Quando potremo ritornare alla normalità? E soprattutto, ci sarà una normalità dopo Covid-19?
In molti ci stiamo ponendo questa domanda, pensando alla (speriamo) imminente riapertura delle attività produttive, a quali riflessi avrà sull’economia nazionale la pausa forzata, e a quali saranno le ricadute di lungo termine della pandemia sulle nostre vite, non solo dal punto di vista strettamente sanitario, ma anche, e soprattutto, sociale e relazionale.
Detto che certamente le conseguenze in tutti i sensi sono già – e ancor più saranno – certamente gravi, tutti tranquilli, il pianeta ed il genere umano hanno superato bel altre prove, e ce la faranno anche questa volta!
Presumibilmente questa fase interlocutoria di “falsa normalità” (per chi ha la “fortuna” come me di poter lavorare quasi normalmente da casa), oppure di assoluta anormalità (per tutti coloro la cui attività lavorativa è bloccata), lascerà progressivamente spazio ad una “fase 2” di ripresa (speriamo, rapida…) che ci accompagnerà fino alla disponibilità di un vaccino, o comunque fino al momento in cui l’umanità si affrancherà dal giogo della pandemia, magari solo perché ha raggiunto la fantomatica “immunità di gregge”.
Secondo le stime dei migliori esperti, entrambe le prospettive (vaccino o immunità di gregge) richiederanno molti mesi, forse anche più di un anno. Detto che oggi come oggi mi pare che neppure il miglior virologo possa prevedere in modo affidabile come evolverà la pandemia, e neppure il migliore economista possa fare altrettanto anticipandone le conseguenze sul sistema economico, prendiamo questa stima per buona.
Occorre concentrarsi sulla fase 2
Occorre quindi che ci concentriamo sulla fase 2, la ripresa che seguirà questa batosta. Ecco un breve survival kit dedicato alle imprese manifatturiere, sviluppato dal Laboratorio RISE, che ho l’onore di dirigere presso l’Università degli Studi di Brescia, insieme con la spin-off IQ Consulting, della quale sono socio fondatore e Senior Partner. Poiché men che meno io ed i miei colleghi pensiamo di avere la sfera di cristallo, preghiamo gli interessati ed i lettori di considerare le note seguenti non come “previsioni”, ma come semplici riflessioni sui possibili effetti che potranno manifestarsi durante tale fase su ciò che conosciamo meglio, ossia le imprese industriali.
Anzi, proprio per evidenziare l’umiltà con cui ci sentiamo di esplicitarle, chiunque ritenga di poterci proporre visioni alternative, più complete o comunque diverse, lo faccia senz’altro, scrivendoci al mio indirizzo di posta elettronica. Saremo ben lieti di raccogliere altre idee interessanti ed eventualmente anche di propagarle come sempre facciamo con le idee valide.
Il social distancing non basta
Occorre anzitutto ridisegnare complessivamente l’approccio con cui il sistema sanitario nazionale affronta la pandemia. Gli esempi virtuosi della Corea del Sud e della Germania ci hanno insegnato che gli interventi largamente più efficaci e più economici sono quelli preventivi (test mirati e confinamento rapido dei sospetti), e non quelli repressivi, perché una volta che si sviluppa nel territorio, la pandemia è inarrestabile. Ma non mi vorrei addentrare in questi aspetti, che esulano dalla finalità di questo articolo (e dalle mie competenze).
Ridisegnare le filiere produttive
Le supply chain verranno ridisegnate, quindi, e diventeranno meno globali e più locali, per garantire maggiore rapidità, e soprattutto visibilità e controllo. Già da tempo al fenomeno dell’off-shoring delle fabbriche verso il Lontano Oriente aveva fatto seguito il re-shoring o quanto meno il near-shoring. Tutti questi fenomeni subiranno una nuova accelerazione. Sarà necessario perché la “supply chain continuity” sarà essenziale, e filiere corte e con meno passaggi di mano sono nativamente più rapide, trasparenti e prevedibili.
Perseguire la resilienza
Un secondo motivo che richiederà un ridisegno delle filiere produttive saranno anche i possibili stop-and-go della domanda e della produzione legati ad eventuali ricadute dei contagi ed ai conseguenti possibili periodi di lock-down (anche solo parziale) che serviranno a tenerli sotto controllo. Essi richiederanno molto sforzo alle aziende per diventare resilienti, e cioè per restare efficienti ed efficaci nonostante questi continui transitori.
