“Virtual Twin”, così la blockchain può difendere il copyright

Intervista a Thomas Rossi, coordinatore del team che si è aggiudicato il Blockathon UE 2018 promosso da Euipo: “Impegnati a illustrare il nostro progetto a diversi brand del luxury. E pensiamo a una fondazione open source promuoverlo”

Pubblicato il 04 Lug 2018

Cryptomice

Il nome di battaglia del team era “Cryptomice”, e l’obiettivo era quello di creare un protocollo basato sulla blockchain per tutelare la proprietà intellettuale dei beni. Un’idea che ha consentito alla squadra di aggiudicarsi il Blockathon Ue 2018 organizzato da Euipo, l’ufficio decentrato della Commissione Europea per la proprietà intellettuale, che si è tenuto dal 22 al 25 giugno. Quattro i componenti del team, coordinato dal 35enne Thomas Rossi, laureato in ingegneria al Politecnico di Milano, come i colleghi Luca e Valerio Vaccaro, di 30 e 37 anni,  mentre Fabian Niedekofler, 33 anni, conta su una laurea in product design allo Ied. Proprio Thomas Rossi spiega in un’intervista a Blockchain4innovation cosa è il “virtual twin”, il protocollo che ha consentito a Cryptomice di aggiudicarsi l’hackathon.

Rossi, cosa è esattamente Virtual Twin?

Non è una soluzione, ma un protocollo che può essere implementato in diversi ambiti a seconda dei casi. Il principio è che se produco o possiedo un bene fisico e lo voglio vendere, questo bene fisico può essere accettato come autentico soltanto se accompagnato dal suo “gemello digitale”, che in questo modo ne attesta l’originalità. Ogni pezzo prodotto sarà così accompagnato da un virtual twin basato sulla blockchain, quindi unico e immodificabile, impossible da clonare. Diventerebbe così impossibile vendere oggetti che non siano accompagnati dal virtual twin, che traccerebbe la catena dei proprietari di un bene. Quando un prodotto viene “rubato”, scatta un alert che renderebbe di fatto “invendibile” il bene rubato, tracciando una linea rossa nella lista dei proprietari. Questo protocollo è inoltre in grado di segnalare i disguidi nella catena di distribuzione dei prodotti, e può essere molto utile ad esempio nel campo delle dogane. Inoltre, tutelerebbe i brand owner e i loro ordine di produzione: i pezzi “originali” sarebbero soltanto quelli effettivamente ordinati, mentre una eventuale produzione in eccesso non potrebbe contare sulla certificazione digitale via blockchain e non potrebbe eventualmente essere “spacciata” per originale dai falsari.

Dopo questa affermazione come proseguirà il percorso del vostro virtual twin?

Durante l’hackathon abbiamo creato un prototipo del protocollo basato su Ethereum, ma potrebbe funzionare allo stesso modo con bitcoin o altri token. Abbiamo ricevuto diverse manifestazioni di interesse, sia da Euipo, sia ad esempio da Gs1, l’ente sovranazionale che rilascia i codici a barre, uno degli standard mondiali del commercio. Erano molto interessati a capire come poter utilizzare questo protocollo nelle loro arrività, e i contatti con loro proseguiranno nelle prossime settimane. Inoltre abbiamo fissato una serie di incontri con alcuni brand di punta del mercato del luxury, che sono particolarmente interessati alla protezione dei loro prodotti e impegnati a combattere pirati e falsari. Uno dei punti di forza della nostra idea è che un protocollo open source, in cui possono essere integrati anche altre metodologie attualmente in uso per proteggere la proprietà intellettuale. 

Pensate per il futuro a una Ico per implementare e sviluppare la meglio la vostra Idea?

No, dal nostro punto di vista l’iniziale coin offering non sarebbe la soluzione più indicata.  Siamo più propensi a pensare che il “vestito giusto” sia quello di una fondazione, come accade per la maggior parte dei protocolli open source, perché dipendere da finanziamenti privati potrebbe creare problemi a un’idea che si propone come uno “standard” per la protezione della proprietà intellettuale, anche rispetto alle collaborazioni con altri enti. 

Qual è in questo caso specifico il valore aggiunto di una soluzione basata sulla blockchain?

La blockchain non è una soluzione che va bene per tutto, a volta possono essere più efficaci altre tecnologie. Ma nel nostro caso crediamo sia particolarmente indicata, perché soddisfa due requisiti fondamentali: validare l’unicità e immodificabilità di un bene o di un prodotto, e avere la necessità di costruire un sistema in cui le parti che interagiscono non si conoscono e non si possono fidare le une delle altre. 

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