Sono molte le aziende, soprattutto tra quelle del ‘made in Italy’, che asseriscono di ‘coniugare la tradizione artigiana con l’innovazione tecnologica’. Una frase tanto abusata da essere diventata un luogo comune, ma che, in quest’occasione, torna ad avere il suo pieno significato.
Fondata nel 1956 ad Alte, in provincia di Vicenza, dove ha tuttora il suo quartier generale, la Bisazza (www.bisazza.it ) produce infatti rivestimenti per pavimenti e pareti in mosaico di vetro, secondo una tradizione che si allaccia a quell’arte vetraria e musiva che, sviluppatasi a Venezia sin dal Medio Evo, è forse il più antico filone di produzione artigiana della regione. E nel contempo, come vedremo, ha fatto dell’innovazione la chiave di uno sviluppo che l’ha portata, con un’accelerazione che si è accentuata quando Giampiero Bisazza, figlio di uno dei tre fratelli fondatori, ha preso nel 2000 la guida della società, a sfiorare i 900 dipendenti e i 115 milioni di euro di fatturato (previsione 2006), con una crescita a livelli tra il 15 e il 20% anno su anno.
L’offerta di Bisazza comprende mosaico di vetro, prodotto con processo industriale in forni a ciclo continuo, e mosaici d’oro e di Avventurina, una pietra di sintesi elaborata a Venezia nel Seicento, destinati ai prodotti più preziosi e fabbricati in forni discontinui con metodi ancora in parte artigianali. Alla produzione musiva si affianca poi quella, minoritaria in termini di fatturato, di lastre in graniglia di vetro per il rivestimento di grandi superfici. La società possiede stabilimenti in Veneto e in India; quest’ultimo aperto nei primi anni ’80, anticipando un modello di delocalizzazione allora decisamente innovativo e sul quale la società sta oggi puntando parecchio. Dal punto di vista artistico, Bisazza, oltre ad avere un proprio centro stile, si avvale della collaborazione di firme dell’architettura, del design e della moda come Sandro Chia, Michael Graves, Paola Navone, Andrée Putman, Ettore Sottsass, Marcel Wanders e altri ancora. Una visita al sito dell’azienda e alle pagine dove questa è citata dà un’idea del livello di qualità con il quale ci si va a confrontare e che ha portato il marchio veneto a essere presente in tutto il mondo.
I prodotti Bisazza sono infatti commercializzati attraverso una struttura che ad oggi conta sei centri monomarca a Milano, Berlino, Parigi, Londra, New York e Barcellona; quattordici filiali o uffici commerciali in tredici paesi: Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Messico, Australia, Dubai, India, Giappone, Sud Corea e Cina (con Hong Kong e Shanghai); una rete di oltre 6 mila distributori. Ed è proprio da questa dimensione globale che nasce il progetto di riorganizzazione dell’infrastruttura It.
Un consolidamento partito dal software
Un’infrastruttura basata su server Hp e con storage in rete (Nas) era già presente in azienda all’avvio del progetto Sap. Ma pur essendo adeguata ai bisogni del momento, parliamo del 2001, l’infrastruttura non poteva rispondere alle esigenze di disponibilità e continuità di servizio che si andavano delineando in un quadro di operatività a livello worldwide. “Così – prosegue Fraccon – quando nei primi mesi del 2005, dopo aver implementato Sap nelle filiali europee, si cominciò a pensare alla filiale americana, le previste esigenze di availability e business continuity divennero improrogabili e bisognò decidersi a installare una nuova piattaforma hardware che sostituisse quella in opera”. La quale, aggiungiamo, continuava a funzionare solo grazie all’aggiunta di ‘pezze’ (come le chiama Fraccon), ovvero di application server installati per eseguire determinati compiti e sopperire così alle deficienze della parte centrale.
