Uno strano personaggio si aggira nelle aziende. È una figura che ha vissuto in passato momenti di gloria e dolorose emarginazioni e che oggi si trova nella potenziale e vantaggiosa condizione di essere, forse per la prima volta nella sua storia, “padrone del proprio destino”: è il Cio, o meglio quell’ “innovatore digitale” che deve misurarsi con la propria capacità (o incapacità) di reggere un difficile percorso di trasformazione digitale del business della propria azienda.
Si tratta di quella stessa azienda che in passato ha magari più volte rifiutato di attribuire all’informatica un ruolo diverso dall’essere semplice motore di base della propria attività (informatizzando, secondo una visione meccanicistica, l’attività gestionale) e che oggi deve invece competere su mercati in cui l’elemento di digital transformation è fonte imprescindibile di valore per la propria sopravvivenza e crescita. In questa stessa azienda, tutta l’organizzazione, a partire dal top management fino alle diverse funzioni operative, si scontra-incontra quotidianamente con la digitalizzazione del business e comincia a capire quale importante elemento strategico sia un’innovazione basata sull’informatica. È qui che nascono, incontrollate, risposte e soluzioni in modalità spesso “istintive”, mutuate da una conoscenza diretta digitale derivata dal proprio mondo consumer. “Oggi con Google si può fare tutto, oggi tutto è cloud e self service” è la semplificazione “consumer driven”, sbarazzandosi così, in pochi secondi, di decenni di competenze legate al complesso sviluppo architetturale, tecnologico e applicativo guidato, integrato e governato dal dipartimento It e nello specifico dal Cio.
Ma il punto è un altro, la verità è un’altra: la causa di questo modo di pensare e di agire non va attribuita in primis alla digitalizzazione del pianeta che, sulla base di una nuova spinta culturale, porta le persone ad immaginarsi un’informatica aziendale altrettanto semplice; oppure alla pressione dei vendor, peraltro molto forte in questi ultimi anni, direttamente sui manager delle Lob che hanno una sempre maggiore disponibilità di budget It e che possono forse essere più facilmente convinti dell’efficacia di business di una soluzione. Il tema vero è il nostro “strano personaggio”, che si aggira in azienda non essendo ancora riuscito a cambiare se stesso, a diventare il vero punto di riferimento, per il business, dell’innovazione digitale, della digital transformation di modelli di business che stanno ormai “mostrando la corda”, il riferimento di una “disruption” che ormai in molti mercati sta ridefinendo le regole del gioco e gli attori. Un Cio che stenta ancora molto ad uscire dalla propria “confort zone” tecnologica nella quale ha costruito tutto il proprio percorso professionale e che non ha ancora occupato quello spazio di guida dell’innovazione strategica digitale di cui il Ceo è consapevole ma non artefice (vedi figura).
Su come intraprendere questa riproposizione di competenze, ormai le indicazioni sono chiare: il Cio non esiste più come figura unica e indivisibile ma sarà sempre più un soggetto dalle molte sfaccettature, aggregatore e coordinatore di competenze ed esperienze diversificate, interne ed esterne all’azienda; competenze che è impossibile ormai sintetizzare in un’unica persona.
La costruzione di una squadra di business digital innovator, però, deve partire dalla consapevolezza di una ormai imprescindibile revisione architetturale e infrastrutturale strategica, in grado di garantire flessibilità di risposta alle variabili competitive del business. Serviranno competenze per semplificare, consolidare, rendere scalabile, software defined, meglio gestibile una serie di piattaforme tecnologiche integrate che dovranno essere la base forte su cui articolare lo sviluppo di progetti digital based. La tendenza è infatti quella di un innalzamento del livello di astrazione degli skill, con minori esigenze di abilità di dettaglio, a favore di capacità di governance a controllo dei diversi elementi che compongono l’architettura complessiva e ne garantiscono il suo funzionamento.
Ma soprattutto sarà necessario attingere a piene mani a nuove conoscenze. Già oggi alcuni studi effettuati sulle realtà imprenditoriali a più alto tasso di innovazione digitale e di conseguente successo di business (leader di settore con alti tassi di crescita) affermano che circa il 50% del tempo del Cio è speso ad approfondire le diverse specificità del business che deve essere supportato ed innovato attraverso il digitale. Di che si occupa questa squadra coordinata dal Cio? Di ottenere il consenso, essere il punto di contatto autorevole e abilitatore (e non freno) delle esigenze diversificate delle Lob nella comprensione dei diversi modelli operativi e di business; deve saper capire e soprattutto comunicare, attraverso modalità di coinvolgimento alla base dello sviluppo di progetti digital based che vedano gli utenti aziendali impegnati in prima persona nel disegno e nell’ottenimento del risultato.
Il tema della “user perspective” (cioè la conoscenza e la soddisfazione delle esigenze degli utenti finali, sia aziendali, sia clienti finali) deve essere infatti la guida primaria per una vera riarticolazione tecnologica, organizzativa, culturale e di competenze del dipartimento It. Grande importanza vanno oggi assumendo best practice per la condivisione di progetti digital based, all’interno di una “contaminazione”, sia organizzativa sia di nuove competenze, con il mondo, le logiche, la velocità delle start up. Far coesistere una cultura tecnologica, strutturata, legata alla complessità infrastrutturale come quella tradizionale del Cio in una nuova visione digitale customer centric è un passaggio che un singolo (il Cio) non può riuscire a compiere. Ma non cambiare oggi significa assumersi un rischio professionale e di business enorme per l’azienda. Accettare invece, altro passaggio culturale epocale per il Cio, un’innovazione veramente continua (con tempi e modi in un flusso di cambiamento e di integrazione di nuove tecnologie, servizi e competenze costante), significa impegnarsi nel ripensare la gestione delle piattaforme tecnologiche di riferimento aziendali, in un disegno orientato alla costruzione di ambienti ibridi e integrati (public-private cloud – on premise – legacy) in cui l’efficienza e l’efficacia del servizio all’utente siano l’unico parametro considerabile. Piattaforme che si sono arricchite di funzioni e di potenzialità negli ultimi anni: la scelta di un ricorso ponderato al modello as a service; l’utilizzo di strumenti di Analytics per insight evoluti e pronti alla gestione di sempre maggiori moli di dati (dall’IoT vanno oggi sviluppandosi nuove opportunità e modelli di business, quando non addirittura nuovi mercati); lo sviluppo del paradigma mobile come finestra primaria di utilizzo da parte degli utenti di ogni tipo di informazione, applicazione e servizio; il ricorso ad una modalità di integrazione social che avvicini sempre più l’azienda ai clienti, il tutto poggiato su sistemi di security ormai imprescindibili e il cui utilizzo deve prevedere coinvolgimenti e competenze che non sono presenti in azienda ma, sempre più, all’interno dei vendor offerte da questi in modalità di servizi cloud.
È tutto. Volevamo rimarcare, alla ripresa dei lavori post vacanze, il percorso di questo “strano personaggio” con cui ZeroUno ha compiuto nei decenni il proprio cammino e la propria storia. La sfida è quella di tornare ad essere al centro di un cambiamento che vede nel digitale il riferimento primario. Un nuovo mondo del quale “il Cio che verrà” dovrà essere necessariamente parte e, ancora una volta, artefice.