Integrare è, da sempre, un imperativo aziendale, un passaggio obbligato per generare maggiore efficienza operativa. Da qualche tempo, la pressione sui costi di gestione, la focalizzazione sui processi e l’incremento vertiginoso del volume di informazioni che corrono sulle reti e sui server delle grandi organizzazioni hanno “costretto” molti Cio a considerare il problema dal punto di vista specifico dell’interoperabilità applicativa, in relazione alle soluzioni che sorreggono i processi end to end aziendali. La questione non è certo nuova ma rimane complessa; l’implementazione di tecnologie di integrazione è, in alcuni casi, l’unica strada percorribile per affrontare processi di consolidamento post acquisizioni e fusioni, progetti di adeguamento alle normative e via dicendo.
L’utilizzo di piattaforme di integrazione (e ci riferiamo in ordine sparso a quelle delle varie Oracle, Sap, Ibm, Microsoft e Bea Systems e alle soluzioni di specialisti come Tibco, WebMethods, Iona, Sonic Software…) non può quindi essere frutto di un’azione estemporanea (spesso anche onerosa) ma richiede un nuovo approccio di gestione, non più casuale ma sistematico, organizzato e rispondente alle esigenze del business. L’azienda, la grande azienda in particolare, è oggi un mondo eterogeneo in cui convergono processi e risorse diverse, sistemi proprietari e soluzioni aperte; la gestione integrata delle diversità tecnologiche in chiave applicativa è una delle attività “core” sulla quale rimodellare l’infrastruttura It, con i middleware e le Soa a fare da strumento imprescindibile di armonizzazione delle complessità. Con lo slogan “Integration as a Service” che gioca il ruolo di fenomeno prossimo venturo in seno alle medie aziende. ZeroUno ha affrontato il tema con uno specialista della materia, Massino Pezzini (nella foto), vice president & distinguished
analyst di Gartner (www.gartner.com ), prendendo in esame vari aspetti: come le Soa sono subentrate, complementandolo, al concetto di Enterprise Application Integration, come i principali software vendor stanno affrontato la sfida e come sta rispondendo il mercato (e quindi le aziende utenti) a tali sollecitazioni.
Un punto focale, i costi
“La lezione degli ultimi anni – esordisce Pezzini – è la seguente: le aziende utenti hanno realizzato che la problematica è di rilevanza strategica, non tattica. Da questo cambio di approccio derivano conseguenze tecnologiche e organizzative: si guarda, in primis, all’integrazione del Crm o della business intelligence con l’Erp o con i sistemi legacy come un problema specifico che interessa più funzioni aziendali. In secondo luogo, l’integrazione è stata assunta al rango di tematica trasversale, inserita in un quadro più generale che chiama in causa competenze, infrastrutture e nuove tecnologie. Quindi si arriva alla Soa, che dell’integrazione è un driver fondamentale, perché non si può pensare a un’architettura flessibile e modulare senza adeguati componenti di integrazione”.
La riflessione di Pezzini ha anche un’altra faccia, ancora più esplicita per quanto concerne i motivi alla base del nuovo corso dell’application integration: “le aziende hanno realizzato che i costi di integrazione relativi all’utilizzo di interfacce punto punto e di soluzioni custom erano troppo impattanti. Non solo. I tempi spesso troppo estesi di integrazione non possono supportare le nuove dinamiche di time to market e di time to deployment delle nuove applicazioni, con tutte le ripercussioni del caso sugli obiettivi di business”.
Dall’analisi di cui sopra deriviamo quindi tale conclusione: le aziende sono oggi molto più consapevoli della portata del problema, più mature nell’affrontarlo e hanno imboccato in altre parole la retta via (la meta rimane però, in molti casi, lontana, sebbene vi siano progetti di integrazione molto avanzati) per superare del tutto l’ostacolo di applicazioni che poco o mal si parlano fra loro all’interno di sistemi complessi e distribuiti.
Telco e finance i “pionieri” dell’integrazione
Se il problema dell’integrazione applicativa è comune a tutte le grandi organizzazioni, vi sono settori, come le telecomunicazioni o i servizi finanziari, in cui lo stesso è addirittura al centro del proprio business.
“I Cio delle aziende telco e delle banche – questo l’esempio calzante di Pezzini – hanno visto e intuito prima di altri il fenomeno perché soggetti a particolari pressioni esercitate dal business. Si pensi, per esempio, alla domanda di attivazione delle linee Dsl o di carte telefoniche prepagate e la necessità intrinseca per il carrier di intervenire, quasi in tempo reale, sui sistemi di gestione della rete, su quelli amministrativi e di billing e via dicendo. Nel mondo bancario il modello della multicanalità esige totale integrazione con l’infrastruttura di back end, affinché applicazioni, sistemi informativi e processi siano ottimizzati alla maggiore efficienza e produttività possibile per migliorare i livelli di servizio al cliente”.
Facile quindi capire perché l’application integration sia, in alcuni casi, un passaggio obbligato per rispondere agli imput del mercato o all’esigenza di razionalizzazione dei sistemi It e anche perché la velocità di esecuzione della stessa sia una discriminante fondamentale per supportare le richieste generate dalla componente di business. Le aziende manifatturiere, per completare il quadro dipinto da Gartner, hanno a propria volta cavalcato l’integrazione con progetti volti all’automazione dei processi, senza però badare troppo al fattore velocità e privilegiando quello dell’affidabilità nella gestione/esecuzione del dato. E le medie imprese? Secondo Pezzini c’è un certo fermento in atto ma i casi di imprese che hanno investito (anche in passato, in momenti economici migliori) in soluzioni software ad hoc sono molto limitati e quindi il problema è meno sentito; poco sentito anche dai primi interlocutori, i partner di canale dei fornitori It, da cui è lecito attendersi un ulteriore salto di qualità (anche per le enormi opportunità di creazione di nuovo business in gioco) per quanto riguarda l’offerta di soluzioni e servizi di application integration.
