Riunire tutti i più potenti computer nel mondo per essere d’aiuto nell’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia dovuta al Coronavirus. E’ l’obiettivo del “Covid-19 high performance computing consortium” al cui lancio ha contribuito Ibm al fianco dell’ufficio della Casa Bianca per le Politiche scientifiche e tecnologiche e al dipartimento statunitense per l’energia. Il consorzio è aperto anche ai supercomputer europei e italiani. Dal canto suo Ibm contribuirà alla causa anche focalizzando sulla lotta al Coronavirus la sua “Call for Code 2020” rivolta agli sviluppatori.
“Fin dall’inizio della pandemia Covid-19 abbiamo lavorato a stretto contatto con i governi degli Stati Uniti e di tutto il mondo per trovare tutte le opzioni disponibili per mettere la nostra tecnologia e la nostra esperienza al lavoro per aiutare le organizzazioni ad essere resilienti e ad adattarsi alle conseguenze della pandemia – afferma Dario Gil, direttore Ibm Research – L’High Performance Computing Consortium porterà alla luce una quantità senza precedenti di sistemi di potenza di calcolo con più di 330 petaflop, 775.000 core di Cpu, 34.000 Gpu e altro ancora, per aiutare i ricercatori di tutto il mondo a comprendere meglio Covid-19, i suoi trattamenti e le sue potenziali cure”.
Ma quale può essere il ruolo dei calcolatori super potenti nella lotta alla diffusione del virus? “Questi sistemi di calcolo ad alte prestazioni – sottolinea Gil – permettono ai ricercatori di eseguire un numero molto elevato di calcoli in epidemiologia, bioinformatica e modellazione molecolare. Questi esperimenti impiegherebbero anni per essere completati se fossero eseguiti a mano, o mesi se gestiti su piattaforme di calcolo tradizionali più lente”.
Al consorzio insieme a Ibm hanno aderito Lawrence Livermore National Lab (Llnl), Argonne National Lab (Anl), Oak Ridge National Laboratory (Ornl), Sandia National Laboratory (Snl), Los Alamos National Laboratory (Lanl), la National Science Foundation (Nsf), la Nasa, il Massachusetts Institute of Technology (Mit), il Rensselaer Polytechnic Institute (Rpi) e diverse aziende tecnologiche.
“Come potente esempio del potenziale, Ibm Summit, il supercomputer più potente del pianeta – prosegue Gil – ha già permesso ai ricercatori dell’Oak Ridge National Laboratory e dell’Università del Tennessee di esaminare 8mila composti per trovare quelli che più probabilmente si legheranno alla principale proteina “spike” del coronavirus, rendendola incapace di infettare le cellule ospiti. Sono stati in grado di raccomandare i 77 promettenti composti farmacologici di piccole molecole che ora potrebbero essere testati sperimentalmente. Questo è il potere di accelerare la ricerca attraverso il calcolo”.