Quando si parla di sicurezza sul lavoro, il pensiero va sempre agli obblighi normativi che le aziende, tutte, devono assolvere, così come previsto dal Decreto Legislativo del 9 aprile 2008, n° 81, il cosiddetto Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro. Un aiuto in questo senso può venire dalla tecnologia e dai dati. Le soluzioni tecnologiche a supporto della sicurezza sul lavoro oggi disponibili sul mercato sono abbastanza variegate.
Crediamo che per ottenere un intervento efficace siano necessarie tecnologie integrate in grado di poter intervenire in due momenti distinti e in particolare: in tempo reale, quando l’evento pericoloso avviene, al fine di mitigarne o annullarne gli effetti;
- in una fase successiva, quando, grazie all’analisi dettagliata di tutti gli eventi rilevati e registrati, si costruiscono i presupposti affinché tali eventi non si verifichino più nel futuro.
A tal fine, l’integrazione di elementi hardware per la rilevazione del rischio (sensori centrali e periferici, fissi e wearable) e software, per la raccolta della notevole quantità di dati e la sua elaborazione, è a nostro avviso la scelta ottimale non solo per la mitigazione del rischio in tempo reale ma anche per la possibilità di restituire come output lo stato di rischio generale di un determinato ambiente.
Come funziona? Durante l’operatività di un ambiente di lavoro, a qualunque “evento” rilevato da un insieme di sensori viene associato un valore di rischio. Quando una determinata soglia di rischio viene superata il sistema genera un opportuno allarme o interviene su opportuni automatismi di sicurezza. Ma non solo: ogni singola rilevazione viene contestualizzata e registrata e va a costituire un esteso database di informazioni, che viene trasferito su cloud, dove le stesse vengono catalogate per descrizione e gravità. Ed è qui che la valutazione del rischio perde la sua soggettività e diventa oggettiva.
Raccolta del dato
Il trigger che innesca la rilevazione di un evento è determinato dal fatto che un sensore (ad esempio montato su un mezzo in movimento come un carrello elevatore) entra in contatto radio con un tag (ad esempio indossato da un operatore a terra) all’interno di un certo raggio di copertura che sarà tipico del sensore.
Questi oggetti “si riconoscono” e cominciano a dialogare ad elevata frequenza “misurandosi” tra loro, ovvero capendo dove si trovano l’uno rispetto all’altro.
Sulla base di questa informazione, il software del sistema è in grado di valutare mediante algoritmi di AI che valutano posizioni e spostamenti reciproci, il livello alto o basso di rischio associato a questa “situazione” e quindi di capire ad esempio con quale grado di rischio il veicolo stia andando o meno addosso alla persona.
Il sistema centrale campiona l’evento più volte al secondo al fine di consentire una rapida valutazione del rischio di ogni interazione e, in caso positivo, agire in maniera altrettanto veloce. Ogni interazione, dunque, è caratterizzata da una quantità di stringhe di dati (che dipenderà dalla durata dell’interazione stessa) che a loro volta vengono elaborate, accorpate e compresse e poi inviate al database in cloud.
Quantità del dato e cloud
Di quanti dati stiamo parlando? A titolo di esempio, una cartiera media con 20 carrelli e 50 persone può produrre da centinaia fino a qualche migliaio di interazioni al giorno con livelli di rischio diversi, che si traducono in centinaia di migliaia di stringhe informative.
Le stringhe informative contengono dati relativi all’identificazione del mezzo e del TAG, coordinate spaziali (GPS), velocità, tempo e varie altre informazioni utili alla descrizione dell’interazione. Tipicamente vengono generate alcune decine di MB di dati al giorno per ogni mezzo per azienda che vanno avanti per settimane, mesi e anni e che vanno perciò accumulate, dapprima in un database a bordo macchina, e poi trasferite (periodicamente) sul cloud per essere poi elaborate off line e compresse.
Nel tempo si verrà a formare in cloud un vasto database che conterrà le informazioni provenienti da molteplici siti (architettura multi-tenant) ognuno dei quali genera dati da ogni singolo dispositivo installato, con la possibilità di aggregare le informazioni sia a livello di singolo tenant che in modo trasversale tra i diversi tenant.
