Sanità digitale, Emiliani: “I dati non strutturati diventano risorse grazie all’AI”

Il responsabile dell’Innovazione di Maps Group – Artexe: “L’aumento della domanda sanitaria e l’arretratezza informatica del settore potrebbero mettere a rischio la tenuta del sistema. La svolta può arrivare anche grazie all’intelligenza artificiale”

Pubblicato il 15 Set 2020

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A salvare la sanità potrebbe essere l’intelligenza artificiale. A creare difficoltà e rendere incerte le prospettive dell’intero settore infatti convergono una serie di circostanze che con il passare del tempo, se non si intervenisse con dosi massicce di innovazione, potrebbero mettere a rischio la continuità dei servizi e la loro efficienza. Tra queste c’è il dato di fatto che la domanda di sanità è in progressivo aumento, a causa dell’invecchiamento della popolazione. A questo si aggiunge una sempre più critica sostenibilità dei costi, insieme all’arretratezza dei sistemi informatici: si tratta ancora, nella maggior parte dei casi, di strumenti messi a punto con lo scopo di svolgere meri compiti burocratici e amministrativi, vissuti dagli operatori sanitari come complicazioni che tolgono tempo e attenzioni ai pazienti e alle cure di cui hanno bisogno, oltre a provocare stress, fino al rischio di burnout. A spiegare in un’intervista a BigData4Innovation come l’utilizzo dei dati non strutturati possa rivelarsi utile per un cambio di paradigma, grazie all’intelligenza artificiale, è Vieri Emiliani, Head of Innovation di Maps GroupArtexe, società specializzata nei servizi globali per l’e-health.

Emiliani, quali prospettive può aprire il digitale nel campo della sanità?

Il punto da cui partire è la constatazione che fino a oggi l’information technology, che pure è stata alla base di una “rivoluzione digitale” in molti settori, nella sanità non è riuscita a produrre i risultati che ci si attendeva. E che in questo momento più che mai sarebbero di vitale importanza per un comparto sempre più appesantito, in termini di sostenibilità, dall’invecchiamento della popolazione e dal conseguente aumento della domanda. Sarà importante invertire la rotta rispetto a una situazione in cui, fino a oggi, l’introduzione di strumenti informatici – pensati più per finalità amministrative e di reporting – anziché facilitare le attività degli operatori sanitari ha originato un aumento del carico di lavoro, con una conseguente riduzione del tempo dedicato alla cura dei pazienti. Un utilizzo corretto delle tecnologie digitali, a partire dall’intelligenza artificiale applicata all’analisi dei dati, compresi quelli non strutturati, potrebbe invece contribuire in modo deciso a ridisegnare questi processi, trasformandoli in reali strumenti a supporto delle persone che lavorano in sanità, e contribuendo a migliorare i percorsi di cura.

Su che dati ci si basa quando si parla di crescita della domanda?

La popolazione europea degli over 65 ha raggiunto nel 2018 i 100 milioni di persone, pari quasi al 20% del totale della popolazione continentale, ed Eurostat stima che questa percentuale raggiungerà il 23.9% nel 2030. A questo si aggiunga il fatto che secondo i dati Ocse la spesa sanitaria aumenta con una progressione più marcata rispetto alla crescita economica, e che, in assenza di una serie di interventi mirati al contenimento dei costi, la spesa pubblica in questo settore sarà destinata ad aumentare del 50% nel prossimo decennio, passando dal 6 al 9% del prodotto interno lordo globale. In Europa, per garantire gli elevati standard di cura, spendiamo il 10% del Pil.

Qual è oggi la fotografia dell’utilizzo delle tecnologie emergenti in sanità?

Si tratta di un settore e di applicazioni in rapida crescita, dove le attività di ricerca e sviluppo portano a risultati importanti. Già oggi gli algoritmi che utilizzano l’intelligenza artificiale sono in grado di competere con i medici in termini di accuratezza, ad esempio nella diagnosi dei tumori alla gola, al seno e alla pelle, in quella delle aritmie cardiache fino ad arrivare alle retinopatie causate dal diabete. Due numeri: nel 2018 sono state più di 1.500 le pubblicazioni scientifiche che hanno trattato dell’applicazione dell’intelligenza artificiale in campo radiologico, e nell’ultimo anno le società di venture capital hanno investito circa quattro miliardi di dollari in startup impegnate nell’utilizzare l’intelligenza artificiale nel campo della salute. Nonostante questo “hype”, l’intelligenza artificiale non è ancora applicata su larga scala. Secondo una recente indagine dell’Himss, l’84% dei professionisti della sanità non utilizza o non è al corrente delle possibilità offerte dall’intelligenza artificiale, e il 59% non prevede di utilizzare tali strumenti nei prossimi tre anni. Anche questo contribuisce a spiegare perché l’healthcare sia, rispetto a molti altri settori, almeno dieci anni indietro nell’utilizzo delle tecnologie informatiche.

Che ruolo può avere l’analisi dei dati per rendere più sostenibile ed efficace il comparto della sanità?

I processi in sanità sono complessi, e complessi sono i dati che vengono trattati. Si stima che circa l’80% delle informazioni prodotte in questo campo sia composto da dati non strutturati (testi, immagini, etc.). Ma big data, Computer Vision e Natural Language Processing, e altre soluzioni di Machine Learning, possono svolgere un ruolo fondamentale per trasformare questi dati non strutturati in informazioni che possano essere utilizzate in processi “data driven”, per una reale trasformazione digitale della sanità.

