Entrando ancora più in dettaglio, nella realizzazione del piano di lavoro, si dovrà poi rispondere alle seguenti domande:

• Chi partecipa al gruppo di progetto e al comitato guida?
• Quali ulteriori persone e risorse vanno coinvolte?
• Quali sono i tempi di schedulazione del progetto e le deadline?

• Come assicurare il commitment?

Si dovrà inoltre:
• imparare dalle esperienze delle altre aziende;
• indentificare l’eventuale necessità di un auditing esterno su valori, metodi e contenuti dell’Ics.

Per quanto riguarda il supporto, si dovrà capire:
• come organizzare la raccolta e la memorizzazione dei dati in modo che risulti il più automatizzata possibile
• come lavorare affinché le successive edizioni dell’Ics siano supportate all’interno nell’organizzazione

Per quanto riguarda la gestione ci si dovrà chiedere:
• come il knowledge management sia inserito nel management system complessivo;
• se l’Ics sia usato nella pratica come strumento di gestione;

Per la comunicazione, infine, si dovrà verificare che:
• sia chiaro a quali gruppi l’Ics si deve rivolgere;
• quali siano i principali messaggi a loro indirizzati;
• dove e quando l’Ics verrà pubblicato;
• come creare attenzione attorno all’Ics.
(E.B.)

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