Chiave di innovazione per il ridisegno infrastrutturale, il cloud privato diventa abilitatore di nuovi modelli di approvvigionamento e potenza di calcolo pay-per-use, garantendo la centralizzazione e un maggiore controllo delle risorse It. Così si potrebbe riassumere la vision sottostante a esacloud, il progetto di nuvola privata realizzato da Esa – European Space Agency (organizzazione che coinvolge 20 stati membri nello sviluppo di programmi spaziali intergovernativi) in partnership con Orange Business Services.
L’Agenzia opera da otto siti in tutta Europa, con uno staff di 2.200 persone che ricoprono una vasta gamma di ruoli: scienziati, ingegneri, personale operativo, industriale e amministrativo. Il dipartimento informativo interno (55 persone in totale, con un budget annuo di 65 milioni di euro) è al servizio di queste diverse comunità di utenti per molte attività, come il supporto operativo e la simulazione e validazione delle missioni.
“L’organizzazione dell’Agenzia – racconta Filippo Angelucci, Head of IT Department di Esa – è basata su unità operative che lavorano indipendentemente, rendendo spesso difficile ottimizzare l’uso degli asset It. Il cloud, oltre a rispondere alle esigenze di upgrade infrastrutturale, ha permesso di centralizzare e razionalizzare l’utilizzo delle risorse grazie al modello pay-per-use, consentendo di gestire le richieste di business in modo più flessibile e riducendo i tempi di procurement”.
L’infrastruttura di calcolo comune creata da Orange, infatti, è accessibile rapidamente dall’intera organizzazione e permette agli utenti finali di disporre delle risorse informatiche necessarie in pochi minuti invece che nel giro di mesi; distribuire risorse as-a-service da un unico punto centrale è infatti molto più rapido che implementare sistemi ad hoc on-premise per ogni singolo dipartimento, come avveniva prima.
Avviato nel 2013, il progetto ha avuto una fase di pianificazione durata 6 mesi e seguita da quella di pre-operation in cui veniva garantita la piena operatività senza il vincolo di adempimento ai Service Level Agreement. Il passaggio allo stadio operativo è avvenuto a novembre del 2014. Sono state coinvolte 5 persone sulle 20 del team It interno preposte alla gestione delle infrastrutture.
“In Esa – continua Angelucci – l’It ha sempre adottato un outsourcing spinto, posizionandosi su una fascia di gestione delle risorse piuttosto che di operatività. In termini organizzativi, la nostra struttura era già predisposta per il passaggio tecnologico al cloud (siamo gestori di servizi gestiti), che invece ha trovato un limite nella mancanza di conoscenze specifiche e di dettaglio in-house. L’expertise e le risorse messe a disposizione da Orange [partner di Esa già dal 2000, ndr], nonché il supporto manageriale continuo e puntuale, ci hanno messo in condizione di supplire a queste carenze”.
Vantaggi e criticità, dalla business continuity ai freni psicologici
Tra i vantaggi ottenuti con esacloud, Angelucci sottolinea il maggiore controllo sulle risorse infrastrutturali, che permette la centralizzazione e la visibilità sui processi aziendali. Anche la sicurezza, progettata ad hoc e garantita da un sistema di controllo degli accessi basato sui ruoli, è tra i punti di forza del progetto, così come la ridondanza completa di applicazioni e servizi, grazie a due data center in mirroring.
“Il disaster recovery – sottolinea il Cio – è tra gli argomenti che abbiamo maggiormente speso per sponsorizzare il progetto presso la dirigenza, che però non ha avuto un ruolo attivo nell’adozione del cloud, visto piuttosto come una mera implementazione tecnica e un modo per risparmiare. La continuità operativa è un tema a cui il business è sensibile, mentre più difficile è fare accettare il modello pay-per-use”.
Ma ancora più arduo è stato convincere gli utenti a delegare la gestione dei propri dati: “Il nostro target è rappresentato principalmente da scienziati e ingegneri – commenta Angelucci – che sono avvezzi al cloud e alla tecnologia in generale, ma anche molto possessivi nei confronti del loro server. Il problema, dunque, non è stato di ordine tecnico, ma soprattutto psicologico, dovendo persuadere i nostri utenti ad adottare un sistema condiviso e ad affidare ad altri le ‘chiavi’ del loro data center. Il passaggio al cloud richiede una campagna d’adozione porta a porta, perché da remoto non funziona e l’abbandono dell’hardware rappresenta una barriera importante. Gli sforzi vanno enfatizzati proprio sulla comunicazione”.
Il nuovo ruolo dell’It e la direzione per gli sviluppi futuri
All’It, insomma, si richiedono nuove capacità di change management per abilitare la trasformazione: “Individuiamo le persone già predisposte al dialogo e alla gestione del cambiamento – prosegue il Cio – lavorando su un linguaggio comune con il business e spostando le leve di persuasione dal prodotto al valore del progetto. Il cloud richiede una maggiore conoscenza dei processi aziendali e una maggiore relazione con il business: per questo, stiamo lavorando a stretto contatto con le Lob per capire se le nostre soluzioni soddisfano appieno le loro esigenze”.
Così, con l’introduzione della nuvola, i Sistemi Informativi, visti da sempre come “supplier di un’infrastruttura quasi scollegata dalle applicazioni di business”, assurgono a un ruolo molto più strategico: “Siamo in una condizione di technology provider – precisa Angelucci- perché gestiamo gli accessi al cloud e siamo in grado di collegare la nostra piattaforma privata alle risorse di cloud pubblico, implementando rapidamente nuovi servizi. In Esa gestiamo applicazioni che richiedono grande potenza computazionale solo per periodi limitati nel tempo e possono trovare una soluzione efficace anche nel cloud pubblico”. L’obiettivo a tendere secondo il Cio, infatti, è l’informazione come servizio e solo una nuvola pubblica federata può garantire la potenza di calcolo necessaria e l’aggregazione/correlazione tra i dati provenienti da fonti e organizzazioni diverse. Il cloud journey di Esa è quindi appena partito.