Essere in grado di implementare e proporre alle aziende le soluzioni di data analytics più adatte alle loro esigenze è importante, ma è soltanto una delle priorità di chi opera nel campo del trattamento dei dati. Altrettanto fondamentale, infatti, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui è in atto una vera e propria rivoluzione digitale, è saper anticipare i trend tecnologici grazie alle proprie attività di ricerca e sviluppo, per non perdere il passo dell’innovazione e mettere a disposizione dei propri clienti soluzioni e servizi sempre più performanti e semplici da utilizzare. Proprio su questi binari si muove Integris, società specializzata nella fornitura di servizi IT che ha come proprio tratto distintivo quello di interpretare la digital transformation come un processo “data driven”, che dia ai clienti l’opportunità di predire le opportunità di business e modellare su questo l’approccio al mercato, grazie anche ai big data e all’intelligenza artificiale. A guidare le attività di ricerca e sviluppo in Integris è Rosario Curia, il direttore tecnico dell’azienda, che in quest’intervista a BigData4Innovation parte dal sottolineare i progetti e le sperimentazioni su cui Integris sta lavorando per farsi trovare pronta alle sfide del futuro. “Siamo attivi – sottolinea – su programmi di ricerca regionali, nazionali ed europei, grazie a una serie di partnership con università e centri di ricerca, in Italia e all’estero, dall’università La Sapienza di Roma alla Carlos III di Madrid all’AIT, l’Austrian Institute of Technology”.
Curia, in che direzione vi state muovendo sulla ricerca?
Siamo presenti in diversi campi promettenti per il futuro. Dalla ricerca pura, come i progetti sull’high performance computing, fino alla ricerca applicativa, in cui contribuiamo a costruire soluzioni e prototipi pronti per l’industrializzazione e per lo sbarco sul mercato. Soltanto per fare qualche esempio, tra i progetti più maturi c’è Memento, una soluzione che è in grado di recuperare dati sia strutturati sia non strutturati, che si tratti di voce o di testo, per dare aiuto a pazienti che hanno deficit mnemonici. Si tratta di una soluzione che migliora la qualità della vita delle persone e che contemporaneamente è in grado di registrare eventuali situazioni di pericolo, prevenendo rischi più gravi per la salute dei soggetti interessati. Un altro progetto attivato da poco in Italia con l’università La Sapienza e il Campus Biomedico di Roma ha l’obiettivo di recuperare i dati da sensori wearable per il monitoraggio e la prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro. La filosofia che sta alla base di queste attività è la creazione di modelli innovativi per riuscire a ottenere analisi evolute o predittive, riuscendo così a offrire soluzioni ad alto valore aggiunto.
Stiamo uscendo da un periodo complicato, quello dell’emergenza Covid-19. Cosa ha significato per Integris?
Per noi come per tutti è stata una piccola grande rivoluzione. L’impatto del Coronavirus ci ha coinvolto in pieno ma ci ha offerto anche un’opportunità di innovazione. Intanto perché abbiamo la fortuna di lavorare in un settore in cui la digitalizzazione e la dematerializzazione sono da sempre l’oggetto del nostro business. Abbiamo avuto la possibilità di ripensare la gamma di soluzioni da offrire al mercato. Tra l’altro abbiamo partecipato alla call del governo per l’individuazione dell’app di contact tracing con una nostra soluzione. E questo ci ha messo nella condizione di aprirci in modo naturale, come conseguenza del nostro impegno e delle nostre competenze sviluppate in anni di lavoro sui dati di posizionamento, alle soluzioni di protezione per l’emergenza Covid-19. E oggi abbiamo in campo una customizzazione di quell’app IamOK, la nostra soluzione di Contact Tracing e Social Distancing indirizzata alle aziende, già implementata per un grande cliente e altre proposition sempre nel campo enterprise di cui a breve avremo gli esiti.
Come è nata l’idea di cimentarvi nel campo delle soluzioni digitali per limitare il contagio?
Le nostre soluzioni in questo campo affondano le proprie radici su competenze consolidate: nel caso specifico però il monitoraggio non è più applicato a fini di marketing o commerciali, ma deve rispettare una serie di regole di altro genere con l’obiettivo di contenere e monitorare gli eventuali rischi di contagio negli ambienti di lavoro. Il dato di posizionamento è storicamente nel nostro know-how, si tratta del settore a maggior valore aggiunto nel campo dei dati. Da tre anni, soltanto per fare un esempio, sviluppiamo per un grande cliente una piattaforma di monitoraggio per la data monetization: dai dati di posizionamento delle celle telefoniche si riescono ad analizzare informazioni sullo spostamento delle persone, e questo consente di mettere in campo analisi predittive.
Una volta che l’emergenza sarà passata queste soluzioni avranno ancora un senso?
Certo, perché in prospettiva potranno essere utilizzate per gestire gli accessi o le uscite nelle sedi delle imprese più grandi, evitando file o assembramenti ai box dell’accoglienza, o per razionalizzare i flussi d’ingresso alle mense, gli accessi o le uscite, tramite badge elettronici che possono funzionare tramite un’app installata sullo smartphone. Stesso discorso vale per l’ottimizzazione delle risorse condivise, come ad esempio le sale riunioni o le stampanti.
La drammaticità dell’emergenza coronavirus è servita per aumentare la sensibilità delle aziende sulla digital transformation?
Sì, c’è senza dubbio una sensibilità nuova. In tutti gli incontri che facciamo registriamo un maggiore interesse verso le soluzioni digitali, e questa può essere una buona premessa per il futuro, perché renderà più semplice la digitalizzazione di tutti i flussi di lavoro che prima si svolgevano su supporti cartacei. In un primo momento tutte le aziende sono state costrette a partire con l’implementazione degli strumenti di base per lo smart working, dalla collaboration al cloud. Ora, vista la buona riuscita di questa prima fase, l’interesse si sta alzando e spostando verso soluzioni digitali che consentano di gestire end to end i processi in digitale. Si sta facendo largo la consapevolezza che la presenza fisica sul luogo di lavoro non è sempre così necessaria, e la conseguenza sarà l’adozione di strumenti che rendano lo smart working sempre più efficiente, efficace e sicuro. Si tratta così di mettere in campo processi che consentano la raccolta, il governo, la protezione e l’analisi del dato in cloud. Questo ci consente di sviluppare soluzioni un po’ più mature, come l’analisi dei processi aziendali, il process mining, e soluzioni evolute sulla data analytics.
Ad esempio?
Oggi siamo impegnati a mettere a punto algoritmi legati alle serie di dati temporali, che tengano cioè presente non il dato “statico”, ma la sua evoluzione nel tempo. Questo consente di capire e anticipare come evolvono i trend anche guardando a singoli cluster limitati, anche in maniera automatica. La sfida è di correlare i dati sull’asse della variabile tempo, riuscendo così ad amplificare le possibilità di intervento in tempo reale e la parte di “predictive analytics”. Si tratta di un modello che può essere applicato in settori trasversali, dai dati bancari a quelli di presenza o di vendita, e ovviamente anche nei settori in cui siamo maggiormente presenti, come le telco e l’industry.