Si è di recente svolto l’Executive Cocktail “Iaas e Cloud ibrido: guidare la trasformazione”, realizzato da ZeroUno in collaborazione con Blue Reply e Ibm con l’intento di indagare il ruolo dell’hybrid cloud nell’attuale contesto di trasformazione in chiave digitale; in particolare si è cercato di capire quali sono le criticità con cui si scontrano le imprese quando, soprattutto a livello infrastrutturale, decidono di aprirsi a soluzioni alternative al tradizionale on premise.
“È ormai evidente il ruolo essenziale che il digitale ha nel determinare la competitività delle aziende”, esordisce Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, che per rendere chiara la portata del fenomeno porta l’attenzione su un fatto significativo: “Citybank oggi ha più sviluppatori di Microsoft: le banche stanno cioè percependo l’esigenza di portare in house alcune competenze proprio perché, nel contesto della App economy, le considerano essenziali per poter ridisegnare in modo strategico il business”. Secondo Uberti Foppa negli ultimi due anni si è aperta un fase critica per il dipartimento It, durante la quale questo dovrà riuscire a divenire definitivamente partner di business delle Lob, attivando un disegno strategico che garantisca la rapidità e la flessibilità che il mercato richiede. L’hybrid cloud – qui affrontato in particolare a livello infrastrutturale – è certamente una delle tecnologie chiave per riuscirci.
Cosa spostare sul cloud e cosa mantenere in casa?
Apre la tavola rotonda Alessandro Campanini, Cio di Mediobanca Innovation Services, che da subito si concentra su una questione fondamentale in tema hybrid cloud: capire cosa esternalizzare e cosa invece mantenere in house. “L’obiettivo finale sarebbe proprio riuscire ad avere un data center completamente interoperabile, in parte on premise, in parte cloud”, esordisce il manager, che quindi si focalizza sul proprio mercato d’appartenenza: “Per quanto riguarda il contesto bancario, è chiaro che alcune funzioni che si legano a dati particolarmente sensibili, non sono semplici da spostare sulla nuvola; diversamente, questa modalità potrebbe essere una buona risposta, in termini sia di efficienza che di costi, alla domanda di storage, oppure, sfruttando i grid computing, alla forte capacità di calcolo di cui necessitiamo. In quest’ultimo caso, tra l’altro, non essendo implicato il tema dello spostamento dei dati sensibili [in quanto, diversamente dallo storage su piattaforme grid i dati transitano ma non risiedono all’esterno, ndr], l’esternalizzazione risulterebbe particolarmente gestibile”. Secondo Alessandro Garofalo, Responsabile Organizzazione Ict di Banca Mediolanum, non ci sono dubbi sul fatto che, dal punto di vista infrastrutturale, orientarsi verso la nuvola sia un percorso inevitabile; ma le possibilità di generare un’effettiva accelerazione sono a suo parere più in mano ai partner che alle aziende: “I vendor devono lavorare per mettere a disposizione servizi di qualità e riuscire a rassicurare le imprese sul fronte della sicurezza”, dice il manager, che poi prosegue: “È vero che ancora nel management ci sono delle resistenze sul piano culturale, ma se verranno prodotti argomenti economici convincenti, potranno essere facilmente superate”. Garofalo entra quindi nel merito di Mediolanum: “Siamo stati la prima banca in Italia ad andare su Office 365 in cloud e abbiamo già diverse applicazioni abbastanza articolate sulla nuvola, anche se nessuna è core business”.
Secondo Stefano Mainetti, Codirettore Scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service, School of Management del Politecnico di Milano, la “stella polare” ad orientare il cloud journey, dovrebbe essere la possibilità di liberare l’It dalla gestione di attività operative ormai diventate a basso valore aggiunto, funzioni su cui alcuni player si sono specializzati negli ultimi anni, e con cui, in termini di costi e qualità dei servizi, difficilmente si riesce a competere. Capita spesso che questo si traduca nella scelta di esternalizzare soprattutto funzionalità aziendali non-core, ma non mancano trend diversi; quando si parla di servizi e applicazioni nuovi – caso in cui si è dunque liberi da problemi di legacy – il cloud è spesso la soluzione migliore: “La leva per noi è soprattutto il business”, spiega Alessandro Caleffi, Itc Innovation manager di Falck Renewables, “Da produttori di energia stiamo diventando produttori di servizi; per questo ci impegnamo a ragionare con un modello diverso: tutto ciò che viene fatto di nuovo lo facciamo nascere direttamente su piattaforme cloud, in grado di essere più elastiche e veloci; dal momento che nel nostro settore norme e incentivi sono in continuo cambiamento e impongono una costante variazione di rotta, il management, e noi di conseguenza, siamo infatti a maggior ragione incentivati a cercare soluzioni flessibili”. Anche Rossella Cobelli, Head of It di Eurizon Capital, sottolinea come siano proprio le necessità di rapidità ed elasticità del business la leva principale all’adozione di soluzioni cloud “tattiche”, mirate ad alcuni obiettivi definiti; più complesso, soprattutto a causa del legacy, è invece pensare una ristrutturazione infrastrutturale a 360 gradi, anche se proprio il “compromesso” consentito dall’ibrido potrebbe fornire una soluzione a molti problemi.