Abbiamo così costruito un sistema integrato dove il dato relativo all’interazione tra una macchina pericolosa e una persona che si trova in sua prossimità viene acquisito per mezzo di dispositivi locali e trattato localmente per fornire allarmi e interventi in real-time sulla base della stima del livello di rischio (su una scala da 0 a 10) mentre la sua interpretazione, più in generale nel contesto del sito operativo, avviene in maniera aggregata su cloud, l’ambiente ottimale per questo tipo di soluzioni.
Ad un livello ancora più alto l’architettura multi-tenant dell’applicazione cloud può consentire l’estrazione di informazioni ancor più generali mediante l’analisi trasversale dei dati contenuti nei vari tenant così da poter fornire ad esempio dati di tendenza per settore (settore cartario, cantieristica, portuale etc…) o per gruppo, regione, nazione, etc…
Il valore aggiunto: le informazioni rilevanti
Le aziende devono tipicamente risolvere i problemi legati alla sicurezza del loro personale.
E per migliorare la sicurezza nei luoghi di lavoro possono acquistare apparati che in tempo reale generano allarme in presenza di una situazione di eventuale pericolo. Questi sistemi (attivi) di per sé aumentano la sicurezza coadiuvando e integrando le misure previste dal testo unico. Ma il valore aggiunto di queste soluzioni oggi può e deve essere esteso nella produzione e gestione di informazioni rilevanti finalizzate all’implementazione di metodiche di prevenzione attiva.
Abbiamo assistito in questi ultimi anni ad evoluzioni in questo senso anche in campi molto diversi come, ad esempio, nelle applicazioni per il fitness come Strava.
Anche in questo caso sono stati introdotti elementi tecnologici come sensori di vario tipo che consentono di rilevare dati real-time dal campo. Le informazioni ricavate da questi sensori vengono poi trasferite sul tenant di ciascun utilizzatore e, sulla base di queste, le applicazioni cloud le distillano e le restituiscono in forma molto più comprensibile perché le si possa usare per analizzare e migliorare la propria performance. Nel nostro caso la performance da massimizzare è la sicurezza.
In questo tipo di applicazioni è utile cercare di sintetizzare la performance mediante un indicatore semplice in modo che la grande mole di informazioni possa essere immediatamente compresa nelle sue tendenze generali dall’utilizzatore il quale potrà nel caso procedere con analisi più approfondite. Tali indicatori diventano anche un termine di confronto utile non solo per la valutazione delle tendenze (es. la sicurezza sta migliorando nel tempo a seguito dell’introduzione dei sistemi?) ma anche per confrontarsi con altre realtà analoghe (quale è il grado di sicurezza rispetto alla media del mio settore?)
Un esempio è l’Indice di Sicurezza ed Efficienza (ESI) sviluppato in AME che risponde a questo principio e consente di monitorare l’ambiente di lavoro su base quotidiana, settimanale o mensile attraverso un indicatore numerico che va da zero a uno, e di verificare l’efficacia dell’integrazione di sistemi avanzati di sicurezza attiva (che comprendono l’anticollisione tra veicoli, carroponti e operatori, la gestione delle autorizzazione e degli accessi, il tracking del personale, la comunicazione interna dell’impianto e la gestione degli allarmi).
Una nuova visione della sicurezza basata sui dati
Questa nuova visione della sicurezza si definisce come un sistema estremamente dinamico e interattivo di dispositivi locali (sensori) che interagiscono in modo continuo con un sistema dati in cloud al fine di fornire un servizio integrato di supporto alla sicurezza a 360 gradi. In quest’ottica ha poco senso continuare a fornire un prodotto che subirà una progressiva obsolescenza e che dipende dall’aggiornamento dei dispositivi hardware, mentre ha più senso fornire un servizio che si arricchisce continuamente di nuove funzionalità e di miglioramenti che inevitabilmente scaturiscono dalla crescita di know how all’interno dell’ecosistema informativo.
Per questo motivo riteniamo che il modello più adeguato sia il SaaS, nel nostro caso ribattezzato “Safety as a service“. Il Software as a Service consente di seguire le aziende e dare loro strumenti sempre aggiornati, in linea con lo sviluppo della tecnologia e delle teorie che vi stanno dietro.
Democratizzazione del dato
L’adozione di sistemi tecnologici a supporto della sicurezza sul lavoro ha anche il duplice vantaggio di rendere intelligibile a tutti ciò che è strutturalmente complesso: l’aggregazione delle informazioni raccolte consente infatti di fornire ai clienti dati integrati e persino una mappa grafica della distribuzione del rischio tipico delle loro aziende e di permettere a qualunque operatore, anche poco formato, di leggerne i dati.
