Partnership nella supply chain: come cambiano le relazioni

Il concetto di partnership di filiera è da tempo al centro di un dibattito che si è spesso focalizzato solo sull’efficienza delle procedure di scambio delle informazioni. Ma come cambiano o dovrebbero cambiare queste relazioni? ZeroUno lo chiede ad Alessandro Perego (nella foto) della School of Management del Politecnico di Milano

Pubblicato il 15 Mag 2006

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Collaborare attraverso sistemi e strumenti avanzati, che hanno una base tecnologica consolidata e predisposta per accogliere e soddisfare esigenze operative, gestionali e di comunicazione assai diverse. Il concetto di partnership di filiera è da tempo al centro di un dibattito che, delle problematiche insite ai modelli di relazione, ha spesso posto quale tema forte l’efficienza delle procedure di scambio delle informazioni e meno le modalità con le quali i vari attori coinvolti hanno fatto proprio questo paradigma all’interno delle rispettive organizzazioni. ZeroUno ha voluto quindi focalizzarsi ancora una volta su una faccia ai più “nascosta” del fenomeno partnership, quella per inciso che va ad esprimere le esperienze attraverso le quali le aziende stanno elaborando un “linguaggio”, organizzativo e tecnologico, di relazione business oriented con i propri interlocutori privilegiati e le reazioni cui stanno tendendo questi ultimi in risposta a tali sollecitazioni. Abbiamo quindi chiesto ad Alessandro

Perego, Professore di Logistica e Supply Chain Management al Politecnico di Milano e uno dei direttori degli osservatori che la School of Management dell’ateneo milanese ha dedicato alle attività B2B, di entrare nel merito di questi temi.

ZeroUno – Proviamo ad analizzare gli aspetti “critici” e “core” della relazione azienda/partner: cosa dicono le esperienze che avete analizzato sul campo?
Perego: L’integrazione e la collaborazione nei rapporti cliente-fornitore, in sintesi il Supply Chain Management, può riguardare sia processi di natura operativa che di natura più collaborativa. I principali benefici conseguibili sono innanzitutto la riduzione dei tempi di esecuzione (o di ciclo) dei processi, grazie alla semplificazione delle attività e alla possibilità di controllare i processi stessi con logiche di “workflow”, e poi la riduzione del capitale circolante (scorte in primis) grazie alla condivisione di informazioni nelle attività di pianificazione. Nelle aziende italiane, l’adozione dei principi del Supply Chain Management nelle relazioni cliente-fornitore è però tutto sommato molto più lenta del previsto e di quanto ci si potrebbe attendere alla luce dei benefici prospettati. Dall’analisi dei progetti sul campo emerge quindi un quadro fortemente dicotomico. Da un lato si trovano poche aziende che stanno già sfruttando con profitto le potenzialità del Supply Chain Management, avendone pienamente compreso il valore strategico e avendo correttamente gestito il conseguente cambiamento organizzativo, sia interno che esterno; dall’altro vi sono la gran parte delle aziende che stanno tenendo un approccio estremamente cauto, causa le non chiare opportunità strategiche, e quindi i reali benefici conseguibili, e/o l’elevata complessità organizzativa che questi progetti possono richiedere.

ZeroUno – Quali sono le motivazioni del ritardo con il quale le aziende stanno intervenendo sui propri modelli di partnership?
Perego: Le principali ragioni che spiegano questa lenta dinamica sono a mio avviso due: la difficoltà nel comprendere e valutare i benefici attesi del progetto, in particolar modo quelli strategici e quindi connessi alla qualità, alla tempestività e alla puntualità dei processi, e la complessità organizzativa, espressa sia dalle problematiche da affrontare per preparare l’azienda a integrarsi e collaborare con i partner di filiera sia dagli ostacoli che questi ultimi devono superare per predisporsi alla integrazione/collaborazione ed alla presenza o meno di standard all’interno della catena produttiva. Una forte barriera è riconducibile alla difficoltà di tradurre i generici obiettivi legati al valore della collaborazione in concreti obiettivi operativi e conseguentemente misurabili e nel predisporre poi un convincente modello di ripartizione dei benefici raggiunti e degli investimenti effettuati: tale difficoltà è a nostro modo di vedere legata sia a fattori culturali che a oggettive complessità di stima dei benefici nei progetti di collaborazione.

ZeroUno – Vediamo i limiti di natura culturale
Perego: Il principale limite culturale è legato alla scarsa conoscenza di molti manager dei processi dell’intera catena di fornitura, limitata spesso alla sola porzione all’interno della quale opera la loro azienda. Se non si conosce bene la supply chain dei propri partner non si potrà capire come essi possano contribuire a creare valore per la propria azienda e viceversa perché è assolutamente vitale che i benefici debbano essere condivisi. Nei casi in cui un progetto di Supply Chain Management è stato già applicato con successo, il top management testimonia la chiara e lucida consapevolezza che i partner di filiera sono considerati attori chiave per il successo della propria azienda e che occorre quindi metterli nella condizione più idonea per lavorare al meglio in modo congiunto.