Obiettivo: sostenere uno sviluppo globalizzato
La prima decisione di Bisazza è quella di restar fedele ad Hp, sia per l’affidabilità della tecnologia (le vecchie macchine, nei loro limiti, funzionavano comunque a dovere), sia per la qualità dell’assistenza, sia infine per il pieno supporto di Hp a Sap, “…che è stato un elemento rilevante della nostra scelta”. Viene quindi creato un gruppo di lavoro composto da risorse It interne, consulenti Hp ed esperti di Information Consulting, un partner Hp di Bolzano che ha seguito la fornitura e installazione dei sistemi e con il quale si è instaurato un ottimo rapporto che continua tuttora.
Stabiliti, come requisiti prioritari della nuova infrastruttura, assoluta disponibilità (24x7x365) e massima scalabilità (per sostenere lo sviluppo dell’impresa e proteggere l’investimento sui nuovi sistemi) viene deciso di rinnovare tutta la filiera tecnologica su cui poggia il sistema informativo, server, storage e reti di comunicazione, creando una piattaforma completamente ridondata. Nel 2005, Hp ha appena introdotto i server Integrity, basati sui processori a 64 bit Intel Itanium 2, il cui rapporto prezzo/prestazioni sembra il più adatto ai bisogni di un’azienda che, pur avendo le esigenze tipiche di una grande impresa, resta pur sempre una realtà di media dimensione. Il nuovo sistema si basa quindi su due server rx4640 quadriprocessore configurati in cluster per l’ambiente di produzione, più un server rx2620 biprocessore (l’entry level della gamma Integrity) per l’ambiente di sviluppo del gestionale ed un secondo rx2620 (aggiunto quest’anno) per il testing delle nuove applicazioni. Sul lato storage, viene implementata una San che comprende un sistema a dischi StorageWorks Eva (enterprise virtual array) 3000 e una libreria a nastri StorageWorks Msl 6030 per il backup. Sistema operativo, Windows Server 2003, scelto per la maggior disponibilità di competenze interne sull’ambiente Microsoft. Una serie di connessioni Vpn garantisce la comunicazione con le filiali sparse nel mondo.
Una base hardware a supporto del business
Il progetto di server consolidation ha richiesto un investimento totale (comprensivo di tutto l’hardware, inclusi i gruppi Ups e il gruppo elettrogeno dedicato; del contratto di assistenza Hp Proactive B24 per un anno e dei giorni di lavoro del personale interno ed esterno) di circa 300 mila euro, meno del 3 per mille del fatturato. Il tempo è stato di 10 settimane, da metà febbraio al 25 aprile 2005. Unico vero problema, un ritardo sui tempi pianificati a causa della relativa inesperienza su Microsoft Cluster e sulla migrazione del database Oracle su piattaforme a 64 bit. Problema cui comunque Hp ha posto rimedio in corso d’opera, facendo intervenire persone esperte e riuscendo a contenere il ritardo a tre settimane.
Il passaggio alla nuova infrastruttura ha non solo risolto il problema per cui era stata ideata, permettendo l’implementazione di Sap nella filiale americana e aprendo la strada all’estensione dell’Erp alle altre filiali extraeuropee, ma ha portato ulteriori vantaggi. I primi, che se vogliamo sono banali ma non per questo meno importanti, sono l’aumento di velocità nei tempi di risposta delle applicazioni Erp, con soddisfazione degli utenti (circa 300 nel mondo) e un miglioramento della produttività; inoltre si è ridotto il peso della manutenzione, liberando risorse per nuovi progetti e più utili attività.
Il secondo, strategicamente più significativo, è dato dalle opportunità che la nuova infrastruttura può dare in termini di flessibilità ed espansione del business. “Disporre di una base dati unitaria e accentrata sulla San – risponde Fraccon – ci ha consentito di introdurre gli strumenti di analisi e reporting di Sap Business Warehouse, aprendoci quindi alla business intelligence. Mentre la flessibilità delle risorse ci ha permesso di installare applicazioni speciali, come quella richiesta dal sistema fiscale americano, nonché di avviare, ancora negli Usa, progetti pilota di vendite online su piattaforma Sap Crm”. La scalabilità dell’hardware infine, conclude Fraccon: “ci permette di passare con una spesa minima ad un sistema in grado di sostenere l’upgrade dell’Erp, con l’adozione di Unicode per portare Sap in Russia e in Cina superando il problema della diversa scrittura”.