Se un HSE Manager conosce infatti i rischi specifici della sua azienda, questo può non esser vero per un consulente esterno che fa più fatica a capire come muoversi e quali rischi l’ambiente di lavoro possa rappresentare.
In presenza di un sistema tecnologico e i presupposti detti, invece, chiunque può capire in maniera immediata quali siano le zone in cui spesso si verificano eventi di interazione a rischio elevato.
Ciò che un tempo era una sensazione oggi diventa un numero oggettivo che comunica in maniera semplice il livello di rischio di un ambiente di lavoro anche a chi non ha competenze verticali, grazie a una visualizzazione con interfaccia tipica della cultura mobile (cruscotti, comandi touch, grafiche etc.).
Prevenzione del rischio e degli incidenti gravi
Nell’uso pratico e continuo di questo tipo di soluzione si verifica con estrema chiarezza come il livello di rischio medio delle rilevazioni che il sistema registra tenda a diminuire gradualmente.
Questo perché questi sistemi sono in grado di segnalare il pericolo in tempo reale attraverso degli allarmi: il guidatore di un carrello, ad esempio, ha in questo modo la possibilità di rallentare, frenare, girare e soprattutto gradualmente la sua percezione del rischio si adegua alle indicazioni del sistema e il suo comportamento diventerà più “prudente”.
Significa che con l’uso di queste informazioni si riduce il numero degli eventi rischiosi e in senso probabilistico la possibilità che si verifichi un incidente grave.
Future implementazioni: l’AI per l’analisi dei dati
I futuri sviluppi di queste soluzioni potranno usufruire in modo molto importante del sempre più esteso impiego di tecnologie di AI per l’analisi dei dati, tanto più quanto i dati stessi saranno sempre più vasti ed eterogenei, stanti i diversi ambiti applicativi cui questo concetto si presta. Future implementazioni potranno prevedere anche l’impiego di differenti tipologie di sensori, come per esempio le telecamere, e i dati potranno arricchirsi anche di immagini e contenuti video.
L’insieme di tutti questi dati aggregati genererà conoscenza: è il concetto di data lake, di repository per l’archiviazione di grandi quantità di dati nel loro formato nativo. Queste, analizzate con algoritmi di AI, saranno in grado un domani di generare suggerimenti per modificare procedure, layout, comportamenti o abitudini, di modo che la statistica dei rischi vada sempre più a ridursi fino alla situazione ottimale, prossima (ma mai uguale, perché abbiamo pur sempre a che fare con qualcosa che si muove) allo zero.
Diventerà attività di autoapprendimento e non a livello di singolo carrello, ma a livello di sistema, di fabbrica: una volta individuata una zona ad alto rischio, sarà possibile fare in modo che carrelli, ma non solo, adottino in maniera automatica comportamenti di prevenzione, rallentando dove è più pericoloso o fermandosi.
L’utilizzo dell’AI, combinato con la qualità sempre migliore dei sensori sul campo, anche in questo settore, consentirà di estrarre dalla grande quantità di dati misurati, informazioni di qualità sempre migliore, mentre sul fronte della cybersecurity ulteriori passi in avanti potranno essere fatti in tema di integrità del dato (salvaguardia, sicurezza, riservatezza).
Conclusioni
Date le premesse e l’orizzonte delle future implementazioni, è abbastanza evidente come investire in tecnologie per la sicurezza sul lavoro oggi sia non solo un’opportunità ma anche un dovere morale, di cui dovremmo iniziare a farci carico anche a livello di paese attraverso maggiori incentivi, finanziamenti e sgravi fiscali che accompagnino verso un obbligo di adeguamento tecnico.
Fino a che ci si limiterà alla sicurezza passiva alla soggettività della valutazione del rischio i dati sugli incidenti non diminuiranno e a nulla varranno i corsi, i caschetti e le misure di indennizzo a favore di coloro che hanno subito un danno durante lo svolgimento dei propri incarichi.
L’innovazione ci offre la possibilità mai avuta prima di salvaguardare la vita dei lavoratori e di rendere le nostre aziende, i nostri impianti, i nostri tunnel, dei luoghi sicuri dove trascorrere gran parte del nostro tempo. E questa passa senza ombra di dubbio anche e sempre più attraverso l’acquisizione e l’analisi dei big data. È ora di prenderla al volo.