Il caso Cambridge Analytica ha drammaticamente dimostrato quanto i nostri dati personali siano a rischio manipolazione, nonostante le nuove normative sulla privacy che sono state varate nel frattempo. L’aspetto più preoccupante dell’intera faccenda è che tutti quanti noi, giorno dopo giorno, continuiamo a cedere i nostri dati personali ad applicazioni e a una platea sempre più vasta dispositivi intelligenti. Rischiando, progressivamente, di perdere la nostra autonomia intellettuale in favore di scelte sempre più eterodirette. Il problema della privacy ha anche a che fare con il modo in cui questi dati vengono trattati: sostanzialmente le nostre informazioni, grazie alla pervasività ormai raggiunta dagli strumenti cloud, vengono archiviate e aggregate centralmente e, successivamente, possono essere utilizzate dalle grandi multinazionali per comprendere e orientare le nostre preferenze d’acquisto (ma non solo).
Esiste però una rivoluzione tecnologica che è in grado di porre un argine a questa tendenza e rafforzare la nostra privacy: stiamo parlando dell’edge computing. Come abbiamo raccontato in passato, dal momento che con l’edge computing le informazioni e i dati vengono elaborate a livello locale e in prossimità dell’utilizzatore, non è più necessario quel passaggio a livello centrale tipico del cloud computing. Quello che in definitiva permette ai grandi provider di raccogliere le informazioni e indirizzare successivamente le nostre scelte. L’edge computing, invece, rende possibile alle applicazioni e ai servizi di cui abbiamo realmente necessità di funzionare localmente e autonomamente, con chiari benefici dal punto di vista della privacy.