L’intelligenza artificiale costituisce una vasta famiglia di soluzioni hardware e software capaci di sviluppare capacità e intelligenza simili a quelle dell’essere umano. Molte di queste soluzioni, però, sono ancora allo stadio sperimentale, mentre altre sono utilizzate in ambiti di nicchia e difficilmente possono essere notate dalla maggioranza delle persone. Esiste però una soluzione AI con cui tutti quanti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto a che fare: parliamo dei Virtual assistant, ovvero degli assistenti virtuali che sul web forniscono risposte in maniera automatica alle nostre domande. Ma come funzionano realmente gli assistenti virtuali? Quali benefici possono realmente portare alle aziende? Di tutto questo si è parlato in occasione del primo appuntamento di “IBM AI School: Lezioni pratiche di Intelligenza Artificiale”, dedicato per l’appunto al fenomeno dei virtual assistant. Come ha messo in luce in occasione del webinar Stefano Garavaglia, ricercatore dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, i virtual assistant rappresentano una delle otto classi di soluzione dell’intelligenza artificiale, nonché una di quelle che suscitano più curiosità e interesse.
Non tutti i Virtual assistant sono uguali
Il primo punto da osservare su questo fenomeno è che per sviluppare nel concreto un assistente virtuale, le aziende non hanno soltanto una possibilità a disposizione, ma almeno tre diverse alternative tecnologiche.
1) Sviluppare un virtual assistant a partire da librerie software, quindi con soluzioni customizzabili che vanno a rispondere nel dettaglio alle esigenze di un’azienda
2) Piattaforme: si tratta di ambienti di sviuppo che sono già stati preconfigurati per sviluppare una specifica soluzione
3) Applications: il riferimento è a quelle soluzioni che sono già state completamente programmate e configurate dai vendor e che possono essere immediatamente utilizzate nell’ambito di interesse dell’azienda.
Come è facile da capire la scelta tra queste alternative non è indifferente, dal momento che esiste una diversa complessità di sviluppo della soluzione. Mentre le applications sono già pronte all’uso e facili da implementare, nel caso delle librerie software va invece addirittura progettato l’hardware su cui andrà a essere eseguita l’applicazione. Il rovescio della medaglia è che le funzionalità delle applications sono limitate e predefinite, mentre invece i chatbot sviluppati a partire dalle librerie software possono rispondere in maniera più puntuale alle specifiche esigenze aziendali. L’altro importante messaggio è che i chatbot non sono tutti uguali, ma possono essere classificati in diversi livelli: in commercio troviamo gli assistenti di livello 0, che non vanno oltre delle risposte predefinite, mentre già al livello 1 i software cominciano a capire cosa chiede davvero utente. Gli assistenti a livello 2 in sono capaci di rispondere in maniera autonoma alle domande, attingendo anche a documenti esterni. Ulteriori progressi arrivano al livello 3 (capacità di memorizzare le informazioni) e 4 (capacità di comprensione e di adattarsi al contesto in cui viene posta una domanda), sino ad arrivare a un livello 5 dove addirittura il virtual assistant riesce ad adattare le risposte al tono dell’interlocutore. Quando il software è almeno di livello due, si può parlare di expert advisor.
Gli ambiti di utilizzo
Come abbiamo anticipato in precedenza, i virtual assistant sono molto diffusi in parecchi ambiti, sia per l’assistenza esterna (classico post vendita) che per fini interni. In quest’ultimo caso, in ambito marketing e vendite, i chatbot possono aiutare l’utente aziendale a orientarsi nel catalogo dei prodotti e a reperire informazioni aggiuntive. Secondo i dati dell’Osservatorio, in Italia gli ambiti di impiego più diffusi sono rappresentati dal customer care e dall’help desk interno, che manterranno comunque una tendenza alla crescita anche nei prossimi mesi. Ma perché vengono implementati i chatbot? Solitamente si tende a pensare che siano implementati per ridurre i cost ma, in realtà, il primo obiettivo delle aziende che effettivamente avviano questi progetti è quello di una maggiore qualità, rispondendo in maniera più pertinente ed efficace agli interrogativi degli utenti, garantendo una disponibilità 24 ore su 24.
I virtual assistant per la cognitive enterprise
Le potenzialità di questo strumento sono ben comprese da un operatore come IBM, che vede gli assistenti virtuali come parte di quella rivoluzione che sta portando le aziende a essere guidate dall’impiego dei dati (cognitive enterprise). Come ha evidenziato Emanuela Picardi, Cognitive & Analytics Manager di IBM, un passaggio chiave nell’evoluzione dei chatbot verso veri e propri expert advisor è la possibilità di arricchirli di dati strutturati e non strutturati, attingendo anche da piattaforme esterne all’azienda. In questo modo il virtual assistant ha la possibilità di fornire delle più appropriate e più profilate rispetto allo specifico utente, riuscendo persino a fornire dei veri e propri suggerimenti e consigli sulle future azioni da mettere in atto. In quest’ottica IBM mette a disposizione IBM Watson Assistant che consente alle aziende la creazione di una chatbot live personalizzata in qualsiasi dispositivo, applicazione o canale, con una procedura semplificata ma allo stesso tempo in grado di fornire un’esperienza di risoluzione dei problemi unificata e coinvolgente per i clienti.