Strumenti capaci di analizzare e codificare immagini e testi clinici potrebbero facilitare gli operatori in fase di refertazione, e sollevarli da attività gravose e ripetitive, in cui è facile commettere errori, come la codifica delle diagnosi e delle procedure. Processi più efficienti, in cui i dati sono inseriti una volta sola e sempre disponibili, in grado di liberare tempo per l’ascolto e la cura dei pazienti e di supportare i clinici a prendere le migliori decisioni. Infine, queste informazioni possono essere utilizzate per gestire in modo ottimale le cronicità, attraverso il cosiddetto population health management, o abilitare la medicina di precisione, o ancora sviluppare nuove terapie e percorsi di cura.

Ad abilitare tutto questo sarà l’intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale in questo contesto può svolgere il ruolo di abilitatore di un processo di trasformazione, aiutando a non commettere di nuovo gli errori che sono stati fatti in passato nei tentativi di digitalizzazione della sanità. In primo luogo, come già detto, automatizzando e velocizzando l’estrazione di informazioni da dati non strutturati quali referti, cartelle cliniche e immagini radiologiche, rendendole finalmente fruibili ad altri strumenti software.

E in secondo luogo, automatizzando tutta una serie di compiti ripetitivi che, come già detto, causano un grande dispendio di tempo alle persone, assicurando contemporaneamente che protocolli e linee guida vengano applicati correttamente e in modo sistematico. Questo consentirà di ridisegnare i sistemi informatici in sanità, che non saranno più focalizzati sul processo di registrazione dei dati, ma a supportare i professionisti dell’healthcare nei loro compiti operativi.

Come si possono applicare in concreto questi principi?

Faccio un esempio molto concreto. Le prestazioni di specialistica ambulatoriale (che comprendono anche la diagnostica per immagini) rappresentano un segmento importante della spesa sanitaria. Solo in Emilia-Romagna vengono erogate oltre 60 milioni di prestazioni specialistiche ogni anno. Verificare che i medici prescrivano correttamente gli esami è essenziale al fine di governare la domanda e gestire opportunamente le liste di attesa. Le aziende sanitarie, per verificare l’appropriatezza delle prescrizioni, erano costrette ad analizzare manualmente un campione molto limitato di prescrizioni, traendone indicazioni parziali e con un considerevole impegno di risorse umane. La dematerializzazione delle prescrizioni di specialistica ambulatoriale ha reso disponibile questo flusso di dati che noi analizziamo utilizzando Clinika, il nostro motore semantico brevettato, consentendo alle aziende sanitarie di verificare in modo sistematico la qualità e l’appropriatezza prescrittiva di tutti i medici del territorio, fornendo inoltre indicazioni utili alla pianificazione dell’offerta. Oggi questo software, Clinika VAP, è utilizzato da 11 aziende sanitarie, con un bacino d’utenza di oltre sette milioni di persone.

Questo stesso flusso delle ricette dematerializzate è utilizzato anche in Epidetect, un nuovo progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna sul filone della ricerca per il Covid-19, che stiamo sviluppando in collaborazione con l’Artificial Intelligence Research Institute di UniMmore e l’azienda sanitaria di Reggio Emilia. L’obiettivo è realizzare un sistema di sorveglianza sindromica, in grado di identificare tempestivamente eventuali focolai epidemici, attraverso un’analisi sistematica dei quesiti diagnostici delle prescrizioni di specialistica ambulatoriale, combinata con algoritmi di anomaly detection in grado di identificare incrementi anomali di cluster di sintomatologie, che potrebbero appunto indicare l’insorgenza di un focolaio.

Quando si parla di dati però si apre la criticità della privacy…

E’ una delle sfide da affrontare. Ci sarà bisogno di capire come assicurare la massima trasparenza e l’affidabilità degli accessi. Dal momento che si tratta di dati sensibili, sarà fondamentale sviluppare politiche e strumenti atti a bilanciare la possibilità di accedere alle informazioni con il rispetto della privacy dei singoli, e per assicurare la protezione e la sicurezza dei dati, assicurandone il pieno controllo a chi ne è il titolare, e cioè i pazienti. Ci sarà bisogno di nuovi modelli regolatori, supportati da piattaforme che siano sicure by design, mentre di pari passo dovrà crescere anche la consapevolezza dei singoli cittadini su come i dati vengono raccolti e utilizzati.

Come sarà possibile garantire l’interoperabilità dei diversi sistemi utilizzati nel mondo della sanità?

Questa è la seconda grande criticità da affrontare, dal momento che la sanità funziona ancora con una logica fortemente dipartimentale. Nonostante alcune iniziative sull’interoperabilità dei fascicoli sanitari elettronici a livello nazionale, come quella di Agid e Cnr, e a livello europeo (si veda la raccomandazione C/2019/800 della Commissione Europea), e nonostante standard come HL7 siano oramai disponibili da tempo e promossi a tutti i livelli, la realtà quotidiana è quella di dati non accessibili, di sistemi che non si parlano, e di uno spreco inutile di risorse impiegate per riuscire a farli comunicare. La strada verso l’interoperabilità, tecnica e semantica, dei sistemi informativi in sanità è ancora lunga. In Estonia, però, ci sono riusciti. Il sistema informativo nazionale della Sanità è in grado di integrare i dati provenienti dai diversi operatori in una struttura di record unificata, e dal 2015 il 99% dei dati sanitari è in formato digitale. I pazienti hanno il pieno controllo delle informazioni che li riguardano, e sono liberi di decidere volta per volta come e con chi condividerli. È un modello esportabile? Io credo di sì, ma c’è ancora molto lavoro, e non solo tecnico ma anche organizzativo e normativo, da fare.

White Paper - E-Health: come migliorare il patient journey grazie alle tecnologie digitali

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