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Intel pronta a investire in Italia

Secondo Reuters, Intel potrebbe investire 5 miliardi di dollari per la realizzazione di un impianto produttivo in Italia, in risposta al Chips Act e a quanto previsto anche dal Next Generation EU. Obiettivo: ridurre la dipendenza europea dalle supply chain asiatiche

Pubblicato il 07 Ago 2022

Vodafone Business Italia e Cisco Italia

La notizia, circolata in questi giorni, non ha trovato conferme da parte dei diretti interessati, ma è comunque molto importante.
In risposta all’esigenza, espressa molto chiaramente nei piani di recovery europei e in particolare dal Chips Act, di aumentare la propria capacità produttiva di chip, riducendo di conseguenza la dipendenza dalle supply chain asiatiche, Intel non solo ha annunciato lo scorso mese di marzo un piano per investire 88 miliardi di dollari per la realizzazione di impianti nel Vecchio Continente, ma avrebbe incluso anche l’Italia in questo suo progetto.
La notizia parla infatti di un investimento iniziale di 5 miliardi di dollari (destinato col tempo ad aumentare) per la realizzazione di un impianto avanzato di produzione e assemblaggio di semiconduttori nel nostro Paese.
Secondo Reuters, che mantiene riserbo sulle proprie fonti, l’accordo potrebbe essere chiuso entro la fine del mese e comunque prima delle prossime elezioni del 25 settembre e il Governo potrebbe finanziare fino al 40% dell’investimento totale.

Dove potrebbe essere indirizzato l’investimento di Intel

Piemonte o Veneto potrebbero essere le regioni d’elezione per la realizzazione dell’impianto, satellite rispetto al cuore dell’investimento da parte di Intel, indirizzato invece in Germania. La struttura potrebbe essere operativa entro i prossimi tre-cinque anni e potrebbe creare 1.500 posti di lavoro diretti e ulteriori 3.500 nell’indotto.
Sia l’Italia, sia l’Europa hanno messo fondi a disposizione dei produttori di chip per contribuire a portare sul continente produzioni cruciali per sostenere alcuni settori chiave dell’economia, automotive in primis, colpiti dalla crisi di approvvigionamento dei mercati asiatici. L’obiettivo è rendere attrattivi anche mercati nei quali il costo del lavoro è notoriamente più alto.

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