I sistemi informativi tra sfida organizzativa e nuove competenze
“La sfida più grande è però sul piano organizzativo”, dice Garofalo, a proposito degli aspetti non-tecnologici chiamati in causa dalla nuvola: “Per l’It, il rischio è che i manager aziendali prendano l’abitudine di attivare i servizi cloud autonomamente, salvo poi rivolgersi a posteriori agli ‘antichi’ sistemi informativi per risolvere problemi di sicurezza e integrazione. Serve sviluppare modelli profondamente diversi da quelli attuali: l’It deve avere una cultura manageriale e sedersi ai tavoli delle Lob”. Concorda Mainetti che parla del Cio come complice del business e abilitatore di scelte consapevoli, e che poi introduce il tema delle competenze: il cloud assorbe effettivamente molte dei tradizionali skill dell’It, ma sembrano infondate le paure di un ridimensionamento delle risorse necessarie alla gestione del dipartimento; cambia non la quantità, ma la qualità del lavoro: “Si assisterà a un innalzamento del livello d’astrazione delle competenze interne: si avrà sempre meno bisogno di abilità ‘di dettaglio’ a favore di capacità legate al controllo dei diversi ambienti che compongono l’architettura”. L’It si assicura dunque un ruolo comunque fondamentale: è l’unico a poter dare solidità a temi quali compliance, qualità del servizio, integrazione, gestione dell’autenticazione, sicurezza; come ha sottolineato Mainetti, “Il cloud è semplice ma non banale”. “Così come l’outsourcing [il tema era già stato precedentemente toccato durante la tavola rotonda – ndr], la nuvola impone lo sforzo di pensare in termini di servizio – ha detto a questo proposito Federico Vietti, Manager of System & Security Business Unit di Blue Reply – ma a differenza del primo, costringe a ragionare anche in un’ottica di standardizzazione e consolidamento delle infrastrutture. Attività che implicano uno sforzo iniziale importante – aggiunge il manager – ma che portano a vantaggi a lungo termine enormi”.
Luca Zappa, Partner di TamTamy Reply (realtà di Reply specializzata in Enterprise Social Network), ha sottolineato che il vendor può avere un ruolo attivo anche in questa trasformazione organizzativa: “Quando forniamo un servizio, supportiamo i clienti non solo tecnologicamente, ma anche nello strutturare all’interno della propria realtà nuovi team e nuove professionalità in grado di mettere l’azienda nelle condizioni di sfruttare al meglio il servizio”.
Adeguarsi al cloud: contrattualistica, sicurezza, capacity planning
Migrare verso il Cloud significa riadattarsi su svariati fronti. Dal punto di vista contrattuale, come spiega Nicola Tammaro, Ict Buyer di Eni, il lavoro non è semplice: si tratta di adeguarsi alle logiche di standardizzazione tipiche dei cloud provider, di passare economicamente da un’impostazione capex a una opex e di imparare a valutare con attenzione le clausole più “critiche”, riguardanti in particolare sicurezza e privacy.
Alessandra Brasca, Cloud Business Development Executive di Ibm, affronta invece la questione security: “Si parla spesso di sicurezza del cloud, ma è importante in questo processo di transizione verso la nuvola curare bene la governance dell’azienda rispetto al tema”, dice Brasca, che sottolinea poi come all’interno di un contesto ibrido, sia a maggior ragione necessario sganciarsi dalle visioni tradizionali: “Serve un approccio unificato e un controllo a tutti i livelli, monitorando accessi, dati, applicazioni, device” (questi ultimi in particolare – sottolinea la manager – rappresentano, con la diffusione della mobilità, una superficie di vulnerabilità importante). Col cloud cambia anche il modo in cui si fa capacity planning; come è stato ricordato, se tradizionalmente si tende a pensare a un’infrastruttura dimensionata “al massimo” in modo da poter assorbire i picchi di lavoro, ragionando in ottica cloud l’approccio al disegno della soluzione si ribalta; devo dotarmi stabilmente “del minimo” e poi attivare logiche di automazione e approvvigionarmi ad hoc per la gestione dei picchi.
Blu Reply: per lo Iaas la risposta tecnologica è Softlayer Blue Reply è una società del gruppo Reply che opera nell’ambito della trasformazione digitale attraverso servizi, consulenza, progettazione e implementazione di soluzioni basate sulle tecnologie Ibm; 300 professionisti che gestiscono ad oggi circa 50 grandi clienti dei settori finance, retail e manufactoring. Durante l’Executive Cocktail di ZeroUno “Iaas e Cloud ibrido: guidare la trasformazione” si è parlato in particolare di Softlayer, l’ infrastruttura cloud “as a service” (l’azienda da cui deriva il nome della soluzione è stata acquisita da Ibm nel 2013) in cui Server Bare Metal, Server Virtuali e altri servizi operano in modo integrato offrendo una soluzione fortemente scalabile che permette di rispondere con rapidità alle esigenze del business: per il provisioning self-service dei server virtuali bastano pochi minuti, e poche ore per quello dei server “bare metal” dedicati. “Il data center è ormai virtuale ed esteso – ha detto Alessandra Brasca, Cloud Business Development Executive di Ibm – e la sfida è riuscire a mantenere governance e controllo in tutti gli ambienti, interni ed esterni: devo avere modalità di sourcing trasparenti e piena visibilità di quello che succede alle mie risorse. Con Softlayer facciamo in modo che ciò che è su cloud sia a tutti gli effetti controllabile e governabile come se fosse in house”. Ibm ha tra l’altro recentemente inaugurato, a pochi chilometri da Milano, il suo primo cloud data center italiano basato su infrastruttura Softlayer, una vicinanza che sarà utile a rassicurare le aziende del nostro Paese, spesso dubbiose rispetto alla distribuzione geografica dei propri dati. |