Quello dell’integrazione rimane in definitiva un mercato che cresce senza grandi scossoni e che si rivolge sostanzialmente al mercato enterprise, a un’utenza cioè che, parole di Pezzini “se ha investito in passato nelle costose suite di integrazione non le abbandona di certo mentre è in fase di re-engineering del sistema informativo e guarda, in tal senso, a Sap o a Oracle per investire nelle piattaforme di middleware. Con le eccezioni di grandissime organizzazioni che vanno a scegliere soluzioni di integrazione di specialisti di seconda fascia o basate su software open source”.
Meno “pure player”, grandi vendor all’attacco
“A livello di offerta – spiega Pezzini riferendosi al ruolo recitato dai fornitori – la disponibilità di soluzioni di integrazione è molto ampia ma il panorama dei vendor attivi in questo segmento è cambiato: nel passato operavano di fatto solo specialisti dell’Eai (Enterprise Application Integration) con piattaforme proprietarie, complesse e anche costose; poi sono arrivati gli standard, e mi riferisco a Xml, l’open source, Java, i Web services, abbattendo la barriera all’ingresso per i grandi software vendor, che si sono, quasi obbligatoriamente, dedicati a questo business. Seguendo la scia di Ibm, presente di fatto da sempre nell’application integration, sono entrati in gioco anche Sap, Oracle, Microsoft e Sun, accentuando la spirale competitiva sul lato offerta”. I “pure player” (come Tibco, WebMethods e Seebeyond) sono sempre meno in seguito ai processi di acquisizione mentre è sempre grande il numero di medie realtà (come Iona o Software Ag) che operano anche su scala internazionale, facendo della capacità di saltare in corsa sul treno dell’Enterprise Service Bus, prima, e della Soa, poi, il loro punto di forza.
Fra i big vendor, questa la visione di Gartner, Ibm rimane il fornitore più importante ed è importante l’azione di razionalizzazione dell’offerta attuata dal colosso di Armonk da inizio 2006, soprattutto per quanto riguarda la piattaforma WebSphere. Molto si è data da fare anche Microsoft, anche se la casa di Redmond, come del resto avviene sul fronte delle applicazioni gestionali, è pervasiva con il proprio BizTalk, soprattutto nelle imprese di piccole e medie dimensioni. Sap e Oracle, da parte loro, giocano una partita che va molto al di là del fattore integrazione; la prima, sfrutta Netweaver per diffondere il verbo della propria architettura Soa (Esa, Enterprise Service Architecture) per la realizzazione/distribuzione delle business application; la seconda, fa la voce grossa mettendo sul piatto sia un nuovo prodotto di integrazione “tout court” (Application Server Release 3 10 g) sia l’estesa modularità di Fusion Middleware.
Entrando nel merito delle strategie dei due principali vendor di applicazioni, Pezzini ha fatto una riflessione che parte dalle dinamiche della domanda: “Sap e Oracle non possono essere fornitori omnicomprensivi di tutta l’infrastruttura software aziendale e ne sono ben consapevoli. L’esistente è fatto di tante e diverse applicazioni di terzi o sviluppate in house. Sap, in particolare, tende a valorizzare la stretta integrazione fra applicazioni e piattaforma middleware ma per poter garantire capacità di integrazione adeguate deve dotarsi di add on e funzionalità fornite da terze parti specializzate, che diventano quindi attori critici in termini di partnership. Per Oracle – ha completato il discorso Pezzini – la situazione è molto simile, con l’aggravio di dover razionalizzare le diverse piattaforme applicative frutto delle acquisizioni (Jd Edwards, PeopleSoft e Siebel, ndr) e di creare e consolidare un’efficace offerta di moduli di integrazione cross-selling”.
Riassumendo il quadro dell’offerta, questa si presenta ancora una volta assai frastagliata per la contemporanea presenza di diversi attori e, se poco si muove nella fascia alta del mercato, più movimento si registra fra quei nuovi attori che possono, da una parte, rispondere alle specifiche esigenze di integrazione della media impresa con soluzioni poco invasive (anche sotto il profilo dei costi), dall’altra, coprire i progetti tattici delle grandi organizzazioni.
I nuovi modelli: alle porte bussa l’Iaa
Fra le possibili nuove tipologie di application integation, Gartner ne individua in particolare tre: le appliance che operano da Enterprise Service Bus a livello di apparati di rete (le soluzioni Aon, Application Oriented Networking, di Cisco ne sono l’esempio oggi più illustre), gli Esb open source e l’Integration as a Service, ossia l’integrazione di applicazioni che si compra on demand, alla stregua di un servizio B2B. Di quest’ultimo, in particolare, Pezzini ne parla come “fenomeno emergente che ricalca il modello vincente del Saas per cercare spazio fra le classiche suite di integrazione. Ne sono fautori pure player del software in hosting come Salesforce.com o Workday, che hanno preso coscienza dell’esigenza di integrare i propri servizi con le applicazioni già esistenti in azienda. In prospettiva è un’alternativa interessante soprattutto per le aziende di piccole dimensioni ma forse di scarso impatto per le medio-grandi: il problema del cosiddetto ultimo miglio che intercorre fra i sistemi aziendali e la piattaforma del provider non è un ostacolo da poco e per superarlo occorre sempre e comunque un’attività di system integration”. Ma una cosa sembra certa: il futuro dell’application integration si gioca sul terreno della modularità delle piattaforme, sulla capacità di queste ultime di servire in modo flessibile le componenti realmente necessarie all’azienda.