La business intelligence si evolve verso l’intelligenza aumentata

La seconda lezione di IBM AI School si è concentrata sui grandi cambiamenti che interessano la Business Intelligence, sempre più influenzata dalla realtà aumentata

Pubblicato il 13 Ott 2020

Deep Neural Network

Che cos’è la business intelligence? Quali sono i potenziali benefici per l’attività delle imprese e, soprattutto, in che modo le nuove tecnologie digitali ne stanno modificando ambiti e raggi d’azione? Di tutto questo si è parlato nella seconda lezione di IBM AI School, intitolata “Dalla Business Intelligence all’Intelligenza Aumentata”. Come ha messo in evidenza nel corso del suo intervento Alberto Leporati, professore di Informatica dell’Università Bicocca di Milano, la business intelligence ha una storia antica alle spalle, perlomeno dall’Ottocento, quando alcune iniziarono sistematicamente a raccogliere informazioni utili prima che ne venissero a conoscenza i competitor, così da trarne profitto. Ovviamente, la business intelligence così come la conosciamo oggi è nata soltanto a partire dagli anni 60 in poi, con lo sviluppo della moderna informatica, che ha consentito di sistematizzare e ampliare la raccolta e conservazione dei dati utili. Si arriva così al concetto attuale di BI, che non è altro che una serie di concetti e metodi che consentono ad aziende e organizzazioni di fare domande e fornire risposte a partire dai dati a disposizione, così da migliorare l’andamento del proprio business.

Come ottenere dati di qualità

I dati, dunque, costituiscono il vero e proprio cuore della Business Intelligence: l’analisi dei dati, infatti, è il modo più scientifico e asettico per prendere decisioni razionali non influenzate da stato emotivo o da preconcetti. Lavorare con i dati in ambito economico, però, porta con sé tutta una serie di problematiche: quali devono essere raccolti? Quali sono dunque le sorgenti corrette? In questo senso la moderna business Intelligence deve fare i conti con la moltiplicazione delle sorgenti, legate ad esempio alla diffusione della sensoristica IoT. I dati raccolti, poi, per essere realmente utili, vanno opportunamente elaborati e memorizzati. Il problema è che oggi abbiamo a che fare con un vero e proprio diluvio di dati, dunque le aziende che vogliono fare business intelligence devono contare su un’architettura hardware e software di qualità per ottenere risultati efficaci. Anche perché i dati vanno interpretati, filtrati e ripuliti, prima di arrivare all’elaborazione vera e propria, che deve essere anche accompagnata anche da un’apposita interfaccia di visualizzazione, così da permettere agli esseri umani di avere una vista completa dei dati e di prendere decisioni.

L’evoluzione della Business intelligence

Ma cosa davvero differenzia la Business intelligence classica da quella più moderna, caratterizzata dall’utilizzo dei moderni software di analytics e di intelligenza artificiale? Nel corso di IBM AI school si è fatto riferimento a un esempio tipico, quello di una società che possiede un centinaio di punti vendita sul territorio nazionale e che vuole essere a conoscenza di informazioni utili al proprio business (negozi più o meno performanti, prodotti più venduti, ecc). La possibilità classica è quella di conservare i dati degli scontrini in un database relazionale, ben strutturato, con una dashboard che consente ai manager di vedere ogni mattina come stanno effettivamente andando le cose nei propri store, dal momento che i dati rispondono a una serie di domande precostituite. Molto differente, invece, è la concezione moderna della Business intelligence, che presuppone la possibilità di domande dinamiche e relative risposte immediate, in tempo reale, con dati che devono essere navigabili dai propri interlocutori. Inoltre, oltre ai dati interni e strutturati – come per l’appunto gli scontrini – deve essere possibile anche recepire le informazioni da quelli non strutturati, come ad esempio i post social, che possono rivelare informazioni preziose sul sentiment dei consumatori in un determinato momento. Infatti, mentre nella business intelligence tradizionale si richiedono soprattutto analisi statistiche, oggi piuttosto le aziende si aspettano l’identificazione di schemi ricorrenti, grazie agli algoritmi di machine learning, che possono permettere di prendere decisioni capaci di accrescere un vantaggio competitivo sul mercato. Ovviamente, per non incorrere in errori, è necessario che gli algoritmi siano adeguatamente addestrati, cosa che a sua volta impegna una fetta importante dei lavori e dei ragionamenti intorno all’intelligenza artificiale. Non c’è dubbio però che dalla Business Intelligence vera e propria si stia ormai arrivando alla Intelligenza aumentata, in cui la mente umana – adeguatamente supportata dalla AI, può consentire di prendere decisioni migliori.

L’intelligenza aumentata di Cognos Analytics

L’intelligenza aumentata è da tempo entrata nell’orizzonte di un attore come IBM, che da decenni supporta le aziende nella business Intelligence. In particolare attraverso Cognos Analytics, una piattaforma di business intelligence basata sull’AI che supporta l’intero ciclo di analytics, dal rilevamento all’operatività. Grazie alla piattaforma, in poche semplici operazioni diventa possibile importare i dati da fogli di calcolo, file CSV, database su cloud o on-premise. Inoltre si può utilizza il machine learning per rilevare e combinare automaticamente le fonti di dati correlate in un unico attendibile modulo di dati. Cognos Analytics è concepito non soltanto per mostrare i risultati delle ricerche in un grafico a barre, ma per interpretare i dati con l’AI. Gli utenti aziendali possono così porre una domanda in linguaggio semplice e ricevere una risposta utilizzabile – indipendentemente dalla domanda posta. Allo stesso tempo gli analisti possono usare questi insight per scavare più a fondo nei dati. In linea generale, la piattaforma è concepita per supportare l’esperienza utente, suggerendo nuove analisi e interrogativi, per una vera esperienza di intelligenza aumentata.

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