ZeroUno – Focalizziamoci ora sul fattore organizzazione: dove risiedono i problemi principali?
Perego: La complessità interna all’azienda è in genere elevata prevalentemente per la necessità di gestire attentamente il ridisegno dei processi e il cambiamento organizzativo associato, che si aggiunge ai problemi di integrazione delle nuove soluzioni con i sistemi informativi. In molti casi i progetti richiedono modifiche sostanziali nei ruoli delle persone coinvolte e spesso un salto “culturale” importante; l’azienda si “apre” verso l’esterno e questo richiede apertura mentale e presuppone processi interni strutturati ed efficaci. Nei casi di eccellenza, la direzione aziendale crede fortemente nel Supply Chain Management, identificando in esso una chiara opportunità strategica, gestendolo direttamente dove la componente organizzativa è particolarmente complessa o affidandolo in alternativa a manager di primo livello. In termini di complessità esterna, un ruolo cruciale è giocato dalla gestione del cambiamento organizzativo nei confronti dei partner di filiera coinvolti. Il reale elemento discriminante tra progetti collaborativi di successo e tentativi falliti sta proprio nella diversa attenzione posta al change management. Si tratta del resto di cambiare i comportamenti individualistici che si sono radicati in decenni di rapporti antagonistici cliente-fornitore. L’efficacia dei progetti di collaborazione dipende poi in molti settori, soprattutto quando non vi sono nelle filiere attori capaci di imporsi, dalla disponibilità di standard condivisi in modo che si possa con maggiore velocità e a costi più contenuti procedere all’automazione e all’integrazione dei processi di interfaccia.

ZeroUno – Come si costruisce un modello di partnership “adaptive” là dove c’è poca propensione collaborativa?
Perego: Possiamo identificare alcune direzioni di lavoro utili per dare impulso a questo insieme di applicazioni. Dare “tangibilità” agli obiettivi strategici, sviluppando modelli e strumenti per la misura e ripartizione dei benefici e degli investimenti implicati nei progetti di integrazione e collaborazione, sia ex-ante che ex-post, possibilmente corredati da studi di caso e testimonianze reali. Lavorare sugli aspetti culturali, in particolare sui temi della azienda estesa e della competitività di filiera, sia all’interno della propria organizzazione che all’esterno tra i partner coinvolti. Presidiare, infine, la gestione del cambiamento organizzativo, in conseguenza dell’inevitabile cambiamento dei processi e dell’organizzazione che la disponibilità a collaborare comporta, comprese le logiche di misura delle prestazioni e i sistemi di incentivazione dei manager. Il committment del vertice, fondamentale in tutti i progetti, diviene spesso condizione “sine qua non” nei progetti di Supply Chain Management, nei quali occorre avere visione strategica per valorizzare benefici difficili da monetizzare e forza di persuasione per coinvolgere l’organizzazione in progetti dove i benefici possono essere generati al di fuori dei propri confini.

ZeroUno – Quali figure e quali competenze possono fare da driver e riferimento per costruire relazioni di successo?
Perego: Un ruolo fondamentale lo devono giocare le aziende che per storia e dimensione svolgono un ruolo centrale nelle rispettive Supply Chain e all’interno di queste i manager che per ruolo funzionale e predisposizione culturale sono più vicini ai temi dell’integrazione e della collaborazione di filiera, vedi i direttori della logistica e della supply chain, abituati a leggere i fenomeni aziendali in ottica di processi e di ottimizzazione di sistema. È quindi cruciale il ruolo svolto dalle associazioni di rappresentanza del mondo industriale e bancario, soprattutto di quelle associazioni che coinvolgono diverse tipologie di attori nella supply chain, quali ad esempio Indicod-Ecr nel settore grocery e Dafne in quello farmaceutico; a questi organismi spetta non solo il compito di sviluppare standard e di promuovere soluzioni condivise per accelerare progetti di collaborazione e di integrazione, ma anche quello di favorire, con la diffusione di best practice, la crescita “culturale” dei loro associati sui temi del Supply Chain Management. Un ruolo importante, infine, lo giocano anche le Università, in quanto luogo di formazione e di ricerca sui temi del Management applicati alle logiche e alle problematiche di filiera.


IL MIP FORMA GLI EXECUTIVE SCM
Al tema della Supply Chain e delle sue componenti di natura gestionale e organizzativa, il Politecnico di Milano dedica da anni attenzioni particolari, sia a livello di iniziative didattiche che di attività di monitoraggio del mercato con un occhio particolare al ruolo giocato dalle tecnologie Ict. Le novità più recenti della School of Management in questo ambito sono due. La prima riguarda un articolato programma di formazione executive sui temi del Supply Chain Management, con numerose verticalizzazioni sulle principali filiere, che sarà lanciato nel corso del 2006 presso il MIP, la scuola di formazione manageriale del Politecnico. Sempre quest’anno, l’Osservatorio B2B prosegue invece la propria attività di indagine sul campo con una ricerca mirata sul tema della Fatturazione Elettronica che vedrà coinvolte molte delle principali associazioni industriali nelle diverse filiere, il mondo delle banche (con la partecipazione dell’Associazione per il Corporate Banking Interbancario, l’Acbi) e la maggior parte dei fornitori di tecnologie e soluzioni informatiche. L’obiettivo dichiarato, come ha confermato in proposito Alessandro Perego, Professore di Logistica e Supply Chain Management al Politecnico, è quello di lavorare sulla principale criticità che penalizza l’adozione di soluzioni di Supply Chain Management: la cultura all’integrazione e alla collaborazione, intesa come la capacità di vederne le potenzialità strategiche e sapere come muoversi per coglierle. (G.R.)

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