Attenzione ai rischi di fornitura
Ridisegnare le fabbriche
In secondo luogo, occorrerà ridisegnare le fabbriche, per favorire l’igiene, mantenere la distanza degli operatori, evitare la propagazione degli agenti patogeni, garantire la disinfezione delle superfici, etc. Questo non richiederà solo una diversa disposizione dei layout produttivi e logistici, ma certamente spingerà l’automazione (ad esempio tramite cobots, i robot collaborativi). Può anche darsi che una delle conseguenze sia la progressiva eliminazione (o quanto meno riduzione) del modello “fordista” delle grandi fabbriche con migliaia di tute blu, a favore di “minifabbriche” più distribuite sul territorio, basate ad esempio sulle tecnologie “additive”.
Tutti gli spazi comuni degli stabilimenti dovranno essere sottoposti ad un ridisegno radicale: dall’ingresso del personale. agli spogliatoi, dalla mensa agli spazi relax, tutto dovrà essere ripensato non nell’ottica di aggregare, ma anzi nell’opposto tentativo di distanziare le persone tra di loro, garantire in maniera semplice, poco costosa ed efficace l’igiene e la disinfestazione delle superfici, etc. E’ prevedibile che vadano riconsiderati anche gli impianti di processamento dell’aria, per garantire più ricambi ed un filtraggio maggiormente igienico e garantito. Infine, dovranno credibilmente essere ripensate anche le politiche sulle turnazioni, che nei limiti del possibile dovranno cercare di disaccoppiare l’uno dall’altro i reparti produttivi, anziché di coordinarli e sincronizzarli come avviene oggi.
Cambiare il modo di lavorare
Infine, si diceva, sarà necessario cambiare il modo di lavorare. Tutti sappiamo che molte delle riunioni che facciamo ormai quotidianamente attraverso gli applicativi di teleconferencing diventati ormai i nostri fedeli compagni di lavoro, non torneranno più ad essere svolte fisicamente. Ci stiamo tutti accorgendo infatti che lavorare da casa ha molti aspetti positivi, tra cui di evitare lunghi trasferimenti, il collega noioso che ci approccia alla macchina del caffè, oppure meeting di lavoro pletorici ed inconcludenti. Farlo in teleconferenza aiuta ad andare all’essenziale, ad essere più diretti, a contenere i tempi morti e ad abbandonare momentaneamente la riunione senza dare nell’occhio. Ma “smart working” non è sinonimo di “lavoro da casa”, implica un radicale ridisegno della struttura organizzativa, dei meccanismi di delega, della propensione alla condivisione ed alla collaborazione, dell’engagement nell’organizzazione, etc.
Questa trasformazione applicata ai white collar la diamo ormai per scontata: inoltre su tale tema hanno scritto su queste pagine autori ben più autorevoli del sottoscritto. Ma i medesimi concetti sono, almeno in parte, trasferibili al mondo della produzione industriale? E se si, come? Non ci dobbiamo fare soverchie illusioni, non avremo probabilmente mai lavoratori in tuta blu che potranno svolgere le proprie mansioni mentre sgranocchiano un pacchetto di patatine, comodamente adagiati sul divano di casa. Tuttavia investimenti mirati ed intelligenti in specifiche tecnologie digitali consentiranno di ampliare le famiglie professionali che potranno lavorare, almeno in parte, da remoto.
Il ruolo di Industrial IoT e Mixed Reality
Ad esempio, grazie all’industrial internet of Things sarà possibile remotizzare molte delle attività di ordinaria manutenzione di beni strumentali come impianti e macchinari, il controllo della produzione e della qualità. L’impiego di mixed reality, una tecnologia immersiva che fonde tra di loro la realtà virtuale e aumentata, può abilitare lo svolgimento da remoto anche di interventi complessi come il montaggio, l’installazione e l’avviamento operativo di un impianto produttivo.
Per tutto il resto, il Laboratorio Rise insieme alla Spinoff Accademica IQ Consulting saranno sempre vicini a tutte le aziende che non si rassegnano alla ineluttabilità della crisi e che vogliono impostare una strategia di attacco e non di difesa, tentare strade nuove, osare ed innovare.